soccorso istruttorio

Soccorso istruttorio nel d.lgs. 36/2023: vecchi principi, nuove regole

soccorso istruttorioIl soccorso istruttorio nel d.lgs. 36/2023 è disciplinato dall’art. 101. La norma, pur distinguendosi dall'art. 83, comma 9, del d.lgs. 50/2016, incorpora e rende sistematici i principi e le prassi consolidate dalla giurisprudenza, valorizzando la funzione partecipativa e correttiva dell’istituto.

Partendo da un semplice comma, infatti, la giurisprudenza ha dato corpo e sostanza all’istituto, facendone prevalere la finalità partecipativa e pro-concorrenziale (dello sviluppo dell’istituto del soccorso istruttorio e degli aspetti pratici ed applicativi ne ha parlato lungamente l’Avv. Rosamaria Berloco, nel suo libro “Soccorso istruttorio negli appalti pubblici”).

Sotto l’aspetto applicativo, dunque, la prima giurisprudenza formatasi sulla scorta del nuovo testo normativo conferma che “la disciplina in materia di procedure di affidamento dei contratti pubblici stabilisce l’obbligatorietà dell’attivazione del soccorso istruttorio (ricavabile dall’uso del modo indicativo: «la stazione appaltante assegna») per integrare di ogni elemento mancante la documentazione trasmessa e sanare ogni omissione, inesattezza o irregolarità della domanda di partecipazione, con la sola esclusione della documentazione che compone l’offerta tecnica e l’offerta economica” (TAR Umbria, Sez. I, 23 dicembre 2023,  n. 758).

Uno degli aspetti su cui vale la pena soffermarsi sono le nuove chiavi di lettura che il Codice 36/2023 attribuisce all'istituto del soccorso istruttorio.

La prima è facilmente evincibile dallo stesso incipit dell’art. 101, che subordina l’attivazione del soccorso istruttorio all’assenza della documentazione del FVOE.

Come noto, una delle innovazioni più rilevanti apportate dal Codice 2023 riguarda la digitalizzazione dei contratti pubblici: in tale ottica, il soccorso istruttorio assume un ruolo centrale nell'assolvere ai principi di efficienza e trasparenza. L’istituto, dunque, deve essere interpretato alla luce dei principi e delle regole di digitalizzazione dell’intero ciclo di vita dei contratti pubblici stabilite dal nuovo codice (di cui si è lungamente parlato anche in questo video).

Una seconda chiave interpretativa deve essere rintracciata nei principi che oggi il Codice include nei primi 12 articoli: come spiega la stessa Relazione illustrativa al Codice redatta dal Consiglio di Stato, i principi assolvono “una funzione di completezza dell’ordinamento giuridico e di garanzia della tutela di interessi che altrimenti non troverebbero adeguata sistemazione nelle singole disposizioni.”

Una lettura del soccorso istruttorio alla luce dei principi codificati nel nuovo Codice viene offerta già dalla giurisprudenza: ne costituisce un valido esempio la sentenza del TRGA Bolzano n. 316/2023.

Nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale, una Amministrazione aveva indetto una procedura aperta per l’affidamento dei servizi di collaudo tecnico amministrativo, collaudo statico, collaudo tecnico funzionale degli impianti e collaudo antincendio, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Nella lex specialis era stato richiesto ai concorrenti di indicare la composizione del gruppo di lavoro. Per sopperire ad eventuali carenze e/o omissioni, la lex specialis consentiva l’attivazione del soccorso istruttorio e la possibilità per la stazione appaltante di richiedere ai concorrenti eventuali chiarimenti rispetto al contenuto delle dichiarazioni da presentare.

Il RTP collocatosi al secondo posto della graduatoria, aveva omesso di indicare nella documentazione amministrativa il professionista incaricato di eseguire il collaudo statico ed era incorso, dunque,  in un errore materiale.

La stazione appaltante, tuttavia, non aveva attivato alcun soccorso istruttorio. Al contrario, era stato attivato il soccorso istruttorio nei confronti di un altro RTP – poi risultato aggiudicatario – consentendogli di produrre un documento contenente l’indicazione degli esecutori della prestazione oggetto dell’appalto.

Tra le varie censure, parte ricorrente lamentava la violazione della disciplina sul soccorso istruttorio, affermando che l’istituto in esame non costituisce una mera facoltà della stazione appaltante, quanto più un onere procedimentale finalizzato a sanare eventuali irregolarità ovvero omissioni riguardanti la documentazione presentata dagli operatori economici, che potrebbero pregiudicare loro la possibilità di qualificarsi come aggiudicatari all’esito della procedura di gara. A parere del ricorrente, dunque, dovrebbe pertanto essere concessa indistintamente a tutti gli operatori economici l’opportunità di sanare meri errori materiali attraverso l’istituto considerato.

Nell’accogliere la censura, il Collegio ha evidenziato come la ratio del soccorso istruttorio e del soccorso procedimentale è quella di evitare che meri errori materiali possano compromettere l’interesse pubblico a stipulare il contratto di appalto con l’operatore economico che ha presentato l’offerta migliore. Il soccorso istruttorio, dunque, costituisce corollario del c.d. principio di risultato – espressamente disciplinato nell’art. 1 del d.lgs. 36/2023 - che deve considerarsi quale criterio-guida dell’azione amministrativa, ai fini della individuazione del concorrente più idoneo all’esecuzione delle prestazioni che costituiscono oggetto del contratto.

La logica che deve guidare, dunque, la lettura dell’istituto è quella volta a privilegiare la sostanza sulla forma, consentendo di integrare o precisare documentazione già presentata, a condizione che ciò non comporti modifiche sostanziali all'offerta o conferisca un vantaggio competitivo indebito.

Il Tribunale valorizza così il soccorso istruttorio nell'ottica del principio di risultato, sottolineandone la funzione di strumento volto a consentire la partecipazione più ampia e qualificata alle procedure di gara, con l’obiettivo di massimizzare la concorrenza e l'efficienza nell'assegnazione di contratti pubblici, principi oramai cristallizzati a partire dalla giurisprudenza più risalente.

(TRGA Bolzano, 25.10.2023, n. 316)


Concessioni balneari: indicazioni dall’AGCM sul contenuto dei bandi

Con un recente parere l’AGCM si è espressa in merito ad una procedura di affidamento delle concessioni demaniali marittime nel Comune di Jesolo, fornendo alcune importanti indicazioni per le Amministrazioni alle prese con la redazione di nuovi bandi.

L’Autorità ha innanzitutto accolto favorevolmente la scelta del comune di avviare delle procedure di evidenza pubblica da parte del Comune, soprattutto in considerazione dello scenario normativo attuale, che abbiamo più volte ampiamente descritto (per scaricare il nostro Paper gratuito sulle Concessioni Balneari clicca qui).

Secondo l’Autorità, uno dei punti di forza della procedura è rappresentato dalla scelta operata dal Comune di richiedere ai partecipanti la presentazione di un programma di investimenti e un piano economico-finanziario.

Non mancano tuttavia le criticità.

Innanzitutto, secondo l’Autorità, il procedimento dovrebbe svolgersi d’ufficio, su iniziativa del Comune, e non, dunque, su istanza di parte, su iniziativa degli operatori interessati a divenire concessionari.

Altro elemento di criticità rilevato dall’Autorità, attiene alla necessità di individuare, sin dall’atto di avvio della procedura, in maniera oggettiva, trasparente non discriminatoria e proporzionata, tutti i criteri che lo stesso intende valutare ai fini dell’assegnazione delle concessioni demaniali marittime, con il relativo punteggio massimo attribuibile.

La necessità di individuare precisi criteri, spiega l’Autorità, trova il proprio referente normativo nella stessa direttiva Bolkestein, che impone l’indicazione dei criteri di valutazione delle istanze ricevute. La stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 2021, proprio con specifico riguardo ai criteri da utilizzare nel bando di gara, hanno ricordato che detti criteri “dovrebbero dunque riguardare la capacità tecnica, professionale, finanziaria ed economica degli operatori, essere collegati all’oggetto del contratto e figurare nei documenti di gara”. Tra i criteri individuati per valutare la capacità tecnica e professionale potranno essere individuati anche criteri il grado di “valorizzare l’esperienza professionale e il know how acquisito da chi ha già svolto attività di gestione di beni analoghi (e, quindi, anche del concessionario uscente, ma a parità di condizioni con gli altri)”.

