Decreto semplificazioni: la determina a contrarre, anche se adottata prima della sua entrata in vigore, non vale ai fini dell'applicabilità della disciplina speciale

Decreto semplificazioni: la determina a contrarre, anche se adottata prima della sua entrata in vigore, non vale ai fini dell'applicabilità della disciplina speciale (?!)

Decreto semplificazioni: la determina a contrarre, anche se adottata prima della sua entrata in vigore, non vale ai fini dell'applicabilità della disciplina specialeIn un caso recente sottoposto al TAR Umbria si discute di quale sia il provvedimento in base al quale si determina, secondo il principio tempus regit actum, la normativa applicabile ad una procedura di gara, nella vigenza del decreto Semplificazioni.

Come noto, dalla lettura dell’art. 1 del d.l. 76/2020 (decreto semplificazioni) entrato in vigore il 17 luglio 2020 si rileva che la disciplina in esso contenuta si applicherà “qualora la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 31 dicembre 2021”.

A seguito dell’aggiudicazione della procedura – volta ad affidare l’esecuzione dei servizi di progettazione ed esecuzione di lavori – il ricorrente lamentava al TAR che la stazione appaltante – nonostante la lettera d’invito fosse datata 10 agosto 2020 – non aveva applicato la disposizione di cui all’art. 1, comma 3, d.l. 76/2020 (decreto Semplificazioni) – disposizione, quest’ultima, a mente della quale “Nel caso di aggiudicazione non il criterio del prezzo più basso, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia anche quando il numero delle offerte sia pari o superiore a cinque”.

Costituendosi in giudizio, l’amministrazione sosteneva che il ricorso andasse rigettato poiché fondato su un’argomentazione giuridicamente errata: nel caso di specie, infatti, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 97, comma 8, d.lgs. 50/2016 atteso che la stazione appaltante aveva emesso due distinte determine a contrarre ben prima dell’entrata in vigore del decreto Semplificazioni.

Il Collegio, da parte sua, accoglie il ricorso – così annullando l’aggiudicazione – statuendo che:

- per costante giurisprudenza “la procedura di affidamento di un contratto pubblico è soggetto alla normativa vigente alla data di pubblicazione del bando, in conformità al principio tempus regit actum ed alla natura del bando di gara, quale norma speciale della procedura che regola, cui non solo le imprese partecipanti, ma anche l’amministrazione non può sottrarsi” (cfr. Cons. St., Sez. V, 1275/2017, n. 2222);

-  da tale premessa deriva che “essendo state ammesse a partecipare alla procedura de qua nove concorrenti, la disciplina applicabile in materia di anomalia dell’offerta coincide con quella cronologicamente vigente al momento dell’invio, in data 10 agosto 2020, delle lettere di invito, ossia con quella di cui all’art.1, comma 3, del decreto legge n. 76/2020, entrato in vigore il 16 luglio 2020”.

Pertanto, conclude il Collegio, non merita condivisione “la prospettazione dell’amministrazione resistente per la quale ai fini dell’applicazione della disciplina di cui all’art. 97, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016, vigente prima dell’entrata in vigore del decreto legge n. 76/2020, avrebbe dovuto farsi riferimento alle determine a contrarre n. 59 del 6 maggio 2020 e n. 82 in data 8 luglio 2020, avendo la giurisprudenza definitivamente chiarito che la determina a contrarre ha natura endoprocedimentale, ex se inidonea a fondare in capo ai terzi posizioni di interesse qualificato”.

La pronuncia sin qui esaminata, pur partendo da una premessa sostanzialmente corretta e condivisibile, giunge ad una conclusione che mette in discussione senz’altro quanto stabilito con il decreto Semplificazioni.

È sicuramente corretto – e confortato anche dalla giurisprudenza che si è pronunciata sul punto - l’assunto secondo il quale la determina a contrarre non è atto con il quale l’amministrazione può bandire una procedura di appalto pubblico. Invero la determina a contrarre, in quanto atto a natura endoprocedimentale, non è in grado di produrre effetti giuridici autonomi nei confronti dei terzi, i quali non potranno quindi autonomamente impugnarla. Compito della determina a contrarre è, in altri termini, consentire all’amministrazione procedente di determinare la corretta assunzione degli impegni di spesa nell’ambito del controllo e della gestione delle risorse finanziarie dell’ente pubblico.

Quel che pare sollevare dubbi è l’assunto secondo il quale il Collegio, facendo leva sulla natura interna all’amministrazione della determina a contrarre, nega la possibilità a che dall’emanazione dell’atto in questione derivi la determinazione della normativa applicabile, ratione temporis, alla procedura di gara che seguirà.

Non si comprende dunque il senso di quanto disposto dal decreto Semplificazioni allorquando afferma che la disciplina in esso contenuta si applicherà “qualora la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato (ndr. a partire dal 17 luglio 2020) entro il 31 dicembre 2021”.

Ancora, come del resto anticipato qui, sul punto, la stessa ANAC con Delibera n. 840 del 21.10.2020 ha affermato che: “In materia di contratti pubblici sotto soglia, la previsione di carattere temporaneo di cui all’art. 1, comma 3, del D.L. n. 76/2020 (convertito con modificazioni con la L. n. 120/2020), che ha esteso l’applicabilità del meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale in presenza di cinque offerenti (in luogo di dieci, di cui all’art. 97, comma 8, del D.Lgs. n. 50/2016), si applica agli affidamenti diretti e/o alle procedure negoziate (di cui all’art. 1, comma 2, del cit. D.L.) la cui determina a contrarre o atto equivalente è stata adottata dal 17 luglio 2020 al 31 dicembre 2021. Tale disposizione non trova, invece, applicazione nelle procedure di gara pendenti alla data di entrata in vigore del Decreto“.

In ogni caso, la questione resta aperta in ragione del fatto che i termini per l’appello non sono ancora scaduti – questione su cui, nel prossimo futuro, quasi certamente torneremo.

(TAR Umbria Perugia, Sez. I, 4/12/2020, n. 559)


Caratteristiche del contratto di avvalimento: repetita iuvant.

Caratteristiche del contratto di avvalimento: repetita iuvant.

Caratteristiche del contratto di avvalimento: repetita iuvant.Il contratto di avvalimento viene spesso sottovalutato, in realtà riveste un ruolo non del tutto marginale nell’ambito delle procedure di gara. Il TAR Campania torna a occuparsi delle caratteristiche di tale contratto.

All’esito delle operazioni di una gara avente ad oggetto la realizzazione di un plesso scolastico comprensivo di scuola materna, elementare e media, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la stazione appaltante approva aggiudica l’appalto all’ATI prima classificata.

