Roma: di nuovo incertezze sull’art. 45, co. 6, NTA PRG (e suo coordinamento con l’art. 6 L.R. 7/2017 sulla rigenerazione urbana).

Torna di nuovo alla ribalta l’affaire dell’art. 45, co. 6, NTA PRG di Roma.

La norma di PRG prevede, in particolare, che nella Città consolidata (ossia “quella quella parte della città esistente stabilmente configurata e definita nelle sue caratteristiche morfologiche e, in alcune parti, tipologiche, in larga misura
generata dall’attuazione degli strumenti urbanistici esecutivi dei Piani regolatori del 1931 e del 1962″) :

“L’insediamento di destinazioni d’uso a CU/a e i cambi di destinazione d’uso verso “abitazioni singole” sono subordinati all’approvazione di un Piano di recupero, ai sensi dell’art. 28, legge n. 457/1978, o altro strumento urbanistico esecutivo; i cambi di destinazione d’uso verso “abitazioni singole” devono essere previsti all’interno di interventi di categoria RE, DR, AMP, estesi a intere unità edilizie, di cui almeno il 30% in termini di SUL deve essere riservato alle destinazioni “abitazioni collettive”, “servizi alle persone” e “attrezzature collettive”. Sia per le destinazioni a CU/a, escluse le “attrezzature collettive”, sia per le destinazioni “abitazioni singole”, escluse quelle con finalità sociali e a prezzo convenzionato, gli interventi sono soggetti al contributo straordinario di cui all’art. 20“.

 

Semplificando, la norma del PRG prevede un (gravoso) onere sia procedimentale (la necessità di sottoporre i cambi d’uso verso “abitazioni singole” a strumento attuativo nonché di porli in essere solo se tramite ristrutturazione edilizia, demo-ricostruzione o ampliamento, nonché l’ammissibilità degli stessi solo se estesi ad “intere unità edilizie”, ossia “costruzione autonoma”) sia sostanziale (l’obbligo di riserva del 30% a talune destinazioni specifiche – c.d. mix funzionale – oltre all’applicazione del contributo straordinario).

La norma, a ben vedere non distingue in alcun modo tra cambi d’uso infra-categoria (quelli, cioè urbanisticamente non rilevanti in base all’art. 23-ter del D.P.R. 380/01) e quelli fra categorie funzionali autonome (ossia urbanisticamente rilevanti in base, sempre, alla citata norma del D.P.R. 380/01).

 

I. La sentenza del Consiglio di Stato n. 4546/2010 e la tesi dell’integrale “abrogazione” dell’art. 45, co. 6, NTA.

Della norma si occupò il Consiglio di Stato che ne dichiarò l’illegittimità atteso che “è illegittimo assoggettare il passaggio da una sottocategoria a un’altra all’interno di una medesima categoria al medesimo regime autorizzatorio previsto per il passaggio da una categoria all’altro”.

Il Consiglio di Stato, peraltro, ebbe a chiarire anche che “la caducazione del più volte citato art. 45, comma 6, delle N.T.A. ricomprende in sé anche il richiamo al contributo straordinario in esso contenuto, e comporta per il Comune l’obbligo di riscrivere in toto la disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso”.

Ad avviso del Giudice amministrativo, in estrema sintesi, la disciplina, così onerosa sotto tutti i punti di vista, dei cambi d’uso nella Città consolidata, confliggeva con i principi generali del D.P.R. 380/2001 .

A seguito di tale decisione del Consiglio di Stato in talune occasioni il Giudice Amministrativo, il TAR Lazio in particolare, ha mostrato di intendere l’illegittimità dell’art. 45 co. 6 NTA PRG come riferito non solo al cambio d’uso infra-categoria (ossia quello che, ex art. 23-ter D.P.R. 380/2001 chiamiamo urbanisticamente non rilevante) ma anche a quello fra categorie autonome (urbanisticamente rilevante).