Dal punto di vista generale, dunque, tali criteri devono rispettare la par conidico tra i concorrenti e non possono costituire ostacoli per l’accesso al settore da parte di nuovi operatori economici.

Sulla scorta di tali considerazioni, l’autorità ha chiesto di modificare la norma che subordina l’ammissione della domanda solo nel caso in cui sia compatibile con i vincoli di carattere territoriale, urbanistico, ambientale, nonché quella che attribuisce preferenza alle domande proposte dalle strutture ricettive vicine.

Con riferimento alla prima norma, l’Autorità ha precisato che la presenza di vincoli ambientali e paesaggistici non può tradursi tout court in un ostacolo al libero dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali: ove l’amministrazione consenta l’assegnazione di una concessione in un’area sottoposta a tale tipologia di vincolo, tale scelta non può pregiudicare il libero spiegarsi della concorrenza.

Quanto alla norma che attribuiva preferenza alle domande delle strutture ricettive degli arenili prospicienti, l’Autorità ha precisato come tale previsione, riconoscendo un vantaggio a priori a determinati soggetti, indipendentemente dal contesto concorsuale, è suscettibile di tradursi in una limitazione della concorrenza e, pertanto, dovrebbe essere sostituita con una disposizione che preveda la piena equipollenza tra le domande dei diversi aspiranti.

Su tale aspetto, ricorda l’AGCM, l’art. 12, comma 2, della direttiva 2006/123/CE, vieta in ogni caso di prevedere una procedura di rinnovo automatico della concessione, sicché ogni prescrizione di simile tenore si pone in contrasto con la normativa europea.

A ritenere ammissibile la norma contenuta della documentazione di gara, dunque, si determinerebbe una chiusura del mercato alla concorrenza per un lungo periodo, pari a ulteriori dieci anni rispetto ai cinque previsti, impedendo di cogliere i benefici derivanti dal periodico affidamento mediante procedure competitive delle concessioni balneari.

Infine l’AGCM ha precisato che al fine di non vanificare il ricorso a procedure concorrenziali di assegnazione, le concessioni dovrebbero avere una durata limitata, commisurata al valore della concessione e alla sua complessità organizzativa. Gli investimenti, dunque, dovrebbero essere proporzionati alla durata della concessione, la quale, a sua volta, non dovrebbe eccedere il tempo ragionevolmente necessario per il recupero degli investimenti autorizzati dall’ente concedente in sede di assegnazione della concessione e un’equa remunerazione del capitale investito.

Come tutelare gli investimenti del concessionario uscente? Per l’AGCM il valore di eventuali investimenti effettuati dal gestore uscente e non ancora ammortizzati al temine della concessione, per i quali non è possibile la vendita su un mercato secondario, può essere posto a base d’asta nella successiva procedura selettiva. In tal modo, l’esigenza di rimborsare i costi non recuperati sopportati dal concessionario uscente risulterebbe compatibile con procedure di affidamento coerenti sia con i principi della concorrenza, sia con gli incentivi ad effettuare gli investimenti.

Parere AGCM AS1930 – Bollettino n. 49 del 27 dicembre 2023


Servizi noleggio senza conducente: i regolamenti comunali possono limitare l’attività d’impresa?

Spesso i regolamenti comunali possono limitare l’attività d’impresa, potendo “allargare” o “restringere” le maglie imposte dalla normativa statale e, dunque, determinare il mercato locale.

Nel settore dei servizi per la mobilità, ciò accade di frequente: il Codice della strada assegna infatti ai comuni un ruolo significativo nella gestione della viabilità cittadina e, dunque, del relativo mercato dei servizi per la mobilità.

L’esercizio di tali poteri da parte dei singoli comuni, sebbene esercitato entro i limiti predeterminati dalla normativa statale, fa sì che siano tutt’altro che infrequenti i casi in cui determinati servizi o determinate modalità di esercizio dei servizi siano differenti a seconda del territorio comunale in cui vengono svolti.

Fino a che punto i comuni possono imporre restrizioni e vincoli all’attività d’impresa liberalizzata?

Un recente parere dell’AGCM offre degli interessanti spunti in merito, focalizzandosi sulle regole previste a livello statale per l’esercizio dell’attività di noleggio senza conducente e sui poteri dei comuni di dettare delle regole per l’accesso al mercato.

Il contenuto del Regolamento

Il Regolamento comunale sottoposto all’attenzione dell’Autorità conteneva alcune prescrizioni relative all’esercizio dell’attività di noleggio di veicoli senza conducente. In particolare, il Regolamento ha introdotto tre prescrizioni peculiari, su cui l’Autorità ha espresso il proprio parere.

Innanzitutto, il Regolamento prevede una distanza minima tra gli esercizi, in caso di apertura di una nuova attività o di spostamento di un’attività già esistente.

Viene poi individuato un numero massimo di veicoli per ciascuna tipologia utilizzabili da ogni attività, determinando quindi anche la specifica composizione del parco veicoli di ogni esercizio. Tuttavia tale restrizione si applica esclusivamente ai nuovi esercizi, atteso che per coloro che esercitano già tale attività è possibile mantenere i veicoli in uso.

Il regolamento poi prevede un numero massimo complessivo di quadricicli a motore da utilizzare per il noleggio su tutto il territorio comunale, che possono essere adibiti unicamente al noleggio per “escursioni guidate effettuate dal titolare dell’impresa, da un familiare collaboratore o da un suo dipendente”.

Il parere dell’AGCM

Secondo l’Autorità, il Regolamento comunale in esame introduce previsioni che ostacolano l’accesso e l’esercizio dell’attività di noleggio di veicoli senza conducente, ponendosi così in contrasto con i principi di liberalizzazione e concorrenza, nazionali e comunitari, vigenti in materia, oltre che con lo stesso art. 41 Cost.

L’Autorità ricorda come a livello statale, l’art. 84 del Codice della strada precisa che un veicolo si intende adibito a locazione senza conducente “quando il locatore, dietro corrispettivo, si obbliga a mettere a disposizione del locatario, per le esigenze di quest’ultimo, il veicolo stesso”.

L’attività di noleggio senza conducente è un’attività liberalizzata, che può essere avviata mediante la presentazione di una SCIA innanzi al SUAP del comune nel cui territorio è ubicata la sede legale dell’impresa e al comune nel cui territorio è presente ogni singola articolazione commerciale dell’impresa.

Con riferimento alle distanze minime individuate dal Regolamento, l’Autorità spiega come l’art. 34, comma 2, del D.L. 201/2011 (c.d. Salva Italia - L. 214/2011), ha previsto l’abrogazione di una serie di restrizioni disposte dalla norma statale, tra cui le limitazioni relative alle “distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all’esercizio di una attività economica”:

Il decreto in parola, infatti, ha stabilito in via generale che “la disciplina delle attività economiche è improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario, che possono giustificare l’introduzione di previ atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo, nel rispetto del principio di proporzionalità”.

A parere dell’AGCM, dunque, la previsione di distanze minime tra le attività commerciali impedisce, di fatto, l’adeguamento della struttura del mercato alle esigenze dei consumatori.

Pertanto, in assenza di una motivazione legata alla tutela di interessi generali e superiori – assente nel Regolamento in questione -, simili restrizioni sono assolutamente contrarie non solo alla legge statale ma anche ai principi di liberalizzazione e concorrenza.

Con riferimento ai limiti quantitativi dei veicoli, applicabili esclusivamente ai “nuovi esercizi”, l’Autorità ha rilevato come tali restrizioni avrebbero quale unico fine quello di tutelare economicamente le imprese già operanti nel mercato, limitando i nuovi esercizi e creando di fatto una riserva in favore delle sole imprese già attive nel mercato. Una simile previsione, dunque, finisce per distorcere la concorrenza e introduce una ingiustificata discriminazione tra operatori economici attivi nel medesimo mercato.

