Convenzioni urbanistiche ed atti d’obbligo: prescrizione decennale e conseguenze sul titolo edilizio.

Una recente sentenza del TAR Lombardia (14.12.2021, n. 2800), offre lo spunto per trattare (sommariamente) un tema di sicuro rilievo, dal duplice risvolto: il potere della P.A. di contestare l’inadempimento all’atto negoziale che accede al titolo edilizio si prescrive? E, ancora, l’inadempimento agli obblighi assunti dal privato che conseguenze può determinare?

I. Il caso deciso dal TAR 

A distanza di circa 14 anni dalla presentazione di una DIA alternativa al PdC per la realizzazione di un fabbricato, la P.A. ha contestato al privato l’inefficacia del titolo abilitativo – disponendo quindi la demolizione – per l’omesso adempimento dell’impegno assunto dal medesimo tramite stipula di atto d’obbligo, consistente nell’asservimento di un’area quale servitù perpetua di parcheggio pubblico.

A fronte di ciò il proprietario dell’immobile – avente causa dell’originario costruttore – ha impugnato il provvedimento comunale eccependo in estrema sintesi che non si sarebbe al cospetto di una violazione edilizia bensì di un inadempimento contrattuale, contestazione peraltro – secondo il ricorrente – mossa rispetto ad una obbligazione ormai prescritta per decorso del termine decennale.

Il TAR ha rigettato il ricorso con riferimento ad entrambi i profili.

I.1 La violazione (o mancato adempimento) dell’atto d’obbligo.

Dal primo punto di vista ha ritenuto che l’atto d’obbligo – stipulato al fine di rispettare una norma di PRG in punto di reperimento di aree a standard – si inserisce nella sequenza procedimentale del rilascio del titolo abilitativo, ossia, nel caso della DIA concorre a rendere efficace la stessa.

Sicché “la mancata attuazione degli impegni assunti attraverso l’atto di asservimento rende legittimo – e altresì necessario – l’intervento sanzionatorio comunale, attraverso il quale deve essere ripristinata – o posta in essere per la prima volta – la condizione, la cui realizzazione era stata assunta dalla parte istante, cui era subordinato il rilascio del titolo edilizio o la sua formazione in seguito al decorso del tempo”;  degli obblighi assunti per tale via “deve essere garantita la loro permanenza e attuazione nel corso del tempo, con la conseguenza che un inadempimento del privato determina uno squilibrio nell’assetto del territorio cui deve essere posto rimedio o dando attuazione ai ridetti obblighi o rimuovendo l’intervento edilizio e i suoi effetti“.

Non, quindi, un inadempimento contrattuale ma una violazione urbanistico-edilizia.

I.2 L’imprescrittibilità delle obbligazioni assunte dal privato

Il TAR ha, inoltre, escluso che potesse validamente eccepirsi la prescrizione (decennale) dell’obbligazione assunta dal privato.

Al riguardo la sentenza sposa la tesi secondo cui tali obblighi sono imprescrittibili, e ciò in linea (anche) con la regola della ultrattività delle previsioni dello strumento attuativo. Orientamento, questo, che trova la sua ratio anche nella funzione di ordinato assetto del territorio che tali atti “negoziali” svolgono, che non può quindi essere ricondotto al mero piano “civilistico” del sinallagma contrattuale.

 

II. Il dibattito giurisprudenziale sulla prescrittibilità delle obbligazioni nascenti da convenzione urbanistica

Il secondo aspetto – avuto in particolare riferimento al tema (in realtà diverso da quello affrontato dal TAR Lombardia in questo caso) delle convenzioni urbanistiche presupposte ad interventi edilizi – è in realtà dibattutissimo in giurisprudenza.

Sulla prescrittibilità delle obbligazioni assunte dal privato attuatore in base alla convenzione urbanistica che accede allo strumento attuativo esistono, infatti, due orientamenti.

Secondo una prima tesi (che è quella evocata dal TAR Lombardia) “tenendo conto dell’indiscussa ultrattività (nei termini di cui prima si è detto) del piano di lottizzazione in oggetto, resta tuttora in vigore il complesso delle prescrizioni in cui questo si articola e dunque, nella specie, l’obbligazione della società originariamente stipulante l’accordo (o dei suoi successori e/o aventi causa) di dar corso alla cessione delle aree destinate alle opere di urbanizzazione. E ciò anche perché, alla luce dell’esigenza di un governo del territorio che sia necessariamente sollecito dell’interesse pubblico, sarebbe inconcepibile ammettere che un imprenditore privato possa godere dei profitti di una lottizzazione a danno della collettività: il che avverrebbe se egli potesse sottrarsi all’obbligo di fornire gli spazi occorrenti per l’urbanizzazione primaria e secondaria, che nel modello delineato dalla c.d. legge urbanistica non rappresentano una qualunque controprestazione, ma un elemento strutturale, caratterizzante e imprescindibile, condizione di legittimità della lottizzazione. In questi termini, la difesa dell’appellante secondo cui il diritto di vedersi trasferita la proprietà delle aree a suo tempo indicate nel piano di lottizzazione sarebbe ormai da ritenersi prescritto, è destituita di fondamento” (Cons. Stato n. 4144/2017).

Al contrario, un altro orientamento (TAR Liguria n. 208/2020; CGARS n. 848/2019) inquadra il tema secondo gli ordinari schemi civilistici, cosicché anche alle obbligazioni nascenti dalla convenzione urbanistica sarebbero applicabili le ordinarie regole sulla prescrizione decennale ex art. 2946 c.c.  Tesi, questa, che trova riconoscimento anche nella giurisprudenza della Cassazione Civile (sent. 21885/2011) secondo la quale “Non basta, cioè, invocare l’esistenza di una finalità di pubblico interesse perché ne discenda l’imprescrittibilità dei diritti eventualmente acquisiti dalla pubblica amministrazione all’esito di una determinata attività negoziale, qualora quei diritti non abbiano un oggetto intrinsecamente indisponibile, essendo del resto assolutamente ovvio che il perseguimento di finalità pubblicistiche non si sottrae, in via di principio, agli effetti del trascorrere del tempo nemmeno quando si sia in presenza di atti autoritativi della stessa pubblica amministrazione”.

 

III. Qualche annotazione

Come ben si intuisce i temi affrontati dalla decisione del TAR Lombardia (in particolare quello più generale della soggezione a prescrizione delle obbligazioni derivanti atti negoziali che accedono a procedimenti urbanistici o edilizi) lasciano intendere la necessità – specie in fase di acquisizioni immobiliari (e relative due diligence) – di verificare sempre l’effettivo stato di adempimento degli obblighi assunti “contrattualmente”, anche laddove questi risalgano ad epoche risalenti.

E ciò sotto un duplice profilo, come visto.

Da un lato abbiamo la fattispecie esaminata dal TAR, laddove l’atto d’obbligo accede “solo” ad un titolo edilizio, ipotesi in cui la sua violazione può essere “ridotta” ad una semplice vicenda edilizia (difformità, variazione essenziale o ipotesi di mancata efficacia della DIA/SCIA).

Dall’altro lato, sul versante più strettamente urbanistico, le obbligazioni sorgenti da una convenzione urbanistica in senso stretto – ove ritenute imprescrittibili per la loro valenza di “pubblico interesse” – rischiano di ricadere “in eterno” in capo all’acquirente (magari ignaro) in ragione della loro natura reale.