Circolare MIT – Ministero P.A. su Decreto Semplificazioni ed edilizia: luci ed ombre.

MIT e Ministero per la Pubblica Amministrazione hanno diramato la Circolare relativa a “nuova” ristrutturazione edilizia e disciplina delle distanze.

Tale atto di indirizzo (che, è bene ricordarlo, al di là dell’autorevolezza data dalla provenienza, non ha alcun valore vincolante né per le P.A. né per i Giudici eventualmente chiamati a pronunciarsi in futuro) affronta molti dei nodi interpretativi sorti a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 10 del Decreto Semplificazioni, come modificato dalla legge di conversione (n. 120/2020).

In particolare, la circolare si sofferma sulla nuova disciplina di ristrutturazione edilizia demoricostruttiva ex art. 3, co. 1, lett. d) DPR 380/2001, sulle modifiche all’art. 2-bis, co. 1-ter del medesimo DPR nonché sui rapporti tra le due norme.

Si tratta di problemi che abbiamo più volte esaminato, sia a seguito della pubblicazione del DL a luglio (DL semplificazioni, modifiche agli artt. 2-bis e 3, co. 1, lett. d), D.P.R. 380/2001: ri-partenza per Piano Casa e Rigenerazione urbana?  –Decreto semplificazioni e rigenerazione urbana: il cortocircuito di “zone A”​ e aree “vincolate”​ ) sia a seguito della conversione in legge ( Rigenerazione urbana e demoricostruzione: possibili “vie d’uscita” ai nuovi limiti ex DL Semplificazioni.)

Vediamo, quindi, quelli che sono, a nostro avviso s’intende, “luci ed ombre” delle soluzioni interpretative prospettate dalla Circolare.

I. Il chiarimento circa “il diverso ambito di applicazione dell’articolo 2-bis, comma 1-ter, e dell’articolo 3,
comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001″.

Il primo punto della nota interministeriale evidenzia un dato di assoluto rilievo, in maniera peraltro condivisibile.

L’art. 3. co. 1, lett. d) regola, in generale, la ristrutturazione edilizia, la sua definizione e la relativa disciplina, differenziata negli ambiti “sensibili” (aree vincolate, zone A, etc.).

L’art. 2-bis, co. 1-ter, invece, ha ad oggetto – specificamente ed esclusivamente – la disciplina della deroga alla normativa sulle distanze per gli interventi di demoricostruzione (quale che ne sia la qualificazione, in termini di ristrutturazione edilizia ovvero nuova costruzione).

Da tale chiarimento deriva, come vedremo (e come avevamo anticipato nei vari contributi pubblicato e sopra richiamati), un ridimensionamento della portata dell’art. 2-bis, co. 1-ter, ultimo periodo, laddove si afferma (apparentemente con portata generale) la sottoposizione degli interventi demoricostruttivi a necessario strumento attuativo in zone A e “simili”.

 

II. Le “modifiche alla definizione di ristrutturazione edilizia”.

La Circolare segnala e commenta nel dettaglio le diverse innovazioni apportate dal Decreto Semplificazioni all’art. 3, co. 1, lett. d) DPR 380/01.

1. Una prima notazione merita la puntualizzazione secondo cui

 “…  il riferimento alle “caratteristiche tipologiche” dell’edificio preesistente va letto in stretta correlazione col richiamo agli “elementi tipologici” contenuto nella definizione di restauro e risanamento conservativo di cui alla lettera c) del medesimo articolo 3 (che in parte qua riproduce la nozione introdotta dall’art. 31, comma 1, lettera c), della legge 5 agosto 1978, n. 457). Pertanto, si tratta di una nozione da non sovrapporre a quella di destinazione d’uso dell’edificio – la quale è stabilita dal titolo abilitativo sulla base delle norme urbanistiche di riferimento – e che ha un contenuto al tempo stesso architettonico e funzionale, individuando quei caratteri essenziali dell’edificio che ne consentono la qualificazione in base alla tipologia edilizia (p.es. costruzione rurale, capannone industriale, edificio scolastico, edificio residenziale etc.)”

Tale passaggio della Circolare prospetta una prima “zona d’ombra“: qui, infatti, sembrerebbe volersi affermare che l’intervento di ristrutturazione edilizia demoricostruttiva (che può, a norma dell’art. 3, co. 1, lett. d), DPR 380/01, condurre ad un edificio  con “diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche”) non legittimerebbe anche (“automaticamente”) il mutamento di destinazione d’uso (se ed in quanto, s’intende, ammesso dalla disciplina urbanistica di riferimento).

Si tratta di una posizione che dovrà essere approfondita ma che suscita talune perplessità, giacché immaginare un intervento di ristrutturazione edilizia demoricostruttiva (anche con finalità di rigenerazione urbana o di riqualificazione dell’esistente) che resti “vincolato” alla destinazione d’uso originaria appare alquanto limitato (si pensi al caso “tipo” della sostituzione di edilizia industriale/produttiva, con fabbricati residenziali o a servizi).