Avverso il provvedimento di aggiudicazione, la seconda classificata proponeva ricorso al TAR lamentando che l’aggiudicazione:

-  contrasta con quanto previsto dall’art. 89, comma 1, d.lgs. 50/2016: il contratto di avvalimento prodotto dall’aggiudicataria sarebbe nullo per indeterminatezza e genericità atteso che, trattandosi di avvalimento c.d. operativo, i contraenti avrebbero dovuto indicare nel dettaglio i mezzi aziendali e le risorse messe a disposizione dell’ausiliata, così da eseguire correttamente l’appalto. Ma vi è di più. Il disciplinare di gara ammette l’avvalimento in relazione al possesso della certificazione ISO 9001 solo se inscindibile dall’avvalimento della pertinente attestazione SOA dell’operatore economico ausiliario, mentre nel caso in esame ad essere oggetto di avvalimento sarebbe la sola attestazione SOA – senza cioè alcun riferimento alla certificazione di qualità (come, ad opinione della ricorrente, previsto dalla legge di gara);

- non rispetta quanto indicato dall’art. 89, comma 3, e dall’art. 83, comma 8, del Codice: la stazione appaltante, non avendo rilevato la carenza delle risorse prestate dall’ausiliaria ai fini dell’assolvimento del requisito di partecipazione dell’ausiliata, avrebbe da un lato qualificato in maniera illegittima un concorrente e dall’altro non sarebbe nella condizione di controllare – in ossequio al disposto di cui all’art. 89, comma 9, del Codice – l’effettivo impiego delle risorse relative all’attestazione SOA in sede di esecuzione del contratto.

Il Collegio, esaminando le due censure congiuntamente in ragione del fatto che i contenuti sono connotati da una sostanziale derivazione della seconda rispetto alla prima, rigetta il ricorso, motivando come segue.

L’avvalimento di cui si discute riguarda la categoria OG1, il che significa che, sebbene si versi in ambito di avvalimento c.d. operativo, non è richiesta la messa a disposizione da parte dell’ausiliaria di elementi aziendali complessi ovvero di unità di personale in possesso di specifiche qualificazioni professionali.

Il contratto di avvalimento rispetta i requisiti prescritti dalla legge: per tale motivo il contratto non solo non risulta indeterminato, ma è proporzionato agli interventi oggetto dell’appalto – ossia la costruzione di un plesso scolastico, attività per la quale la partecipante ha fornito i relativi documenti tecnici.

Non è possibile ottenere l’iscrizione alla categoria OG1 senza il previo possesso della certificazione di qualità ISO 9001: da ciò deriva, come corollario, che l’iscrizione alla categoria OG1 include il possesso della suddetta certificazione di qualità – conclusione, questa, che trova conforto nel dettato normativo (art. 84, comma 1, del Codice).

Da ultimo il TAR osserva che, in ossequio a quanto previsto dal citato art. 84 del Codice, gli organismi di attestazione, nel rilasciare la relativa certificazione, attestano l’idoneità di un operatore economico ad eseguire lavori compatibili con la categoria assegnata nonché accertano il possesso delle certificazioni ISO da parte dei titolari di attestazioni SOA.

Tanto chiarito, il Collegio conclude che “Non è quindi necessario che il contratto abbia un oggetto determinato, essendo sufficiente che questo sia determinabile sulla scorta degli elementi complessivi risultanti dall'accordo” nonché che “la mandataria della costituenda ATI si è avvalsa esclusivamente della categoria OG1” non essendo necessario avvalersi del possesso della certificazione di qualità, in virtù del fatto che le imprese partecipanti all’ATI ne erano esse stesse in possesso – in quanto solo in caso di mancato possesso di tale certificazione, precisa il Collegio, avrebbe trovato applicazione il disposto del disciplinare evidenziato dal ricorrente.

Per un approfondimento in tema di avvalimento si segnalano i seguenti contenuti del canale youtube Punto al diritto:

APPALTI PUBBLICI e avvalimento: il punto in 15 minuti

APPALTI Errori da evitare nell'avvalimento

(TAR Campania Napoli, Sez. I, 4/11/2020, n. 5021)


Rinnovo attestazione SOA come si computa il termine di 90 giorni previsto dalla legge

Rinnovo attestazione SOA: precisazione sul calcolo del termine di 90 giorni previsto dalla legge.

Rinnovo attestazione SOA come si computa il termine di 90 giorni previsto dalla leggeCon quali modalità va calcolato il termine di 90 giorni entro il quale si dovrebbe procedere all’instaurazione della procedura di rinnovo dell’attestazione SOA? Va computato, ai fini del calcolo del termine in questione, il giorno di scadenza dell’attestazione da rinnovare? È questo il quesito cui i giudici di Palazzo Spada sono chiamati a fornire risposta.

Questi i fatti.

La aggiudicataria di una procedura di appalto finalizzata ad affidare interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria volta al recupero, ove possibile, di spazi interni di immobili di proprietà dello Stato si vedeva revocata l’aggiudicazione atteso che, ad opinione della stazione appaltante, l’impresa era incorsa in un periodo di cesura nel possesso dell’attestazione SOA nel periodo compreso tra il 28 ottobre 2018 e il 25 gennaio 2019.

Più nello specifico, l’amministrazione argomentava che l’impresa – la cui attestazione SOA scadeva il 28 ottobre 2018 – avrebbe dovuto iniziare la procedura per il rinnovo della stessa entro e non oltre il 29 luglio 2018 – da anticiparsi al 28 luglio 2018 ex articolo 76, comma 5 del D.P.R. 207/2010 (90 giorni), in quanto la scadenza era di domenica.

Intenzionato a ottenere l’annullamento di un provvedimento di revoca ritenuto illegittimo, l’operatore economico adiva il TAR davanti al quale sosteneva che l’amministrazione avrebbe basato la sua decisione su un errato presupposto di fatto.

L’operatore, infatti, sosteneva di aver rispettato quanto previsto dalla legge – ossia di aver depositato richiesta di rinnovo della SOA nei termini – ed evidenziava non solo che il nuovo certificato, sia pur emesso in data successiva alla scadenza del precedente, si salderebbe a quest’ultimo, ma anche che l’eventuale venir meno della continuità dei requisiti di qualificazione è una valutazione che spetta all’organo di attestazione.

Sennonché il Collegio di prime cure, sposando in pieno l’argomentazione proposta dall’amministrazione, rigettava il ricorso, limitandosi a sostenere che “La richiesta di rinnovo…è stata inoltrata il 30 luglio 2018. Essa è pertanto da ritenersi tardiva, in quanto presentata 89 giorni prima della scadenza”. (TAR Lazio Roma, Sez. II ter, 26/8/2019, n. 10597)

Avverso tale pronuncia l’impresa insorgeva dinanzi al Consiglio di Stato, sostenendo come il Collegio capitolino avesse commesso un grossolano errore nel ritenere l’attestazione SOA – la cui domanda per il rinnovo era stata inoltrata il 30 luglio 2018 – una certificazione nuova – quindi slegata da quella precedente, scaduta secondo il TAR il 28 luglio 2018.