Quanto alla prescrizione relativa al numero massimo di quadricicli a motore adibiti unicamente al noleggio per “escursioni guidate effettuate dal titolare dell’impresa, da un familiare collaboratore o da un suo dipendente”, l’Autorità ha ritenuto che tale norma fosse finalizzata a disciplinare l’esercizio delle attività di noleggio di veicoli con conducente (c.d. NCC). In altre parole, nel disciplinare le regole per il noleggio senza conducente, il Regolamento avrebbe imposto agli operatori effettuare il noleggio di alcune tipologie di veicoli per una specifica finalità e unicamente predeterminandone il guidatore.

Una simile imposizione, dunque, finisce per porsi in contrasto con l’art. 84 del Codice della strada, che prevede che il noleggio senza conducente avviene “per le esigenze” del locatario del veicolo, lasciando quindi libero tale ultimo soggetto di decidere la finalità del noleggio. Allo stesso tempo, spiega l’Autorità, tale prescrizione si pone in contrasto non solo con i principi posti a tutela della concorrenza, ma anche con le stesse finalità del Regolamento comunale in esame, il quale ha come scopo quello di disciplinare le sole attività di noleggio senza conducente.

Bollettino n. 46/2023 – Parere AS1928


procedure mobility sharing - legal team

Micromobilità in sharing: esclusa l'applicazione del codice dei contratti pubblici

procedure mobility sharing - legal teamCome si individuano gli operatori che gestiscono i servizi di mobilità in sharing? In assenza di puntuali riferimenti normativi, i comuni hanno dato accesso al mercato della micromobilità cittadina tramite strumenti normativi differenti.

Ne abbiamo parlato diffusamente nel nostro Paper Smart mobility: un dialogo in continua evoluzione, scaricabile gratuitamente a questo link.

La domanda che spesso gli operatori e le amministrazioni si pongono è la seguente: per l’individuazione degli operatori si applica il codice dei contratti pubblici?

Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 2 maggio 2023 n. 4368 (che abbiamo commentato qui), aveva già avuto modo di chiarire che le procedure comparative per l’assegnazione del servizio di monopattini elettrici in sharing non hanno né natura concessoria, né rappresentano un appalto di servizi, per cui resta esclusa l’applicazione della disciplina del Codice dei Contratti Pubblici.

Tale conclusione è stata di recente confermata dal Consiglio di Stato nella sentenza del 3 novembre 2023, n. 9541.

La pronuncia trae origine da una procedura indetta dal Comune di Bari per l’individuazione di operatori interessati a svolgere il servizio di noleggio di monopattini elettrici con sistema di free floating sul territorio comunale.

In questo caso i giudici hanno precisato che il servizio di noleggio di monopattini elettrici non è servizio pubblico mancando, nella fattispecie, quantomeno uno dei requisiti essenziali del servizio pubblico, ossia l’assunzione del servizio da parte dell’amministrazione, presupposto anche dell’eventuale affidamento a terzi.

Il servizio rientra, pertanto, tra le attività imprenditoriali svolte da privati tendenzialmente liberalizzate, così come descritte dalla nota direttiva 2006/123/CE, c.d. direttiva Bolkenstein.

Il servizio di noleggio monopattini è un servizio rivolto al pubblico indistinto degli utenti, per cui trova applicazione l’art. 9 della direttiva 2006/123/CE, “in base al quale queste attività sono soggette alla previa autorizzazione qualora lo richiedano ragioni imperative d’interesse generale, che nella specie possono essere rappresentate dalla tutela della sicurezza della circolazione stradale e dalla tutela degli stessi utenti che noleggiano i monopattini elettrici”.

L’arresto del Consiglio di Stato, dunque, conferma che il servizio in esame costituisce una attività imprenditoriale liberalizzata svolta dai privati.

Cons. St., Sez. V, 3.11.2023, n. 9541


appalto

Rinegoziazione e appalto integrato: è possibile redigere il progetto esecutivo con il prezzario aggiornato?

appaltoL'aumento dei prezzi nei contratti pubblici è un tema di assoluta attualità. Sebbene il Codice dei contratti pubblici 2023 abbia introdotto numerose norme che permettono di mantenere in equilibrio il contratto minato dall’aumento spropositato dei prezzi (è il caso della revisione prezzi obbligatoria ex art. 60 d.lgs. 36/2023 e della rinegoziazione prevista dall’art. 9 d.lgs. 36/2023), numerosi sono i contratti disciplinati da corpi normativi privi di meccanismi analoghi di tutela.

La questione assume connotati peculiari nel caso dell’appalto integrato.

A fronte di un’offerta presentata sulla base di un prezzario non più attuale, è possibile per l’appaltatore redigere il progetto esecutivo sulla base dell’ultimo prezzario disponibile, che meglio rispecchi i prezzi attuali?

Con una recente delibera, l’ANAC ha risposto positivamente al quesito.

IL CASO

L’aspetto temporale e la disciplina applicabile al caso di specie sono di assoluta centralità per cogliere le conclusioni dell’Autorità.

Siamo infatti al cospetto di una procedura aperta per la realizzazione di un intervento di bonifica affidata tramite appalto integrato ai sensi dell’art. 53, comma 2, lett. c), del d.lgs. 163/2006. A base di gara, dunque, era stato posto il progetto preliminare e i concorrenti avrebbero dovuto predisporre il progetto definitivo; all’aggiudicatario sarebbe spettata la redazione del progetto esecutivo e l’esecuzione dei lavori.

Il bando di gara risaliva al dicembre 2015, con progetto preliminare approvato nel giugno 2015 e prezzario regionale 2014. Il termine di presentazione delle offerte era stato fissato nel marzo 2016. Nonostante l’aggiudicazione del febbraio 2018, a causa di un contenzioso amministrativo conclusosi solo nel 2021, le operazioni finalizzate alla sottoscrizione del contratto sono state avviate a distanza di anni.

Nell’abito della predisposizione del contratto, nel febbraio 2023, l’appaltatore aveva chiesto all’amministrazione di prevedere nel contratto l’aggiornamento del progetto esecutivo al prezzario aggiornato: in altre parole, fermo restando il ribasso offerto in gara, l’affidatario chiedeva di modificare il contratto al fine di procedere alla predisposizione del progetto esecutivo sulla base dell’ultimo prezzario regionale aggiornato, atteso non solo l’intervallo di tempo trascorso dall’offerta (circa 8 anni!), ma anche i noti eventi eccezionali ascrivibili alla categoria della causa di forza maggiore intervenuti nelle more della stipula del contratto.

L’amministrazione ha chiesto così all’ANAC di esprimersi sull’ammissibilità della richiesta avanzata dall’aggiudicatario, considerando altresì il rilevo sociale che i lavori di risanamento ambientale previsti dal progetto hanno, anche con riferimento all’economia locale del territorio.

IL PARERE DELL’ANAC

Secondo l’ANAC, le questioni da definire nel caso di specie sono essenzialmente due:

  1. la necessità che la stazione appaltante di applicare i prezzari aggiornati;
  2. la possibilità per l’amministrazione di modificare le condizioni economiche di un appalto prima della stipula del contratto;

Quanto alla prima questione, l’ANAC ha ribadito che il costo dei prodotti, delle attrezzature e delle lavorazioni deve essere determinato dalla stazione appaltante sulla base dei prezzari regionali aggiornati annualmente, precisando che “«L’obbligo di aggiornamento dei prezzi non può che riferirsi alla fase di approvazione del progetto e non a quelle ad essa successive (in tal senso depongono anche le indicazioni contenute in proposito nelle Linee Guida n. 3 e le disposizioni di cui all’art. 26 del Codice (…)» (delibera n. 768/2019 cit.)”. Si tratta di un principio cardine del sistema dei contratti pubblici che oltre a trovare conferma nei vari codici che si sono succeduti sino ad oggi (d.lgs. 163/2006, d.lgs. 50/2016 e d.lgs. 36/2023), ha trovato conferma anche nella recente legislazione emergenziale sviluppatasi negli ultimi anni (a tal proposito si rinvia al Paper di Legal Team Caro materiali e appalti pubblici disponibile gratuitamente a questo link).

