Cohousing e senior living: la parola al Giudice Amministrativo.

Tra gli asset class più in ascesa nel settore immobiliare, il senior living difetta di una disciplina univoca, tanto al livello contrattuale, quanto al livello di definizione urbanistico-edilizia (oltre che in ordine al regime amministrativo circa lo svolgimento della “attività”).

Come noto, si tratta di immobili destinati al cohousing per la terza età, costituito da sistema appartamenti indipendenti, organizzati in maniera tale da poter fruire alcuni servizi comuni aggiuntivi nonché idonei a determinare forme di socialità.

Al livello normativo, tanto sul piano contrattuale, quanto sul piano urbanistico ed autorizzatorio, difetta una disciplina di riferimento.

Una recente sentenza del TAR Lazio , in tale quadro incerto, ha affrontato una peculiare fattispecie nella quale è pervenuta alla conclusione di dover escludere che si fosse al cospetto – come sostenuto da parte ricorrente – di un cohousing destinato a persone anziane (meglio detto senior living, appunto) ravvisando, invece, una ipotesi di elusione della disciplina regionale regolante la “autorizzazione all’apertura ed al funzionamento di strutture che prestano servizi socio-assistenziali“.

In particolare, un Comune ha disposto la chiusura di una struttura nella quale, a fronte di un contratto di “locazione” gli abitanti (anziani, appunto) fruivano non solo delle unità immobiliari, ma anche di spazi comuni (salone e cucina) e servizi di tipo assistenziale-sanitario, prestati da un professionista qualificato.

A fronte di tale peculiare organizzazione e rapporto contrattuale, la PA ha quindi ritenuto che si fosse al cospetto di una struttura socio assistenziale, non esercitabile senza la prescritta autorizzazione (ex L.R. Lazio 41/2003).

Nel rigettare il ricorso proposto dai residenti della struttura, il TAR ha ritenuto che – sebbene non possa escludersi cittadinanza giuridica e legittimità al cohousing – occorre nondimeno individuare tratti distintivi tra tale ipotesi e le residenze sanitarie assistenziali (“RSA”).

Il modello del cohousing (rispetto al quale il senior living può essere considerato una species) viene così descritto dal Giudice:

Detto modello coabitativo segue essenzialmente le direttrici dell’incoraggiamento della socialità, dell’aiuto reciproco, dei rapporti di buon vicinato, della riduzione della complessità della vita, della sua migliore organizzazione con conseguente diminuzione dello stress, della riduzione dei costi di gestione delle attività quotidiane. L’esperienza è caratterizzata da un alto livello di condivisione delle scelte, da legami di collaborazione e socialità, dalla condivisione di molti spazi e servizi”.

Data tale essenziale definizione il TAR ha affermato il “principio” per cui:

“Deve quindi escludersi la ricorrenza del “cohousing” quando la residenza delle persone anziane è finalizzata in tutto o in parte a consentire l’erogazione di prestazioni di assistenza e sostegno (rientranti nei servizi alla persona e come tali soggette ai requisiti specificatamente previsti a tutela degli utenti, nel caso di specie, dalla L.R. Lazio n. 41 del 2003) da parte di terzi, dai quali dipenda (anche solo parzialmente) l’organizzazione dell’ambiente”

Nel caso di specie, peraltro, la sentenza valorizza anche taluni elementi quali:

  • le condizioni di salute dei residenti (od ospiti, nella prospettiva della ipotizzata elusione della disciplina sulle RSA), “solo parzialmente autosufficienti“;
  • la presenza di un servizio di attività assistenziale continuativa di un operatore qualificato;
  • la sproporzione tra il canone di locazione versato dagli utenti ed il valore “immobiliare” intrinseco, tale da rivelare la centralità dei “servizi” prestati nel sinallagma contrattuale;
  • l’attività di intermediazione svolta, nell’intera operazione, dal medesimo soggetto che poi avrebbe prestato l’attività di “assistenza sanitaria”.

A fronte di simile quadro fattuale il TAR Lazio ha quindi ritenuto legittima la qualificazione operata dalla PA (secondo cui non si sarebbe trattato di un cohousing ma di una, abusiva, RSA) rigettando il ricorso dei residenti (facendo salva, però, la possibilità di ristabilire condizioni abitative “depurate” dagli elementi assistenziali illegittimamente esercitati nella “struttura”).

La decisione risulta di sicuro interesse, giacché porta all’attenzione degli Operatori (ma anche del Legislatore) la necessità di una disciplina atta a regolare con maggiore certezza un settore in forte espansione che, giocoforza, viene a trovarsi in una zona grigia tra mera funzione residenziale e servizi/sanità.

Ciò, chiaramente, con ulteriori connessi profili laddove il tema sia indagato anche sul versante strettamente urbanistico, oltre che su quello contrattuale.