Nell’accogliere l’appello, i giudici di Palazzo Spada non condividono le conclusioni cui è giunto il Collegio di prime cure atteso che:

1) il 27 ottobre 2018 era l’ultimo giorno di validità della SOA in contestazione: tale data non può costituire, quindi, il primo giorno di validità della nuova attestazione – come provato anche dalla determina di esclusione, in cui era espressamente statuito che la SOA in scadenza avrebbe perduto efficacia il 28 ottobre 2018;

2) il 27 ottobre 2018, dunque, va conteggiato nel calcolo ai fini della determinazione della tempestività della richiesta di rinnovo, del che la richiesta effettuata dall’operatore il 30 luglio risulta perfettamente nei termini;

3) ove così non fosse – ossia facendo partire dal 27 ottobre il calcolo ai sensi dell’articolo 76, comma 3 del D.P.R. 207/2010 - si verificherebbe una sovrapposizione tra il primo giorno di validità della nuova attestazione e l’ultimo giorno di validità della certificazione in scadenza – con la conseguenza che verrebbe sottratto un giorno alla validità quinquennale delle SOA, come previsto dall’articolo 84, comma 11, Codice;

4) accogliere l’impostazione resa dal Collegio di primo grado – ossia considerare il 28 luglio 2018 ultimo giorno utile per la stipula del contratto relativo alla certificazione in esame – porterebbe alla conseguenza che il termine di 90 giorni, riconosciuto alla società di attestazione per l’emissione della SOA, scadrebbe il 26 ottobre 2018 – con la conseguenza che il termine fissato per l’organo di attestazione si verificherebbe prima del termine quinquennale di scadenza della precedente certificazione (rispettivamente 27 e 28 ottobre 2018)

Tanto premesso, il Consiglio di Stato conclude che “considerando la data del 28 ottobre 2017 quale dies a quo per l’impresa (art. 76, comma 5) e come dies ad quem per l’organismo di attestazione (art. 76, comma 3), la validità del nuovo certificato si situa il giorno successivo all’ultimo giorno di validità del precedente attestato quinquennale, realizzando così quella perfetta continuità, o “saldatura”, perseguita dal legislatore agli scopi di cui sopra. Indi, deve concludersi che, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, la richiesta di rinnovo dell’attestazione dell’appellata del 30 luglio 2018 ha rispettato il termine di cui all’art. 76, comma 5, d.P.R. n. 207 del 2010, con la conseguenza che la nuova attestazione, ancorché non emessa alla data di scadenza della precedente, bensì il 25 gennaio 2019, non ha comportato la soluzione di continuità nel possesso del requisito”.

(Cons. St., Sez. V, 18/11/2020, n. 7178)


FAQ ricalcolo buoni postali

FAQ Ricalcolo buoni postali

I soggetti che siano in possesso di buoni fruttiferi postali emessi da Poste Italiane, appartenenti alle serie Q, R, S, emessi tra il 1986 e il 1997, e quelli della serie AF, CE, AA1, AA2, AA3, emessi nei primi anni 2000, e che riportino sul buono due distinti timbri, uno nella parte anteriore e uno in quella posteriore, hanno diritto, attraverso il ricalcolo, al rimborso secondo i tassi d’interesse da applicare dal ventunesimo al trentesimo anno come quelli riportati sul retro dei buoni, secondo l’originario e più favorevole regolamento pattizio (clicca qui per saperne di più).

Per rendere più semplice la comprensione della campagna legale, abbiamo predisposto le FAQ (risposte alle domande più frequenti).

Per ulteriori dubbi e per ricevere una valutazione gratuita del Tuo caso clicca qui.

  • Per quali buoni si può richiedere il rimborso/ricalcolo?

Buoni della serie Q, R, S, in taluni casi O, emessi tra il 1986 e il 1997, nonché della serie AF, CE, AA1, AA2, AA3 emessi nei primi anni 2000.

  • I buoni fruttiferi postali possono cadere in prescrizione?

I buoni fruttiferi postali rappresentati da documenti cartacei nominativi si prescrivono a favore dell’Emittente trascorsi 10 anni dalla scadenza del titolo. La prescrizione del titolo fa decadere il diritto al rimborso sia del capitale investito che degli interessi maturati.

Si tenga presente che, in base alla normativa sui depositi dormienti, trascorsi 10 anni dalla data di scadenza, l’importo dovuto ai beneficiari dei buoni fruttiferi postali emessi dopo il 14 aprile 2001 è versato al Fondo istituito presso il MEF (L. 27 ottobre 2008, n. 166). 

  • Se ho già incassato un buono fruttifero postale, sono ancora in tempo per verificare se ho diritto al rimborso/ricalcolo?

Si certo si è ancora in tempo per contestare i maggiori rendimenti a Poste. Il termine di prescrizione è di 10 anni dalla data in cui il buono è stato incassato. Ovviamente è necessario visionare la copia fronte/retro del buono per comprendere se la somma che le è stata liquidata è corretta. 

  • Se ho incassato un buono negli anni scorsi ma non ho conservato nulla, come posso richiedere la copia del buono?

Se non si è conservato la copia del buono l’importante è aver segnato alcuni dati quali: il numero del buono, l’anno di emissione e l’importo. In questo modo può recarsi all’ufficio postale e richiedere copia dei buoni. Allo sportello le faranno compilare il Modulo denominato “Richiesta copia di estratto conto deposito titoli, titoli emessi/pagati e disposizioni di movimentazione rapporti” che consente di avere la copia dei titoli postali che sono stati pagati al beneficiario o agli intestatari/cointestatari. Il costo per il servizio è di 10 euro per fotocopia.

  •  Se ho smarrito un buono fruttifero postale è possibile richiederne il duplicato?

Si è possibile richiedere il duplicato di buoni fruttiferi postali smarriti/sottratti/distrutti previo espletamento della procedura di ammortamento. La duplicazione può essere richiesta presso qualunque ufficio postale mediante compilazione e sottoscrizione della denuncia di perdita (Mod. W136355) sulla quale devono essere indicati gli estremi necessari per l’identificazione del buono e, sommariamente, le circostanze dell’evento nonché, in caso di smarrimento/sottrazione, gli estremi della denuncia presentata agli Organi di Pubblica Sicurezza.