La seconda questione, invece, è certamente quella di più incerta soluzione e su cui l’ANAC si concentra maggiormente.

Il tema che viene in rilievo non attiene, dunque, all’applicabilità o meno delle disposizioni emergenziali introdotte dal legislatore a cavallo tra il 2021 e il 2022 per far fronte al fenomeno c.d. caro materiali. La questione attiene alla possibilità da parte dell’aggiudicatario di redigere il progetto esecutivo avendo come riferimento l’ultimo prezzario regionale aggiornato, quindi procedendo ad una modifica delle condizioni economiche di aggiudicazione prima della stipula del contratto d’appalto.

Sia il codice del 2016, che il codice del 2006 ammettono unicamente una variazione del contratto in corso di esecuzione e sembrano escludere che sia consentito procedere ad una modifica del contratto prima della sua stipula, atteso che si tratterrebbe di una modifica delle condizioni di aggiudicazione. Sulla possibilità di apportare una variante nella fase tra l’aggiudicazione e la stipula si è acceso anche un dibattito giurisprudenziale.

Parte della giurisprudenza ritiene che non può trovare accoglimento la domanda di modifica delle pattuizioni prima di procedere alla stipulazione del contratto d’appalto (Cons. St. n. 9426/2022; TAR Lombardia n. 1343/2022).

Altra parte della giurisprudenza ritiene invece ammissibili – entro taluni e specifici limiti – modifiche alle condizioni di aggiudicazione prima della stipula del contratto d’appalto. Secondo tale indirizzo, infatti, il principio di immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto e le variazioni contrattuali non violano sempre e comunque i principi fondamentali in materia di evidenza pubblica, per cui “una richiesta di rinegoziazione deve essere presa in considerazione, al ricorrere di particolari circostanze di fatto che ne evidenzino la ragionevolezza e la plausibilità, risultando irragionevole accettare l’azzeramento degli esiti di una procedura di affidamento in assenza di specifiche e sostanziali illegittimità che la affliggano” (TAR Piemonte n. 180/2023; TAR Sardegna n. 770/2022)

Nel dare soluzione al caso sottoposto alla sua attenzione, l’ANAC aderisce a tale ultimo orientamento.

Sicché, ferma restando la necessità di rispettare i principi di parità di trattamento e di trasparenza – che impediscono, dopo l’aggiudicazione, di apportare variazioni sostanziali alle condizioni di affidamento di un contratto pubblico -, “in presenza di circostanze eccezionali sopravvenute, appare consentito procedere a modifiche non sostanziali alle predette condizioni di affidamento, anche prima della stipula, secondo il prudente apprezzamento dell’amministrazione e nel rispetto dei limiti sopra individuati”.

Secondo l’Autorità, infatti, anche la normativa emergenziale introdotta dal legislatore per far fronte al fenomeno del c.d. caro materiali che ha colpito anche l’appalto in questione, trova genesi proprio nella considerazione chela valutazione di sostenibilità e remuneratività delle offerte condotta dall’amministrazione può riferirsi ad un contesto economico non più attuale al momento della stipula del contratto, con riguardo ai prezziari utilizzati per la progettazione della gara.

Nel caso di specie, alla luce della dilazione temporale intercorsa tra l’indizione della gara – dicembre 2015 – e la sottoscrizione del contratto, unita all’emergenza sanitaria e all’attuale contesto socio-economico caratterizzato da un sensibile aumento dei costi di alcuni materiali da costruzione, “sembra consentito alla stazione appaltante procedere ad una valutazione delle richieste provenienti dall’aggiudicatario, nei termini e nei limiti indicati dalla giurisprudenza richiamata, nel rispetto dei criteri di efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, al fine di assicurare che la stipula del contratto d’appalto avvenga in condizioni di equilibrio e di evitare contestazioni in corso d’opera e ostacoli alla realizzazione della stessa a regolare d’arte”.

Si tratterebbe, in tal caso, spiega l’ANAC, di garantire la predisposizione degli elaborati progettuali sulla base del prezzario regionale aggiornato, atteso l’obbligo previsto in tal senso in via generale dal d.lgs. 163/2006 e dal d.lgs. 50/2016, ma ribadito anche dalla normativa emergenziale, in particolare dall’art. 26 del c.d. decreto Aiuti (d.l. 50/2022).

Delibera ANAC n. 335 del 12 luglio 2023


AGCM

AGCM e radiotaxi: continua la lotta alle clausole di esclusiva

AGCML’AGCM continua a censurare le clausole di esclusiva inserite negli statuti di molte società cooperative di radiotaxi.

Con l’ingresso nel mercato di società che gestiscono piattaforme digitali e/o app, che mettono in contatto diretto tassista e utente, diverse cooperative di radiotaxi hanno inserito nei loro statuti le c.d. “clausole di esclusiva”, vietando sostanzialmente ai singoli tassisti aderenti di servirsi simultaneamente di più di un intermediario che fornisca il servizio di raccolta e smistamento della domanda. Alla violazione di tale divieto corrisponde generalmente l’esclusione dalla cooperativa.

Tali comportamenti sono stati oggetto di numerose segnalazioni, a cui hanno fatto seguito numerosi provvedimenti dell’AGCM che, dal 2018, contesta tali clausole, ritenendole indebitamente restrittive della concorrenza e sottolineandone le ricadute negative tanto per i fruitori del servizio quanto per chi lo offre (in altri termini, clienti e tassisti). Vincolare i soci a destinare tutta la propria capacità produttiva alla cooperativa a cui appartengono, rappresenta una condotta idonea ad impedire e ostacolare ingiustificatamente l’accesso e lo sviluppo di altre piattaforme di intermediazione nel mercato di riferimento. L’obiettivo, invece, è quello proprio di estendere la capacità produttiva dei singoli tassisti a favore delle piattaforme concorrenti, aumentando così la fruibilità del servizio.

Tra le cooperative colpite dalle sanzioni dell’Autorità antitrust figurano quelle impiegate nei territori di Milano, Roma e Torino che, quindi, - come è facilmente immaginabile - costituiscono una grande fetta del mercato dei servizi taxi in Italia.

A tale presa di posizione dell’Autorità ha fatto seguito un acceso contenzioso dinanzi al giudice amministrativo, che ha quasi sempre confermato i provvedimenti dell’AGCM.

Ad oggi tuttavia, oltre a non esservi stato alcun intervento del legislatore in materia, tali clausole continuano a trovare spazio in regolamenti e statuti di numerose cooperative taxi.

Così l’AGCM ha recentemente avviato un nuovo procedimento istruttorio per contestare l’inottemperanza ai propri provvedimenti da parte di alcune cooperative di radiotaxi operanti sul territorio di Roma, con cui era stata accertata l’illiceità antitrust delle clausole contenute nel relativo statuto e regolamento.

Più precisamente, nel giugno 2018 (provv. n. 27244 del 27 giugno 2018) l’Autorità aveva accertato che alcune cooperative operanti nel territorio di Roma Capitale avevano posto in essere delle intese restrittive della concorrenza, inserendo, negli atti che disciplinano i rapporti tra le società e i tassisti aderenti, delle clausole che individuano specifici obblighi di non concorrenza. Tali clausole, nel loro insieme, ostacolavano l’ingresso sul mercato di imprese concorrenti e, in particolare, dei nuovi operatori che offrivano servizi di servizi di raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi.

Nel dispositivo del provvedimento, l’Autorità aveva ordinato alle cooperative di porre fine al comportamento distorsivo della concorrenza, eliminando tali clausole o riducendone la portata limitativa. Allo stesso tempo, l’Autorità aveva ordinato di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quello oggetto dell’infrazione accertata, oltre che di trasmettere una relazione sulle misure di ottemperanza adottate.