In particolare, ad esempio, nella sentenza Sez. II-bis, 28.12.2012, n. 10823, richiamando proprio Cons. Stato 4546/2010, il TAR aveva “confermato” l’illegittimità dell’obbligo di strumento attuativo per il cambio d’uso “verso  abitazioni singole” impugnato da un soggetto che aveva presentato un progetto per “la variazione di destinazione d’uso dei manufatti da uffici direzionali ad abitazioni singole” (ossia, chiaramente tra categorie, quindi, urbanisticamente rilevanti).

Qui il TAR aveva anche ribadito l’onere di  Roma Capitale di “riscrivere la disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso“.

Tale tesi, peraltro, aveva trovato eco anche in alcuni atti di indirizzo del Dipartimento che ribadivano la necessità di riscrittura della disciplina ex art. 45, co. 6, NTA PRG.

 

II. Il “ripensamento” del TAR Lazio

Tuttavia, più di recente, il TAR Lazio ha manifestato un notevole ripensamento, finendo per re-interpretare il principio dettato dal Cons. Stato 4546/2010, nel senso che lo stesso sarebbe riferito solo alle ipotesi di cambi d’uso infra-categoria (per i quali varrebbe l’annullamento dell’art. 45, co. 6, NTA PRG), ma non per i cambi d’uso fra categorie, per i quali continuerebbero ad operare ancora i limiti – procedimentali e sostanziali – dell’art. 45, co. 6 NTA PRG.

Tra queste decisioni, ad esempio, si segnala TAR Lazio, Sez. II-bis 10.8.2020, n. 9111, secondo cui la disciplina di PRG in questione, per effetto della decisione del Consiglio di Stato del 2010 sarebbe restata in vita (con gli obblighi di piano di recupero, mix funzionale e contributo straordinario) in caso di cambio d’uso tra categorie autonome.

Secondo il TAR la disciplina ex art. 45 co. 6 NTA PRG, “lungi dal rappresentare una palese incongruenza, (…) o una previsione sproporzionata e contraddittoria rispetto al regime agevolato introdotto in generale dal legislatore per i cambi di destinazione e rispetto alla funzione “classica” dei “piani di recupero” “, costituirebbe  “… una ponderata scelta prevista dallo strumento urbanistico (NTA al PRG per la Città Consolidata) volta ad evitare, in zone in cui la vocazione abitativa è già predominante, la trasformazione di ulteriori settori di città in “quartieri dormitorio”, privi di servizi ed attrezzature di interesse collettivo“.

Di analogo tenore anche la più recente sentenza 16.4.2021, n. 4525, sempre della Sez. II-bis del TAR Lazio dove, nuovamente, si “circoscrive” la illegittimità dell’art. 45, co. 6, NTA PRG alle sole ipotesi di cambi d’uso infra-categoria.

Sicuramente la questione tornerà al vaglio del Consiglio di Stato per una possibile “interpretazione autentica” dell’annullamento dell’art. 45, co. 6, NTA PRG.

Il tutto, peraltro, in un quadro in cui, nel frattempo, il Decreto Semplificazioni ha dequotato a manutenzione straordinaria addirittura il cambio d’uso urbanisticamente rilevante a condizione che non vi sia aggravio del carico urbanistico (si v. il nuovo art. 3, co. 1, lett. b), D.P.R. 380/01).

 

III. Interferenze con l’art. 6 L.R. 7/2017? 

In attesa che il quadro sull’art. 45 co. 6 NTA PRG si chiarisca (almeno al livello giurisprudenziale), pare anche possibile ragionare sui rapporti tra tale norma di piano e l’art. 6, co. 2, L.R. 7/2017.