La richiesta deve essere fatta dall’intestatario o da un suo procuratore (da tutti gli intestatari in caso di buoni cointestati con o senza la clausola “pari facoltà di rimborso”), nel caso di un intestatario minore di età dai genitori in qualità di esercenti la patria potestà, da tutti gli eredi in caso di titoli caduti in successione. Secondo la normativa vigente, l’ufficio postale provvede a affiggere nei propri locali aperti al pubblico un “avviso/diffida” per 30 giorni consecutivi nel caso di buoni dal valore nominale inferiore a 516,46 euro (1.000.000 di lire) o 90 giorni consecutivi nel caso di buoni dal valore nominale uguale o superiore a 516,46 euro (1.000.000 di lire). Trascorso tale periodo è possibile il rilascio del duplicato. La duplicazione del buono cartaceo comporta il pagamento di 1,55 euro indipendentemente dal valore nominale dello stesso.

  • Per la liquidazione del buono Poste mi chiede di firmare un modulo “a conferma e benestare del rimborso”, se lo firmo rinuncio alla possibilità da fare delle contestazioni sulla somma che mi hanno dato e chiedere il rimborso/ricalcolo?

Nonostante la sottoscrizione del benestare, vi è la possibilità di effettuare comunque delle contestazioni sulla somma liquidata se non ritenuta corretta. Non si tratta di una dichiarazione liberatorianei confronti di Poste, perché chi la sottoscrive: a) non ha piena consapevolezza della somma a cui rinuncia; b) non esprime alcuna volontà di rinunciare all’esercizio di un diritto ma, al contrario, si limita a dare atto del pagamento ricevuto.

  • Mi sono rivolto ad un’associazione di consumatori ma la richiesta è stata respinta. Cosa posso fare adesso?

Dovrebbe richiedere informazioni direttamente all’associazione a cui si è rivolta. Purtroppo se la domanda è stata respinta si può valutare la proposizione dell’appello (se si era in precedenza rivolta al Tribunale o al Giudice di Pace) oppure ricorrere in Tribunale (se in precedenza si era rivolta all’ABF).

  • Da cosa dipende l’importo del rimborso?

Da vari fattori quali il capitale investito, la serie del buono, dal momento in cui si è ritirato il capitale, dai tassi indicati sui timbri.

  • La cifra riscossa è soggetta a ritenute e imposte?

Si. Ci sono ritenute fiscali per i buoni emessi dal 21 settembre 1986. Vi sono imposte di bollo per ogni anno, introdotte nel 2012, (valida solo per i buoni con un valore di rimborso di oltre 5.000,00 €). Inoltre il DM 13/06/1986 per tutti i buoni emessi dopo il 13 giugno 1986 ha esteso i tassi di interessi meno favorevoli delle serie precedenti.

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Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: primi spunti di riflessione

Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: primi spunti di riflessione

Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: primi spunti di riflessioneAll’indomani della pubblicazione del d.l. 76/2020 (c.d. Decreto Semplificazioni), ha destato molta perplessità la previsione sull’esclusione automatica delle offerte anomale nelle gare sotto soglia da aggiudicarsi al prezzo più basso di cui all’art. 1, comma 3, del predetto decreto.

In questo articolo avevamo cercato di fare chiarezza evidenziando come, a differenza di quanto previsto dalla norma generale, art. 97, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, l’istituto in questione si applica anche a prescindere dalla previsione di una clausola ad hoc nella lex specialis.

Visto il quadro normativo emergenziale molto complesso si è auspicato da più parti l’intervento della giurisprudenza per far luce su aspetti come quello oggetto del presente articolo.

È di ieri la pronuncia del TAR Piemonte che interviene sulla questione.

La vicenda che occupa – riguardante l’esclusione di una offerta ritenuta anomala – ha origine da una procedura di gara negoziata, cui si accedeva attraverso lettere d’invito, con la quale la stazione appaltante intendeva aggiudicare il servizio di conduzione e manutenzione, nonché l’assunzione del ruolo di terzo responsabile degli impianti di riscaldamento di un comune.

Tale procedura negoziata – da aggiudicarsi con il criterio del minor prezzo – veniva aggiudicata all’impresa che offriva un ribasso percentuale del 18,36% - laddove l’impresa che presentava l’offerta recante il maggior ribasso veniva esclusa senza avere possibilità di giustificare la sostenibilità dell’offerta formulata.

Avverso tale esclusione nonché contro tutti gli atti ad essa connessi e consequenziali, ivi inclusa l’eventuale stipula del contratto, l’impresa esclusa si rivolge al TAR davanti al quale censura, per quanto qui di interesse, la decisione della stazione appaltante di disporre l’esclusione automatica dell’offerta ritenuta anomala in ossequio a quanto previsto dall’articolo 1, comma 3, del Decreto Semplificazioni.

Per offrire una risposta quanto più compiuta possibile alla censura così formulata, il Collegio ritiene opportuna una ricostruzione del “convulso quadro normativo e dei fatti che caratterizzano la gara controversa”.

Il comma 3 dell’articolo 1 del decreto in questione – disposizione intorno a cui ruota l’intera vicenda – prevede, nello specifico, che, ove venga adottato il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, le stazioni appaltanti escludono in via automatica tutte le offerte recanti un ribasso percentuale pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell’articolo 97 commi 2, 2bis e 2ter Codice – ciò nel caso in cui il numero delle offerte pervenute sia pari o superiore a cinque.

Il citato articolo 1, comma 3, derogando a quanto previsto dal d.lgs. 50/2016, si applica – ex articolo 1, comma 1, del Decreto Semplificazioni – nel caso in cui la determina a contrarre o atto di avvio del procedimento ad essa equivalente venga pubblicato entro il 31.12.2021.

La deroga è giustificata dal fatto che il legislatore - ritenendo l’efficacia della spesa pubblica una forma di volano dell’economia in un periodo caratterizzato da crisi economica - ha introdotto una disciplina emergenziale con la quale si privilegiano gare di appalto pubbliche più snelle e una gestione meccanica di alcuni passaggi delle stesse.

Ad avviso del Collegio, a differenza di quanto sostenuto nell’atto introduttivo del giudizio, il ricorso alla disciplina emergenziale non è correlato – come vorrebbe far credere l’impresa esclusa – all’emergenza sanitaria causata dalla pandemia in corso, ma è connesso all’emergenza economica conseguenza dell’emergenza sanitaria medesima.

Dall’esame degli atti di gara risulta, a parere del Collegio, pacifico che:

- la stazione appaltante - nella gara che occupa, in cui sono state invitate e hanno presentato offerta cinque imprese – ha applicato il meccanismo derogatorio di cui all’articolo 1, comma 3, del Decreto Semplificazioni;

- dalla lettera di invito non si evince il ricorso al meccanismo di esclusione automatica, dacché detto documento prevede che “Ai sensi dell’art. 97 comma 3bis ove il numero delle offerte ammesse sia pari o superiori a cinque. co. 2, 2bis, 2 ter del D.Lgs 50/2016, 3bis. Non sarà effettuato il calcolo della soglia di anomalia”. Tale frase, palesemente priva di senso, non permette di determinare la disciplina applicabile alla gara in questione;

- dal semplice esame della normativa di gara, è possibile però comprendere che la procedura stessa intende porsi nell’alveo della disciplina derogatoria di cui al d.l. 76/2020 – come evidenziato dal fatto che la stazione appaltante ha invitato cinque operatori, facendo così scattare le condizioni per l’esclusione automatica prevista dall’articolo 1, comma 3, del decreto medesimo.