Nonostante il Consiglio di Stato avesse confermato tali provvedimenti, le cooperative non avevano posto in essere alcuna attività idonea finalizzata all’ottemperanza del provvedimento sanzionatorio. Nel gennaio 2022, l’Autorità aveva così avviato un nuovo procedimento rilevando che le cooperative di radiotaxi non avevano adottato alcuna misura volta a eliminare o ridurre la portata delle clausole di non concorrenza e si erano limitate alla non applicazione delle clausole censurate e ritenute anticoncorrenziali. Ritenendo che un simile atteggiamento integrasse comunque inottemperanza al provvedimento n. 27244/2018, l’Autorità ha così disposto una nuova sanzione. Il TAR Lazio, con sentenza n. 4769 del 20 marzo 20235 ha confermato il provvedimento (allo stato risulta pendente l’appello).

AGCM ha così aperto un nuovo procedimento finalizzato all’ottemperanza del provvedimento del 2018.

Una delle cooperative destinatarie del nuovo procedimento ha tuttavia reso noto la conclusione di un accordo tra Uber e il consorzio italiano delle cooperative di radiotaxi, grazie alla quale i taxi aderenti alle principali cooperative radiotaxi avranno a disposizione un’ulteriore opportunità di corse e dunque di guadagno grazie all’accesso alla base utenti, nazionali e stranieri, dell’app Uber.

Tale misura non è stata ritenuta idonea dall’AGCM: le clausole di esclusiva continuano ad essere presenti nello statuto e nel regolamento della cooperativa così come censurate nel provvedimento dell’AGCM del 2018.

Il provvedimento sanzionatorio, precisa l’Autorità, imponeva un’attività modificativa dello statuto mediante una delibera assembleare straordinaria dei soci, volta all’eliminazione delle clausole di esclusiva a portata assoluta, che hanno l’effetto di condizionare indebitamente la condotta dei tassisti, esercitando una illecita pressione sulla loro libertà negoziale.

L’accordo siglato con Uber, dunque, secondo l’Autorità, non consente in ogni caso ai tassisti di impiegare liberamente una quota della propria capacità produttiva in favore di piattaforme di intermediazione concorrenti, atteso che Uber è integrato con la piattaforma del consorzio. L’accordo tra le due società, secondo l’AGCM, consisterebbe in “un’alleanza strategica con cui integreranno le rispettive app, nel senso, cioè, che i clienti di entrambi i servizi confluiranno sulla stessa piattaforma, che sarà gestita sulla base dell’accordo di cooperazione; alleanza che, pertanto, non appare modificare le condizioni di concorrenza nel mercato interessato in modo idoneo ad ottemperare al provvedimento dell’Autorità”.

La cooperativa di radiotaxi, dunque, avrebbe dovuto modificare il proprio statuto tramite una delibera assembleare dei soci e non limitarsi ad informare gli stessi di un nuovo accorso commerciale, mantenendo inalterata la natura della clausola di esclusiva.

In altre parole “la parziale apertura del mercato, all’esito dell’ottemperanza da parte degli altri partecipanti all’intesa sanzionata, non elide l’obbligo di porre in essere le medesime attività di adeguamento, come individuate nel richiamato provvedimento del 2018. Se così non fosse, si disincentiverebbe l’ottemperanza di ciascuna parte destinataria di un provvedimento dell’Autorità, nella speranza che l’ottemperanza delle altre imprese compartecipi possa soddisfare le ragioni pubbliche della concorrenza”.

Mentre tutti i canali di informazione narrano quotidianamente di una domanda molto alta per tali servizi che non riesce ad essere ampiamente soddisfatta a causa di un’offerta decisamente insufficiente, l’AGCM continua a constatare l’ostilità del settore all’apertura verso le nuove tecnologie e, soprattutto verso una riforma del settore dei servizi pubblici non di linea, ora più che mai necessaria.

Provvedimento AGCM n. 30716 - Bollettino AGCM n. 28/2023

 


agcm

Concessioni balneari: l’AGCM boccia i bandi che non aprono alla concorrenza

agcmL’AGCM torna a discutere dell’assegnazione delle concessioni demaniali marittime e della proroga al 31 dicembre 2033.

Il tema delle concessioni demaniali marittime è stato oggetto di numerosi interventi da parte dell’Autorità volti a censurare sia le proroghe ingiustificate delle concessioni in essere, sia le disposizioni contenute nei bandi per l’assegnazione delle nuove concessioni che pregiudicano il corretto confronto concorrenziale.

Ne abbiamo parlato spesso anche nel nostro Paper gratuito sulle Concessioni demaniali che puoi scaricare cliccando QUI.

Proprio su questi due temi, l’AGCM è tornata ad esprimersi in un recente provvedimento.

IL CASO

Nel gennaio 2020, un Comune aveva ordinato la pubblicazione sul proprio sito istituzionale di ben 56 istanze di proroga del termine delle concessioni demaniali marittime formulate dai titolari delle stesse, con l’invito, rivolto a coloro che ne avessero avuto interesse, a presentare osservazioni e/o opposizioni avverso tali istanze. Una sola società aveva avanzato delle osservazioni sulle istanze di proroga con specifico riguardo a 3 stabilimenti per i quali erano state depositate le istanze.

Il Comune disponeva, in applicazione dell’art. 1, commi 682 L. 145/2018, la proroga delle concessioni in essere fino al 31 dicembre 2033, rinviando a una fase successiva la definizione dei procedimenti nei quali erano state presentate le osservazioni.

Nel dicembre 2020, le determine di proroga adottate del Comune erano fatte oggetto di una segnalazione all’Autorità, la quale rilevava l’illegittimità delle proroghe disposte e invitava il Comune a disapplicare la normativa nazionale indicata a fondamento, per contrasto con la disciplina e con i principi eurounitari. In riscontro alla segnalazione dell’Autorità, il Comune comunicava la propria intenzione di non procedere alla modifica dei provvedimenti di proroga in quanto ritenuti conformi ai principi eurounitari e alla disciplina nazionale dettata dal codice della navigazione e dall’art. 1, commi 682, L. 145/2018.

Solo nel marzo 2023, poi, il Comune dava seguito ai procedimenti di definizione delle istanze rispetto alle quali erano state presentate le osservazioni, avviando una manifestazione di interesse “al fine di individuare il soggetto affidatario che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione fino al 31 dicembre 2033”.

La fase di selezione dell’affidatario delle concessioni veniva articolata dal Comune in vari sub-procedimenti, consistenti:

a) nella verifica del possesso dei requisiti previsti dagli articoli 30 e 80 del d.lgs. 50/2016;

b) nell’indicazione da parte dei concorrenti della concessione demaniale marittima per la quale intendono partecipare alla fase comparativa;

c) nella “eventuale fase di comparazione”, da svolgersi secondo i criteri (di investimenti, gestione, standard di servizi offerti e maggior canone offerto) specificati in un apposito Disciplinare di gara.

La manifestazione di interesse e il disciplinare sono stati segnalati all’AGCM.

LE CONSIDERAZIONI DELL’AUTORITA’

Secondo l’AGCM, la procedura indetta dal Comune, piuttosto che avviare una reale competizione per l’assegnazione delle concessioni, aveva avvantaggiato di fatto i soli concessionari esistenti, precludendo l’accesso al settore a nuovi operatori.

Nel giungere a tale considerazione, l’Autorità ricorda che “in materia di affidamenti riguardanti l’uso di beni pubblici (rientranti nel demanio o nel patrimonio indisponibile dello Stato o degli enti locali), l’individuazione del privato affidatario deve sempre avvenire mediante l’espletamento, da parte della Pubblica Amministrazione, di procedure ad evidenza pubblica”.

In particolare, l’affidamento delle concessioni, tra cui quelle riguardanti i beni demaniali marittimi aventi finalità turistico/ricreative “deve avvenire mediante procedure concorsuali trasparenti e competitive, al fine di attenuare gli effetti distorsivi della concorrenza connessi alla posizione di privilegio attribuita al concessionario o ai concessionari”.