In particolare, tale norma prevede che

“nell’ambito degli interventi di cui al comma 1, oltre al mantenimento della destinazione d’uso in essere, sono altresì consentiti i cambi di destinazione d’uso nel rispetto delle destinazioni d’uso previste dagli strumenti urbanistici generali vigenti indipendentemente dalle modalità di attuazione dirette o indirette e da altre prescrizioni previste dagli stessi. Sono, altresì, consentiti i cambi all’interno della stessa categoria funzionale di cui all’articolo 23 ter del d.p.r. 380/2001″

A prima lettura una siffatta formulazione parrebbe del tutto idonea a superare sia l’obbligo dello strumento attuativo (che costituisce modalità di attuazione indiretta del cambio d’uso) sia la prescrizione del mix funzionale (ossia l’obbligo di destinare almeno il 30% della SUL ad “abitazioni collettive”, “servizi alle persone” e “attrezzature collettive”.

Tale previsione sembra infatti appartenere alla categoria delle “altre prescrizioni” imposte dallo strumento urbanistico, come tali superabili/derogabili in sede di applicazione dell’art. 6, co. 2, L.R. 7/2017.

In relazione a tale tema si segnala, tuttavia, la sentenza TAR Lazio, Sez. II-bis, 1.7.2020, n. 7476.

La decisione (relativa ad una vicenda di particolare complessità fattuale e procedimentale) merita di essere presa in considerazione, in questo breve excursus, in ragione di due passaggi.

Il primo attiene all’affermazione secondo cui il c.d. mix funzionale (l’obbligo di destinare il 30% a “abitazioni collettive”, “servizi alle persone” e “attrezzature collettive” sarebbe sopravvissuto, in ogni caso, all’annullamento dell’art. 45, co. 6 NTA PRG, sicché esso si imporrebbe anche laddove non sia necessario lo strumento attuativo (per le fattispecie in cui il relativo onere, in ipotesi, sussista).

Posta tale affermazione (la cui condivisibilità pare comunque dubbia, considerato il chiaro nesso tra tale onere e quello di previo strumento attuativo indicato dall’art. 45 co. 6 NTA PRG), il TAR afferma poi, nel secondo passaggio che qui ci interessa, che l’obbligo di riserva del 30% al mix funzionale non costituirebbe né una “modalità di attuazione” né, tanto meno, una “altra prescrizione“, con conseguente non derogabilità ex art. 6, co. 2 L.R. 7/2017.

Secondo il TAR, infatti, il mix funzionale costituirebbe una “destinazione urbanistica” prevista dal PRG per la Città Consolidata.

Anche tale affermazione ci pare, tuttavia, non meritevole di condivisione, atteso che le destinazioni ammissibili cui si riferisce l’art. 6, co. 2, L.R. 7/2017 sono quelle “in generale” previste dallo strumento urbanistico per la zona territoriale nella quale viene posto l’intervento di ristrutturazione/demo-ricostruzione ex art. 6 L.R. 7/2017.

E, al riguardo, l’art. 44, co. 4, NTA per la Città consolidata, ammette “in generale” (salvo specifiche limitazioni dettate per ciascuno specifico tessuto ivi ricadente) tutte le destinazioni che, a loro volta, ricomprendono, quali “particolari”, le destinazioni di dettaglio ricomprese nel mix funzionale (ossia: le abitazioni collettive sono un genus della destinazione abitativa mentre i servizi alle persone e le attrezzature collettive costituiscono un genus della categoria “servizi”).

Senza considerare, ancora, che l’ultimo periodo dell’art. 6, co. 2, L.R. 7/2017 ammette sempre i “cambi all’interno della stessa categoria funzionale di cui all’articolo 23 ter del d.p.r. 380/2001″ con conseguente (quantomeno potenziale, e da valutare caso per caso) potenziale irrilevanza delle “specifiche destinazioni”, quali sono quelle individuate ai fini del mix funzionale.

Tale decisione è – anche per profili di cui non si è fatto qui cenno – allo stato al vaglio del Consiglio di Stato il cui giudizio potrebbe contribuire a far chiarezza non solo sulla effettiva portata dell’annullamento dell’art. 45, co. 6, NTA PRG, ma anche sui rapporti tra tale norma (ove in parte sopravvissuta) e l’art. 6 L.R. 7/2017.