Tanto chiarito, il TAR afferma che:

  1. atteso che la procedura contestata non poteva che essere una procedura negoziata in deroga – articolo 1, comma 1, Decreto Semplificazioni - dal tenore letterale del successivo comma 3 emerge come la stazione appaltante non abbia altra scelta se non disporre in via automatica l’esclusione dell’offerta anomala;
  2. non trova seguito l’assunto, formulato dal ricorrente, per cui la sanzione dell’esclusione automatica debba trovare indicazione nella lex specialis di gara, in ragione del fatto che una simile soluzione sarebbe in conflitto con l’obiettivo di celerità che la citata disposizione del decreto-legge si propone (ndr. difatti l’art. 1, comma 3, del Decreto Semplificazioni non fa menzione della previsione da inserire nella lex specialis) – atteso che ciò inserirebbe una previsione di carattere facoltativo con obbligo di motivazione circa la scelta effettuata (il che si presterebbe a contestazioni circa l’opportunità e la sufficiente motivazione della scelta medesima).

Il Collegio, pertanto, rigetta il ricorso statuendo, da ultimo, che “la disciplina in questione si colloca in un contesto emergenziale e derogatorio (con scadenza al 31.12.2021), in precipua ragione del quale il collegio ritiene che ogni valutazione non possa che, secondo un principio di ragionevolezza e proporzionalità, tenere conto del fatto che non si tratta di una scelta “a regime” ma, appunto, di una soluzione avente una precisa e limitata durata temporale” da cui consegue che la gara si colloca “nell’alveo di una disciplina emergenziale che ha imposto alla stazione appaltante, al ricorre di determinate circostanze qui verificatesi, l’esclusione automatica da una procedura negoziata e che tale effetto, per il contesto e la limitata durata temporale in cui è stato posto, non possa essere censurato”.

In relazione all'applicazione dell'art. 1, comma 3, del Decreto Semplificazioni si segnala la Delibera ANAC n. 840 del 21.10.2020 con la quale si è affermato che: "In materia di contratti pubblici sotto soglia, la previsione di carattere temporaneo di cui all’art. 1, comma 3, del D.L. n. 76/2020 (convertito con modificazioni con la L. n. 120/2020), che ha esteso l’applicabilità del meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale in presenza di cinque offerenti (in luogo di dieci, di cui all’art. 97, comma 8, del D.Lgs. n. 50/2016), si applica agli affidamenti diretti e/o alle procedure negoziate (di cui all’art. 1, comma 2, del cit. D.L.) la cui determina a contrarre o atto equivalente è stata adottata dal 17 luglio 2020 al 31 dicembre 2021. Tale disposizione non trova, invece, applicazione
nelle procedure di gara pendenti alla data di entrata in vigore del Decreto".

(TAR Piemonte Torino, Sez. I, 17/11/2020, n. 736)


Termine massimo per adempiere al soccorso istruttorio per carenze documentali. Va comunicato via pec?

Termine massimo per adempiere al soccorso istruttorio per carenze documentali. Va comunicato via pec?

È sufficiente un termine inferiore a quello indicato nell’articolo 83 d.lgs. 50/2016 per gli adempimenti di soccorso istruttorio? È legittimo comunicare l’avvenuto caricamento della richiesta di soccorso istruttorio sulla piattaforma di gara mediante e-mail di posta ordinaria o va comunicato via pec? Risposta ai quesiti così formulati ci perviene, con la sentenza in commento, dai giudici di Palazzo Spada.

Un operatore economico veniva escluso dalla procedura di gara avente ad oggetto l’affidamento in concessione del servizio di ripristino post incidente stradale mediante pulizia della piattaforma stradale e reintegro delle matrici ambientali eventualmente compromesse.

L’esclusione veniva motivata dal fatto che l’operatore in questione aveva prodotto la documentazione richiesta ad integrazione di quella esibita in sede di gara oltre il termine fissato con la richiesta di soccorso istruttorio ex articolo 83 comma 9 Codice.

Avverso detto provvedimento l’operatore escluso adiva il TAR lamentando, da un lato, che la stazione appaltante avrebbe disposto una esclusione non rispettosa della disciplina in tema di comunicazioni ai concorrenti, in quanto l’operatore escluso non avrebbe avuto contezza in tempo utile della avanzata richiesta di integrazione documentale; dall’altro, censurava che era stato irragionevolmente ridotto da 10 a 5 giorni il termine previsto dall’articolo 83 per l’adempimento richiesto.

Con la sentenza di primo grado - (TAR Abruzzo L'Aquila, Sez. I, 16/1/2020, n. 8) – il Collegio rigettava il ricorso evidenziando che:

1) l’avanzata richiesta di soccorso istruttorio era disposta al fine di consentire alla ricorrente di sanare le carenze formali presenti nella domanda – ossia l’incompletezza della domanda, cui non venivano allegati la dichiarazione di cui all’articolo 80 Codice anche per i soggetti cessati da cariche sociali nell’ultimo anno e la copia del documento di identità del legale rappresentante;

2) nella seduta di gara in cui si disponeva il soccorso istruttorio era presente il legale rappresentante destinatario della richiesta medesima, che veniva in ogni caso ritualmente comunicata all’interessata attraverso la pubblicazione sulla piattaforma telematica predisposta per l’espletamento della procedura in questione (avevamo già parlato di un caso analogo nel podcast Appalti al volo - TAR Lazio, Roma, 30 gennaio 2019, n. 1192, clicca qui per ascoltare);

3) il termine di 10 giorni di cui si lamenta l’irragionevole compressione è da intendersi, secondo quanto previsto dalla legislazione vigente, come termine massimo – che potrà essere dunque applicato nei soli casi in cui l’integrazione richiesta sia connotata da particolare complessità;

4) la mancata previsione di un termine minimo, di contro, comporta che lo stesso dovrà in ogni caso essere adeguato e commisurato alla gravità e complessità delle irregolarità riscontrate: la mera mancanza del documento di identità del legale rappresentante e la necessità di produzione di una semplice dichiarazione ben giustificano, dunque, l’adozione di un termine più breve.