Si trattai di principi che, come noto, sono stati ampiamenti espressi già nelle famose sentenze gemelle n. 17/2021 e n. 18/2021 del Consiglio di Stato, in cui i giudici hanno sancito l’incompatibilità con il diritto europeo del sistema delle proroghe ex lege disposte dall’art. 1, commi 682 L. 145/2018, con conseguente venir meno degli effetti della concessione a partire dal 31 dicembre 2023, scaduto il quale “tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente da se via sia – o meno – un soggetto subentrante nella concessione”.

Con riferimento ai principi e ai criteri che devono essere utilizzati nelle predisposizioni dei bandi, il Consiglio di Stato ha precisato come detti criteri dovrebbero riguardare la capacità tecnica, professionale, finanziaria ed economica degli operatori, essendo consentito anche stilare dei criteri che valorizzino “l’esperienza professionale e il know how acquisito da chi ha già svolto attività di gestione di beni analoghi (e, quindi, anche del concessionario uscente, ma a parità di condizioni con gli altri)”.

Lo scopo, infatti, è quello di garantire criteri di selezione proporzionati, non discriminatori ed equi, consentendo a tutti gli operatori economici l’accesso alle opportunità economiche offerte dalle concessioni.

In altre parole, secondo il Consiglio si Stato, la previsione di tali criteri non può tradursi “in una sorta di sostanziale preclusione all’accesso al settore di nuovi operatori”.

Sulla stessa scia, ricorda l’Autorità, si colloca anche la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE, 20 aprile 2023, c-348/22 di cui abbiamo parlato in qui) che, nell’affermare la diretta applicabilità della Direttiva 2006/123/CE, ha ricordato l’obbligo per gli Stati membri di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali e il divieto di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività.

Alla luce di tali considerazioni, l’AGCM ha ritenuto che le decisioni assunte dal Comune nel caso di specie, non solo traevano fondamento da una disciplina il cui contrasto con i principi concorrenziali europei è oramai acclarata, ma finivano per impedire un reale confronto competitivo che, invece, per tali servizi dovrebbe essere esaltato, in ragione della scarsità delle risorse oggetto di affidamento.

La procedura selettiva avviata dal Comune nel 2023, infatti, risultava solo apparentemente rispondente ai criteri di trasparenza, imparzialità, pubblicità e par condicio richiesti dall’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE: il Comune, infatti, aveva limitato la procedura selettiva solamente a due operatori privati, l’attuale concessionario e un’altra società che aveva manifestato interesse a seguito della pubblicazione dell’avviso nel 2020.

Attraverso il Disciplinare, dunque, il Comune, piuttosto che avviare una reale competizione per il mercato, aveva di fatto avvantaggiato i concessionari esistenti, precludendo l’accesso al settore a nuovi operatori.

Oltre alla procedura di selezione, anche il sistema delle proroghe disposte dal Comune sino al 31 dicembre 2033 è risultato non rispondente ai principi concorrenziali della durata delle concessioni: nel predisporre le proroghe, il Comune non aveva condotto alcuna valutazione di carattere tecnico, economico e finanziario rispetto al valore della concessione e alla sua complessità organizzativa o al tempo necessario per la remunerazione del capitale investito. In effetti, il Comune si era limitato a indicare la medesima data prevista dalla proroga disposta dalla L. 145/2018 che, tuttavia, oggi risulta abrogata.

Il Comune, dunque, già nel 2020 – quando ha stabilito la proroga delle concessioni in essere - avrebbe dovuto disapplicare la normativa nazionale posta a fondamento delle proroghe  e procedere per tutte le concessioni demaniali marittime all’indizione di una nuova procedura a evidenza pubblica, rispettosa dei principi comunitari e in grado di garantire effettivamente il confronto concorrenziale tra più operatori.

In conclusione, dunque, l’Autorità ha ritenuto le condotte e le determinazioni assunte dal Comune contrarie agli artt. 49 e 56 del TFUE – in quanto suscettibili di limitare ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno – nonché alle disposizioni normative eurounitarie, in particolare con l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE, attesa la sua diretta applicabilità.

L’Autorità ha così invitato il Comune a modificare le deliberazioni assunte, eliminando le distorsioni concorrenziali e procedendo nel più breve tempo possibile all’indizione di procedure ad evidenza pubblica con riferimento a tutte le concessioni esistenti nel Comune.

Provv. AS1894 - Bollettino AGCM n. 26 del 10 luglio 2023

 


cooptazione

Cooptazione negli appalti pubblici: tra codice 2016 e codice 2023 le regole le fa la giurisprudenza

cooptazioneL'istituto della cooptazione torna a trovare spazio nel nuovo codice degli appalti pubblici, il d.lgs. 36/2023.

La cooptazione, anche se apparentemente assente, trovava in verità applicazione anche nel codice 2016 grazie al rinvio previsto dall’art. 216, comma 14 d.lgs. 50/2016 al d.p.r. 207/2010, il cui art. 92, comma 5 prevedeva che “Se il singolo concorrente o i concorrenti che intendano riunirsi in raggruppamento temporaneo hanno i requisiti di cui al presente articolo, possono raggruppare altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il venti per cento dell'importo complessivo dei lavori e che l'ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari all'importo dei lavori che saranno ad essa affidati”.

L’art. 68, comma 12 del d.lgs. 36/2023 - che riproduce pressoché fedelmente la lettera dell’art. 95, comma 5 del d.p.r. 207/2010 – prevede infatti che i concorrenti che si uniscono e che hanno i requisiti «possono raggruppare altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il 20% dell’importo complessivo dei lavori e che l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari all’importo dei lavori che saranno ad essa affidati».

La ratio dell’istituto della cooptazione è certamente quella di favorire le neonate imprese che si affacciano al mercato degli appalti e, dunque, di garantire la più ampia partecipazione delle PMI.

La cooptazione ha infatti lo scopo di consentire ai concorrenti non qualificati per una specifica prestazione, di maturare le capacità tecniche in categorie di lavori diversi da quelle per cui sono qualificati, affiancando un’altra impresa maggiormente qualificata.

Il rischio, tuttavia, è che il ricorso a tale istituto si trasformi in uno strumento per eludere la disciplina in tema di qualificazione e di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica.

Una delle tematiche che ha da sempre accompagnato questo istituto è legata al ruolo che assumono le imprese cooptate nell’ambito della gara e, più precisamente, che ruolo assume la cooptata dinanzi alla stazione appaltante sia rispetto all’offerta presentata e alla verifica dei requisiti, sia rispetto al regime delle responsabilità in sede di esecuzione.

Secondo l’ANAC, ad esempio, l’impresa cooptata può eseguire i lavori, ma non assume lo status di concorrente e, dunque, non è tenuta a possedere tutti i requisiti di qualificazione richiesti ai concorrenti (Determina ANAC 10.10.2012, n. 4; Delibera ANAC 1.3.2017, n. 228).

A tale conclusione sembra allinearsi anche la giurisprudenza più recente.

Con la sentenza n. 950/2023, il TAR Veneto ha colto l’occasione per fornire una ricostruzione dell’istituto.

Muovendo dagli apporti giurisprudenziali più significativi, il TAR Veneto ha chiarito innanzitutto che il soggetto cooptato non può acquistare lo status di concorrente, né di offerente o contraente e, dunque, non può acquistare alcuna quota di partecipazione all’appalto. L’impresa cooptata non può altresì ricorrere al subappalto e non è tenuta alla sottoscrizione della garanzia.

Il ricorso alla cooptazione deve essere dichiarato dal concorrente in maniera chiara e inequivocabile, fermo restando che è possibile ricorrere a tale istituto per l’esecuzione di prestazioni che “non superino il venti per cento dell’importo complessivo dei lavori e che l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari all’importo dei lavori che saranno ad essa affidati”.

In tal senso, precisa il TAR, l’impresa cooptata può non essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge di gara, ma ciò non esonera l’impresa cooptata dall’obbligo di qualificarsi per la parte di lavori assunta in proprio: “Il diverso ruolo assunto nell’ambito dell’associazione per cooptazione non esonera […] la mandante cooptata dall’obbligo di qualificarsi per la parte di lavori assunta in proprio, in conformità al principio di carattere generale di buon andamento dell’attività amministrativa e di par condicio tra operatori economici, secondo quanto previsto dalla citata disposizione regolamentare (laddove si pone la condizione che «l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari all’importo dei lavori che saranno ad essa affidati» (in questi termini: Cons. Stato, V, 17 marzo 2014, n. 1327, 10 settembre 2012, n. 4772, sopra richiamate)” (Cons. Stato, Sez. V, 21 febbraio 2020, n. 1328. Conformi ex multis: Cons. giust. amm. Reg. Sic., Sez. giur, 28 marzo 2017, n. 152; TAR Umbria, Sez. I, 13 marzo 2023, n. 146).

In sintesi, spiega il Collegio, “l’impresa cooptata può non essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge di gara, ma deve comunque avere i requisiti necessari ad eseguire le prestazioni che le vengono affidate”.

Sulla scorta di tali considerazioni, il TAR ha ritenuto legittima l’esclusione di un concorrente che aveva fatto ricorso all’istituto della cooptazione, indicando come cooptata un’impresa priva delle qualificazioni richieste dal bando.

L’impresa cooptante aveva infatti dichiarato che l’impresa cooptata avrebbe eseguito il 20% delle prestazioni OG12 per le quali il disciplinare richiedeva l’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali.

Secondo la ricorrente esclusa dalla gara, sarebbe stato sufficiente che l’operatore economico cooptante fosse in possesso di tutti i requisiti di partecipazione e di esecuzione richiesti dalla lex specialis, mentre l’impresa cooptata doveva essere in possesso di attestazioni SOA in classifiche adeguate a quelle necessarie a coprire l’importo delle prestazioni ad essa affidate.

L’impresa cooptata, tuttavia, risultava priva dell’attestazione SOA OG12 e dell’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali. Sulla scorta di tale dato, il TAR ha ritenuto legittima l’esclusione e, dunque, rigettato il ricorso promosso.

Le considerazioni espresse dal TAR costituiscono la sintesi degli apporti giurisprudenziali più recenti e permettono di coglier le implicazioni pratiche dell’istituto della cooptazione, specie in vista delle nuove norme del codice 2023 che tornano ad esplicitare la possibilità di ricorrere a tale istituto.

TAR Veneto, Sez. I, 27.6.2023 n. 910


alta velocità

Trasporto ferroviario ad alta velocità e regionale: il provvedimento dell’AGCM che guarda alla mobilità integrata

alta velocitàCon provvedimento n. 30610/2023, l’AGCM si è pronunciata sugli impegni assunti da Trenitalia in merito alla possibilità per il concorrente dei servizi di alta velocità NTV (Italo) di commercializzare anche i biglietti del servizio regionale gestito unicamente da Trenitalia e di creare un canale di vendita e di informazione analogo. Oltre a ciò, il provvedimento può certamente essere letto come una forma di apertura e di incentivo ai servizi di mobilità in chiave sempre più integrata per gli utenti.

Vediamo più nel dettaglio di cosa si tratta.

Nel marzo 2022, NTV (Italo), unico operatore italiano, oltre a Trenitalia, attivo nell’offerta di servizi di trasporto ferroviario ad altra velocità, aveva presentato una segnalazione all’AGCM dove rappresentava che Trenitalia avrebbe attuato una strategia commerciale abusiva.

Secondo NTV, Trenitalia avrebbe legato artificialmente i servizi di trasporto regionale e Intercity - gestiti da Trenitalia in regime di monopolio tramite corresponsione di corrispettivi pubblici - con i servizi di trasporto a mercato operati su rete alta velocità, dove Trenitalia è in concorrenza con NTV.

Ciò sarebbe avvenuto attraverso un’interfaccia di vendita - fisica e virtuale, diretta e indiretta - indistinta, unitaria ed esclusiva, non replicabile dai concorrenti non abilitati a vendere titoli di viaggio per i collegamenti sussidiati.

Al fine di superare questo svantaggio competitivo, NTV avrebbe ripetutamente chiesto a Trenitalia di consentirle di replicare, sui propri canali di vendita, soluzioni di viaggio che integrino le tratte regionali.

Dopo varie interlocuzioni, i due operatori ferroviari avevano raggiunto un accordo ed avevano sottoscritto un contratto per la commercializzazione, sui canali di vendita di NTV, dei biglietti dei servizi ferroviari regionali soggetti a obbligo di servizio pubblico operati da Trenitalia in combinazione con i treni AV Italo.

Tuttavia, in tale contratto Trenitalia avrebbe imposto specifiche clausole aventi ad oggetto l’accesso e il trattamento dei dati relativi ai biglietti di dubbia fattibilità tecnica, che avrebbero comportato un costo significativo a carico di NTV, oltre a prolungare le tempistiche di implementazione della soluzione.

Secondo NTV, dunque, Trenitalia farebbe leva sulla posizione dominante detenuta nei mercati dei servizi dei collegamenti ferroviari regionali e Intercity per estendere e preservare il proprio potere di mercato anche nel mercato dei servizi alta velocità, danneggiando l’unico competitor presente e ostacolando l’esplicarsi di un confronto concorrenziale basato sul merito.

Tale comportamento, dunque, avrebbe potuto integrare un presunto abuso di posizione dominante, vietato dall’art. 102 TFUE.

Nel luglio 2020, l’Autorità ha così avviato un procedimento nei confronti di Trenitalia, per accertare il presunto abuso di posizione dominante.

Nel corso di un’audizione NTV ha comunicato di aver avviato nel mese di luglio 2022 la vendita di biglietti di treni alta velocità Italo in combinazione con i biglietti di treni regionali di Trenitalia, sebbene limitatamente ai collegamenti del trasporto regionale esercitati da Trenitalia, escludendo i servizi erogati da due società partecipate da Trenitalia che gestiscono il trasporto regionale rispettivamente in Emilia-Romagna e Lombardia.

Italo aveva infatti avviato la negoziazione con le due società (che utilizzano il sistema di Trenitalia per la vendita dei biglietti) per estendere anche ad esse i contenuti dell’cccordo; tuttavia, Trenitalia, il cui coinvolgimento è necessario per le opportune estensioni all’accesso al suo sistema di vendita, avrebbe ritardando e ostacolato la trattativa.

Oltre a ciò, secondo il segnalante, sui canali di comunicazione di Trenitalia relativi al servizio regionale (in primis i monitor di bordo) venivano riprodotti annunci riguardanti solo le coincidenze con gli altri treni di Trenitalia, inclusi quelli a mercato. Al fine di garantire una corretta e completa informazione ai passeggeri, tali annunci dovrebbero includere, invece, anche le coincidenze con i treni alta velocità di Italo.

Al fine di comprendere la posizione tenuta dall’AGCM è necessario considerare il mercato di riferimento, così come tracciato nel provvedimento dell’Autorità.

La società Trenitalia opera in regime di monopolio nel segmento dei trasporti ferroviari regionali e intercity, a fronte della corresponsione di corrispettivi pubblici, mentre gestisce a mercato i servizi di alta velocità.

Si tratta di due segmenti di mercato che intercettano la domanda di viaggiatori diversi: la domanda di servizi di trasporto pubblico ferroviario regionale si rivolge principalmente ad utenti che “esprimono esigenze di mobilità a carattere continuativo su tratte primarie di breve durata in determinate fasce orarie delle giornate feriali”; i servizi di trasporto ferroviario di passeggeri a medio-lunga percorrenza su rete convenzionale, invece, “soddisfano esigenze di mobilità sovraregionale normalmente di carattere saltuario”.