Del gravame venivano investiti i giudici di Palazzo Spada, davanti ai quali veniva argomentato che:

- il legale rappresentante, presente alla seduta in cui veniva disposto il soccorso istruttorio, non veniva informato delle carenze della domanda;

- l’informativa della carenza documentale effettuata attraverso il portale telematico non consentiva l’inserimento dei documenti mancanti;

- la comunicazione della richiesta di soccorso istruttorio avveniva all’indirizzo di posta elettronica ordinaria invece che all’indirizzo pec, così inficiando il buon andamento che dovrebbe governare l’attività della Pubblica Amministrazione;

- il termine assegnato per l’adempimento del soccorso istruttorio era minimale, essendo inferiore a cinque giorni e con sabato e domenica a inframezzarlo.

I giudici di Palazzo Spada, tuttavia, rigettano il gravame, così delibando:

  1. dal verbale di gara redatto nella seduta cui partecipava il legale rappresentante dell’impresa esclusa – ricorrente nel presente giudizio – emerge che quest’ultimo veniva informato delle criticità e delle carenze della domanda di partecipazione;
  2. l’inserimento nella piattaforma telematica di eventuali carenze documentali non ha il fine di consentire, all’operatore destinatario della comunicazione, la trasmissione della documentazione mancante, ma costituisce un ulteriore mezzo di pubblicità della mancanza stessa;
  3.  non sussiste, in capo alla stazione appaltante, un obbligo di comunicare il soccorso istruttorio a mezzo pec né tale obbligo è previsto dai principi regolatori della materia, in quanto i partecipanti ad una gara d’appalto pubblico sono operatori professionali per i quali la gestione di una gara a mezzo di una piattaforma dedicata è mezzo adeguato;
  4. l’informazione relativa al soccorso istruttorio era successiva alla seduta pubblica cui aveva partecipato il legale rappresentante, cui seguiva la predisposizione della stessa nella piattaforma telematica di gara – con la conseguenza che la comunicazione mediante pec costituiva un mero formalismo;
  5. il termine massimo previsto dall’articolo 83 Codice è di 10 giorni, periodo entro cui devono essere soddisfatte e risolte tutte le carenze eventualmente riscontrate nella documentazione amministrativa da allegare alla domanda di partecipazione ad una gara.

Conclude, pertanto, il Collegio di “dover confermare le conclusioni della sentenza impugnata, secondo cui il termine massimo di 10 giorni appare consono all’esigenza di contenere i tempi complessivi della gara nel rispetto della tempestività possibile” alla luce del fatto che “la produzione di copia di un documento di identità della rappresentante legale e le mere dichiarazioni negative di cui all’art. 80 d.lgs. 50 del 2016 sono atti del tutto privi di complessità (…). E’ evidente che le operazioni richieste erano facilmente eseguibili in uno spazio temporale del tutto ristretto e che correttamente il giudice di primo grado non ha riscontrato alcuna illogicità o violazione di legge, per la stazione appaltante posto un termine siffatto.”

(Cons. St., Sez. V, 9/11/2020, n. 6852)


Esclusione dalla gara di appalto pubblico per sopralluogo difforme

Esclusione dalla gara di appalto pubblico per sopralluogo difforme.

Esclusione dalla gara di appalto pubblico per sopralluogo difformeÈ legittima l’esclusione da una gara di appalto pubblico per l’affidamento dei lavori di un operatore economico motivata con l’esecuzione del sopralluogo in maniera difforme da quanto previsto dalla lex specialis, nonostante questa non prevedesse sanzioni al riguardo? A pronunciarsi sulla questione il TAR Lazio.

Un operatore economico veniva escluso da una procedura di gara poiché la stazione appaltante riteneva che questi non avesse provveduto ad eseguire il sopralluogo nelle modalità prescritte dalla lex specialis di gara. Secondo quanto previsto dal disciplinare, il concorrente avrebbe dovuto, previo appuntamento, prendere visione dei luoghi oggetto delle lavorazioni alla base della gara stessa nonché redigere le attestazioni all’uopo previste.

Avverso tale esclusione, l’operatore economico propone ricorso al TAR, lamentando l’illegittimità del provvedimento in questione. Il ricorso essenzialmente si basa su due motivi:

- l’esclusione è illegittima in quanto il disciplinare, pur prevedendo in maniera espressa l’obbligo di sopralluogo, non prevede alcuna conseguenza espulsiva in caso di mancato adempimento. Più nello specifico, la lex specialis di gara in tema di sopralluogo prevedeva che “Ai fini della presentazione delle offerte, il concorrente è tenuto ad effettuare, ai sensi dell’art. 79 del D.Lgs. n. 50/2016, un sopralluogo … previo appuntamento. (…) Dell’avvenuto sopralluogo verrà rilasciata apposita attestazione (…). Il concorrente dovrà dichiarare di avere comunque preso visione dei luoghi dove debbono eseguirsi i lavori”. Di conseguenza, l’impresa non potrà essere destinataria dell’esclusione in caso di mancata esecuzione del sopralluogo c.d. “assistito” né per la mancata presentazione dell’attestato – attestato che, peraltro, non doveva neppure essere inserito all’interno della documentazione amministrativa di gara.

- una eventuale previsione difforme, contenuta all’interno della lex specialis, sarebbe nulla e quindi disapplicabile poiché in contrasto con quanto previsto dall’art. 83 Codice. Non solo. Il sopralluogo c.d. “assistito” – così come prescritto dalla lex specialis – si sarebbe dovuto tenere in periodo di lockdown – ossia nel pieno della fase emergenziale da Covid19 – il che avrebbe comportato oneri gravosi, sproporzionati e comunque inesigibili. In ogni caso, il sopralluogo veniva comunque eseguito – tanto che dell’avvenuta acquisizione di conoscenza dello stato dei luoghi veniva redatta autocertificazione, allegata alla documentazione di gara.

Il Collegio adito accoglieva il ricorso, osservando che:

  1. la lettera d’invito si limitava a prevedere che “ai fini della presentazione dei preventivi, il concorrente è tenuto ad effettuare ai sensi dell’art. 79 del D. Lgs 50/2016, un sopralluogo presso la località oggetto dei lavori, previo appuntamento”;
  2. il disciplinare non prevedeva la sanzione espressa dell’esclusione dalla gara per l’omessa esecuzione del sopralluogo “assistito” né per la mancata presentazione dell’attestato – che, peraltro, non doveva neppure essere accluso alla documentazione amministrativa.

Ricorda il Collegio che, per costante giurisprudenza, “il principio di tassatività delle cause di esclusione impedisce l’adozione di atti basati su eccessi di formalismo in contrasto con il divieto di aggravamento degli oneri procedimentali e con l’esigenza di ridurre il peso degli oneri formali gravanti sugli operatori economici, riconoscendo giuridico rilievo all’inosservanza di regole procedurali o formali solo in quanto questa impedisca il conseguimento del risultato verso cui l’azione amministrativa è diretta”, e che “la mancata presentazione, da parte di un concorrente in una gara di appalto, della attestazione comprovante…di avere eseguito il sopralluogo, non prevista a pena di esclusione dalla disciplina della gara, non determina l'obbligo per la stazione appaltante di escludere dalla gara il concorrente stesso, in applicazione del principio del favor partecipationis e del principio di tassatività delle fonti delle cause di esclusione dalla procedura”.