Da questi ultimi si distinguono, poi, i servizi di trasporto pubblico ferroviario di passeggeri a lunga percorrenza su rete ad alta velocità, che “costituiscono un mercato rilevante del prodotto distinto dai servizi a medio-lunga percorrenza, in ragione di rilevanti differenze”.

Trenitalia detiene dunque una posizione di dominanza nei mercati dei servizi di trasporto passeggeri regionale e a medio-lunga percorrenza su rete convenzionale, potendo operare come monopolista in virtù dei contratti di servizio con gli enti pubblici. Nel settore dei servizi di trasporto ad alta velocità, invece, la stessa opera in regime di concorrenza con NTV (Italo), pur conservando rispetto a quest’ultima una posizione di preminenza.

L’AGCM ha deliberato di avviare un procedimento per violazione dell’art. 102 TFUE, ipotizzando che il rifiuto di Trenitalia di stipulare degli accordi con il competitor Italo, unite alle condizioni irragionevoli imposte negli accordi parzialmente raggiunti, integrassero un abuso di posizione dominante. Trenitalia, infatti, avrebbe fatto “leva sulla posizione dominante detenuta nei mercati dei servizi dei collegamenti ferroviari IC e TR per estendere e preservare il proprio potere di mercato anche nel mercato dei servizi AV, danneggiando l’unico competitor presente e ostacolando l’esplicarsi di un confronto concorrenziale basato sul merito”.

Nel novembre 2022 Trenitalia ha così presentato degli impegni ai sensi dell’articolo 14-ter della Legge n. 287/1990, dei quali l’AGCM aveva ordinato la pubblicazione: si tratta del c.d. market test, nel quale la congruità degli impegni assunti da un soggetto segnalato è sottoposta alla prova del mercato, affinché i terzi possano esprimere le proprie osservazioni.

All’esito delle osservazioni presentate da Italo, nel febbraio 2023 Trenitalia ha ritenuto di operare delle modifiche accessorie agli impegni inizialmente prestati, i quali sono stati favorevolmente accolti dall’AGCM.

A giudizio dell’AGCM, gli impegni sono stati valutati “idonei a risolvere le criticità concorrenziali”, favorendo lo sviluppo del mercato dei servizi di trasporto pubblico ferroviario a vantaggio dell’utenza, prescindendo dall’accertamento dell’ipotizzata infrazione.

In particolare, Trenitalia ha assunto l’impegno a collaborare con NTV, estendendo le previsioni dell’accordo anche ai biglietti dei servizi intercity e alle tratte gestite dalle due società (Trenitalia TPER s.c.a.r.l. e TRENORD s.r.l.) che operano rispettivamente in Emilia-Romagna e Lombardia. Trenitalia si è altresì impegnata ad indicare le coincidenze dei collegamenti dell’alta velocità esercitati da Italo a bordo dei treni del servizio regionale, e ciò non solo sui monitor di bordo, ma anche tramite annunci con l’altoparlante. Le coincidenze dei treni regionali con quelli dell’alta velocità verranno così annunciate secondo l’ordine cronologico di partenza dei treni, e non già sulla base della società che esercita il servizio.

Al di là dell’aspetto prettamente concorrenziale, il provvedimento dell’AGCM in questione pone particolare attenzione alla figura degli utenti e alla necessità di garantire un sistema di trasporto pubblico efficiente e sostenibile. In tal senso, il provvedimento in parola può certamente essere letto come una forma di apertura e di incentivo ai servizi di mobilità in chiave sempre più integrata.

Provvedimento AGCM n. 30610 – Bollettino n. 17/2023


Mancato riscontro ad accesso agli atti: il rischio è il danno erariale

segretarioIl mancato riscontro alle istanze di accesso agli atti può avere come conseguenza non solo l’eventuale condanna da parte del TAR adito all’ostensione degli atti richiesti, ma anche la condanna della Corte dei Conti del singolo dipendente pubblico che non ha dato seguito alla legittima richiesta d’accesso avanzata.

A confermarlo è una pronuncia della Corte dei Conti della Campania che si è espressa proprio in merito alla responsabilità erariale del pubblico funzionario che, non riscontrando la richiesta d’accesso avanzata all’Ente, ha provocato la condanna alle spese di lite dell’ente nell’ambito del giudizio amministrativo sull’accesso.

Un comune, infatti, era stato condannato dal TAR Campania alle spese di lite per un giudizio in materia di accesso agli atti: nel dichiarare l’illegittimità del diniego tenuto dal Comune sull’istanza di accesso, i giudici avevano condannato l’amministrazione all’ostensione degli atti e alla rifusione delle spese di lite.

Nello specifico, il contenzioso in oggetto traeva origine dalla richiesta di accesso agli atti esercitata da alcuni consiglieri comunali ex art. 43 TUEL e indirizzata al segretario comunale, al fine di ottenere l’ostensione di documenti nella disponibilità dell’Ente

Nonostante la domanda contenesse sia il riferimento al numero di protocollo che all’oggetto dei documenti richiesti, il segretario non aveva evaso la richiesta di accesso.

Secondo la Procura contabile, tale atteggiamento integrerebbe una condotta colposa del segretario comunale il quale, contravvenendo ai propri obblighi di servizio, aveva omesso di soddisfare una rituale istanza di accesso agli atti, provocando la condanna giudiziale del Comune al pagamento della complessiva somma di € 6.580,56.

Evocato in giudizio, il segretario si è difeso deducendo la propria incompetenza al soddisfacimento della istanza formulata, sottolineando come i consiglieri richiedenti l’accesso avrebbero dovuto rivolgere la relativa istanza direttamente agli uffici in possesso della documentazione richiesta.

Il Collegio ha ritenuto sussistente una responsabilità contabile in capo al segretario, ravvisando la presenza di tutti gli elementi tipici della responsabilità amministrativa.

Ebbene, quanto al rapporto di servizio, ossia il formale rapporto di impiego che lega il segretario al comune, questo è stato pacificatamene rinvenuto in virtù dell’inserimento del medesimo nell’organizzazione amministrativa dell’ente in qualità di segretario comunale, con partecipazione attiva allo svolgimento di un servizio pubblico e al perseguimento di interessi pubblici.

Con riferimento, poi, alla condotta e all’elemento soggettivo, il Collegio ha ravvisato l’illiceità del comportamento negligentemente serbato dal segretario il quale, “attraverso un’inescusabile condotta dilatoria ed ostruzionistica, ha vanificato l’istanza di accesso formulata da taluni consiglieri, così contravvenendo ai propri doveri d’ufficio”.

L’antigiuridicità della condotta tenuta dal segretario è stata ritenuta gravemente colposa, secondo i giudici, in ragione del ruolo rivestito del segretario, quale vertice giuridico-amministrativo dell’Ente e garante della legittimità dell’azione amministrativa. L’art. 97 TUEL infatti individua nel segretario comunale colui che “svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”.

Nel caso di specie, i giudici contabili hanno rilevato come il convenuto fosse stato investito da una richiesta d’accesso nell’esercizio delle sue funzioni da parte di alcuni consiglieri comunali sicché, sussistendone i presupposti, era obbligato ad evadere la richiesta.

Precisa a tal proposito il Collegio che il segretario avrebbe potuto al più smistare l’istanza agli uffici in possesso della documentazione seguendone poi il relativo iter. Tuttavia nulla di tutto ciò risultava avvenuto nella vicenda in esame.

Il comportamento del segretario, che aveva rivolto ai consiglieri una richiesta di integrazione dell’istanza di accesso, avrebbe ingenerato e rafforzato nei consiglieri il ragionevole affidamento in ordine alla corretta attivazione del procedimento; così facendo il segretario aveva riconosciuto la propria competenza a ricevere la domanda di accesso e ad inoltrarla agli uffici preposti.

Nessun impedimento oggettivo o errore scusabile era stato peraltro dichiarato dal segretario che, dunque, aveva agito con colpa grave. La Corte ha così condannato il segretario al pagamento dell’importo di € 5.000, oltre interessi.

Corte dei Conti Campania, 27 febbraio 2023, n. 135