(TAR Lazio Latina, Sez. I, 19/10/2020 n. 380)

 

 


Esclusione dalla gara di appalto pubblico disposta dal RUP dopo l’aggiudicazione: lettura sistematica dell’art. 80, comma 6, del Codice dei contratti pubblici.

In una gara di appalto pubblico avente ad oggetto l’affidamento del servizio di igiene urbana, a seguito di regolare aggiudicazione, il RUP comunicava l’esclusione dalla stessa gara della quarta graduata. Viene instaurato un giudizio che vede il TAR esprimersi sulla collocazione e lettura sistematica dell’art. 80, comma 6, del Codice dei contratti pubblici.

Nel dettaglio succedeva questo: espletate le procedure e aggiudicata la gara, la quarta società in graduatoria proponeva ricorso innanzi al TAR per censure relative alle modalità procedimentali della gara. A giudizio incardinato, accadeva che il RUP procedeva a comunicare l’esclusione della ricorrente dalla gara – che si era già conclusa per effetto dell’intervenuta aggiudicazione – motivando l’esclusione con la sussistenza di illeciti professionali.

Avverso tale provvedimento – che, ove non impugnato, avrebbe determinato l’improcedibilità del ricorso principale – la ricorrente proponeva motivi aggiunti.

In particolare, con tali motivi aggiunti veniva evidenziato che:

- il RUP non sarebbe competente ad adottare il provvedimento di esclusione, in ragione dei compiti specifici a quest’ultimo affidati: spettava infatti alla Commissione di gara – secondo quanto previsto dal disciplinare di gara – il compito di decidere sull’ammissione delle imprese e, per l’effetto, sulla valutazione dei motivi di esclusione. In altri termini, il RUP, pur deputato ad adottare le decisioni conseguenti le valutazioni effettuate, non è autorizzato a svolgere apprezzamenti e considerazioni – che sono, invece, demandati alla Commissione di gara (la quale, con la determina di aggiudicazione, aveva peraltro cessato le sue funzioni);

- l’esclusione è stata comminata ad aggiudicazione disposta: da ciò deriverebbe l’illogicità di tale provvedimento – reso al solo fine di pregiudicare le sorti del ricorso proposto avverso l’aggiudicazione. Ciò sarebbe in contrasto con l’art. 80, comma 6, del Codice dei contratti pubblici - norma il cui inciso “le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura” andrebbe letto nel senso di consentire l’esclusione dell’operatore economico solo fino all’aggiudicazione.

Il Collegio accoglie i motivi aggiunti così argomentati, limitandosi ad evidenziare che:

  1. è pacifico che il provvedimento di esclusione fa espresso riferimento all’art. 80, comma, 6 del Codice dei contratti pubblici; da ciò emerge il fatto che il RUP ha avuto modo di valutare che il potere di escludere il concorrente fosse ancora sussistente nella fase successiva all’aggiudicazione – ritenendo implicitamente ancora aperta la procedura di gara;
  2. l’esclusione è illegittima in quanto la procedura “cui si riferisce il comma 6 citato si è chiusa con la scelta del contraente e non è più possibile escludere altro concorrente non aggiudicatario che aveva partecipato alla gara”.

Il Collegio conclude affermando che “l’esclusione è stata disposta sol perché per la gara pendeva il giudizio … (non apparendo che il R.U.P. avrebbe altrimenti continuato a svolgere il proprio compito). E ancora: “Sotto il profilo sistematico, l’art. 80 si colloca nel Titolo III, Capo III del d.lgs. n. 50/2016, alla Sezione II titolata "Selezione delle offerte", riguardando dunque un ben definito ambito, da cui esorbita la previsione di un potere di esclusione che vada oltre il vaglio delle offerte e consenta in qualunque momento (anche dopo l’aggiudicazione) di rivedere la posizione dei concorrenti.”

(TAR Campania Napoli, Sez. III, 20/10/2020 n. 4637)


Affidamento in house in luogo di gara di appalto pubblico: necessaria una adeguata motivazione?

Quali sono i criteri da rispettare affinché una S.A. possa procedere all’affidamento in house di un lavoro o di un servizio – senza espletare, cioè, una procedura di gara di appalto pubblico? È necessaria una adeguata motivazione?

Nei fatti, un operatore economico  – che gestiva il servizio di parcheggio a pagamento per conto della stazione appaltante essendo risultato aggiudicatario di una gara regolarmente bandita in precedenza - impugnava innanzi al TAR i provvedimenti con cui la stazione appaltante, a seguito di  gara di appalto andata deserta, anziché indire una nuova procedura di gara, aveva affidato il servizio con procedimento in house e senza gara ad una società da quest’ultima interamente partecipata.

Il gestore uscente lamentava che tale scelta non era stata adeguatamente motivata: la stazione appaltante avrebbe dovuto motivare la preferenza per il modello in house e la scelta del modello in questione andava preceduta da una concreta disamina delle alternative esistenti, sotto i profili della comparazione tra le varie forme di gestione, delle valutazioni economico/qualitative dei servizi offerti e della verifica della effettiva capacità del gestore di svolgere correttamente il servizio affidato – così come previsto dall’art. 192 Codice.

Il TAR accoglie il ricorso .

Ai sensi dell’art. 192, comma 2, d.lgs. 50/2016, “ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.

In particolare, il Collegio evidenzia che, poiché l’affidamento in house ha natura secondaria e residuale, la S.A. ha l’obbligo di motivare in maniera puntuale l’affidamento in autoproduzione di servizi disponibili sul mercato, evidenziando in modo specifico le ragioni che hanno determinato il mancato ricorso al mercato.

Conclude, quindi, il giudice di primo grado che “la relazione ex art. 34, c. 20, del D.L. n. 179/2012 sulle modalità di affidamento del servizio non possa essere degradata a mero orpello procedimentale, e come, nel caso in cui si opti per l'affidamento diretto in house, sia richiesto un onere motivazionale rafforzato e più incisivo circa la praticabilità delle scelte alternative con la conseguenza che vi è violazione del citato art. 192 del Codice in quanto “le delibere gravate affidano la motivazione della scelta esclusivamente alle valutazioni contenute nella relazione illustrativa predisposta dal Comune ai sensi dell’articolo 34 comma 20 del D.L. 179/2012…che si limita a valutare la convenienza economica dell’affidamento in house…ma nulla dice circa le ragioni del mancato ricorso al mercato”.

Di qui la violazione della norma menzionata nonché il difetto di istruttoria e di motivazione.

Il Collegio aggiunge che neppure potrebbe ritenersi che la valutazione circa le ragioni del mancato ricorso al mercato sia insita nel fatto che una precedente gara per l’aggiudicazione – tra gli altri - del servizio di gestione della sosta a pagamento fosse andata deserta.

La gara andata deserta infatti concerneva, oltre al servizio del parcheggio a pagamento, anche svariati altri servizi definiti accessori (es. la creazione di un sistema di info-mobilità mediante installazione di 3 pannelli informativi di segnalazione e avviso; la realizzazione di un sistema di videosorveglianza con 20 telecamere e regolamentazione con 11 varchi obbligatori di accesso alle diverse zone ZTL; la gestione del servizio di mobilità sostenibile mediante realizzazione di 7 stazioni di car e bike sharing, 15 stalli da 10 biciclette l’uno, tutti dotati di sistemi di telecontrollo, fornitura di 70 biciclette a pedalata assistita e installazione di 10 colonnine con stallo dedicato per la ricarica di veicoli elettrici o ibridi).

Poiché i contenuti dei due contratti da affidare non erano oggettivamente comparabili, dalla diserzione della gara per la realizzazione e gestione di un sistema integrato di mobilità sostenibile, non poteva legittimamente trarsi alcuna conclusione nel senso della maggiore convenienza dell’affidamento in house del solo servizio di gestione del parcheggio a pagamento.

 (TAR Liguria Genova, Sez. II, 2/10/2020 n. 680)


Sospensione appalto pubblico per esplosione ordigno bellico: forza maggiore o colpa della Committente?

Nell'ambito di un appalto pubblico per lavori di adeguamento di tratti autostradali, l'impresa esecutrice, lamentando un andamento anomalo dell'appalto, iscrive riserve nei documenti contabili di cui chiede il riconoscimento in giudizio. In particolare, l'impresa afferma che, a seguito dell'esplosione di un ordigno bellico, non ha potuto gestire in modo razionale e ottimale l'esecuzione dei lavori subendo danni da sospensione a suo avviso illegittima, giacché, a dire dell'impresa, le lungaggini e la sospensione causate dall'esplosione dell'ordigno bellico non rappresenterebbero una causa di forza maggiore ma sarebbero imputabili alla Committente.

Nel corso del giudizio viene espletata una CTU in seno alla quale il tecnico incaricato dal giudicante ha avuto modo di affermare che "lo scrivente comunque è del parere che la circostanza dell’esplosione di un ordigno bellico non possa ritenersi imputabile alla committente; in sede di consegna dei lavori l’ATI appaltatrice ha accertato lo stato dei luoghi, senza eccezione alcuna in merito alla valutazione dei rischi specifici relativi a quanto accaduto. Dagli atti non appaiono inoltre omissioni da parte della Stazione Appaltante riguardo tardive attivazioni di autorizzazione alla bonifica nonché ritardi nella riattivazione del cantiere".

In base alle conclusioni della CTU, condivise in toto dal Giudice, risulta accertato, come è dato leggere in sentenza, che nessun comportamento colpevole, omissivo o commissivo, è stato posto in essere dalla Committente con riguardo al fenomeno bellico in questione; l’esplosione dell’ordigno bellico deve, dunque, considerarsi fatto imprevisto e imprevedibile e in nessun modo può essere attribuito, nella sua valenza potenzialmente dannosa, a responsabilità della committenza; l’esplosione e le relative attività di bonifica rientrano nel novero delle cause di forza maggiore e/o comunque delle circostanze speciali che legittimano la sospensione dei lavori senza necessità di alcun compenso, indennizzo o risarcimento in favore dell’appaltatore, secondo quanto disposto dall’art. 24 del d.M. 145/2000 (applicabile all'appalto in questione ratione temporis).

Per concludere, il Giudice dedica poche righe alla presa d’atto dell’appaltatrice, in sede di consegna dei lavori, circa lo stato dei luoghi; afferma che la funzione delle dichiarazioni rese dall’impresa, tra cui quella di sopralluogo, è quella di “precludere all’appaltatore contestazioni basate sull’asserita mancata conoscenza dei luoghi e di ridurre al minimo le possibilità di modifiche contrattuali in sede di esecuzione, per cui l’onere posto a carico dell’impresa di visitare i luoghi dell’appalto prima di formulare la propria offerta è posto essenzialmente a garanzia dell’amministrazione" (Cons. St., Sez. V, 7 luglio 2005, n. 3729, TAR Campania, Salerno, Sez. I, 8 ottobre 2004, n. 1874).

Sulla funzione della visita dei luoghi e sulle responsabilità che ne derivano, vale la pena rilevare che si registrano diversi orientamenti sul punto.

Da un lato, c'è chi ritiene che la predetta visita costituisce una attestazione della presa di conoscenza: "A questo proposito viene in taglio anzitutto la giurisprudenza della Corte di Cassazione, sull’art. 1 del d.P.R. n. 1063 del 1962, che costituisce l'antecedente cronologico dell'art. 71 del D.P.R. 554/99, sul quale la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che la clausola contrattuale con la quale l'impresa dichiara di avere esaminato la situazione dei luoghi e di averne valutato i riflessi sull'esecuzione dell'opera, lungi dal costituire una mera clausola di stile, si traduce in un'attestazione della presa di conoscenza delle condizioni locali e di tutte le circostanze che possono influire sull'esecuzione dell'opera; essa, pertanto, pone a carico dell'appaltatore un preciso dovere cognitivo, cui corrisponde una altrettanto precisa responsabilità, determinando un allargamento del rischio, senza però comportare un'alterazione della struttura e della funzione del contratto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio (Cass. nn. 3932 del 2008; in senso sostanzialmente conforme v. Cass. n. 13734 del 2003 e 11469 del 1996). La dichiarazione di presa visione dei luoghi dà certezza dell’avvenuto accesso “in loco” e della conoscenza di quanto, pur nel corso di un semplice sopralluogo, può essere constatato, con riferimento alla valutabilità di tutte le circostanze nelle quali le opere devono essere eseguite" (Cons. St., Sez. V, 27 marzo 2012, n. 2819).

Da altro lato, chi ritiene che “la dichiarazione di presa visione dei luoghi non significa che l’Impresa debba sostituirsi alla Stazione appaltante nella predisposizione del progetto e deve ritenersi riferita allo stato generale dei luoghi, non essendo l’impresa tenuta a procurarsi una conoscenza dei luoghi ed una cognizione dell'appalto diverse e maggiori di quelle poste a base del Capitolato e dei disegni allegati (Lodo Roma 23 marzo 2001 in AGOP, 2002, L 13).

(Trib. Roma, Sez. XVII civ., 16/1/2020, n. 1007)