2. Discutibile – sempre a nostro avviso – è anche il passaggio dove le ipotesi di incremento volumetrico oggi ammesse dalla norma (“L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”).

Sul punto la Circolare rileva che:

“la deroga non è estesa a qualsiasi disposizione che consenta incrementi volumetrici (p.es. in funzione premiale o incentivante), ma vale soltanto per le ipotesi in cui questi siano strumentali a obiettivi
di rigenerazione urbana, da intendersi – secondo l’accezione preferibile, nella perdurante assenza di una
definizione normativa a carattere generale – come riferita a qualunque tipologia di interventi edilizi che,
senza prevedere nuove edificazioni, siano intesi al recupero e alla riqualificazione di aree urbane e/o
immobili in condizioni di dismissione o degrado”

Tale affermazione non è condivisibile.

La norma, infatti, recita testualmente che l’incremento volumetrico – ove riconosciuto da leggi o pianificazione – è ammesso in ristrutturazione edilizia tramite DR “anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”. 

Come da un dato testuale così chiaro (il Legislatore usa la congiunzione anche e non la diversa formula “esclusivamente per promuovere interventi di rigenerazione urbana“) possa pervenirsi ad una interpretazione così restrittiva non è dato intendere.

Per di più, è la stessa finalità di “rigenerazione urbana” ad essere priva di riferimenti normativi certi, come la stessa Circolare riconosce laddove osserva che questa è da intendersi “secondo l’accezione preferibile, nella perdurante assenza di una definizione normativa a carattere generale – come riferita a qualunque tipologia di interventi edilizi che,
senza prevedere nuove edificazioni, siano intesi al recupero e alla riqualificazione di aree urbane e/o immobili in condizioni di dismissione o degrado”. 

Francamente, una nozione troppo indeterminata (e priva di addentellati con norme statali di principio) per poter essere adoperata da operatori economici, tecnici e P.A., i quali, all’in fuori degli incrementi riconosciuti da norme che espressamente siano “nominate” “rigenerazione urbana” (come, ad esempio, nel Lazio la L.R. 7/2017, in Lombardia la L.R. 18/2019), si troverebbero a dover porre in essere valutazioni (ed asseverazioni) eccessivamente soggettive, discrezionali e incerte.

3. Quanto agli “edifici vincolati” (ossia: tutelati ai sensi del d.lgs. 42/2004, sia ai sensi della parte II – beni culturali – sia ai sensi della parte III – beni paesaggistici) la Circolare, condivisibilmente, chiarisce che è solo per questi che vale la regola, inderogabile, della demoricostruzione fedelissima, atteso che, invece, per gli immobili in zona A (ed assimilabili) nei centri e nuclei storici ovvero nelle aree comunque di particolare pregio storico o architettonico, l’art. 3, co. 1, lett. d), DPR 380/2001 rappresenta solo una norma di indirizzo che lascia impregiudicate scelte, anche meno restrittive, di legislazione (anche regionale, ovviamente) e strumenti urbanistici.

In tal senso si afferma, infatti, che:

“La clausola [ conferma, altresì, la legittimità delle eventuali previsioni degli strumenti urbanistici (sia generali che attuativi) con cui si consentano, anche per le zone A e assimilate e per i centri storici, interventi di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione entro limiti meno stringenti di quelli ordinariamente stabiliti dalla norma primaria in esame (fermi restando in ogni caso gli ulteriori limiti rivenienti da altre norme del testo unico)”

III.  Chiarimenti circa le “nuove previsioni in materia di demolizione e ricostruzione e rispetto delle distanze”.

L’ultimo punto della Circolare è dedicato al nuovo co. 1-ter dell’art. 2-bis DPR 380/01.

1. Qui si ribadisce quanto già sottolineato in premessa circa la natura “specifica” (e non “generale”) della disposizione che ha di mira (esclusivamente) la questione di demoricostruzione (quale che ne sia la qualificabilità in termini di ristrutturazione edilizia ovvero nuova costruzione) e distanze.

2. Ciò premesso, la nota interministeriale offre una lettura restrittiva del presupposto per poter ricorrere alla deroga stabilità dal primo periodo laddove è previsto che:

In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nell’osservanza delle distanze legittimamente preesistenti”

Il dubbio interpretativo qui risiede nell’inciso “anche qualora le dimensioni del lotto …”: ossia, il Legislatore ha inteso consentire sempre la deroga o, invece, subordina la stessa alle sole ipotesi in cui “le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime”.

A nostro avviso, pure in questo caso, il dato letterale non lascia spazio ad interpretazioni restrittive, giacché la disposizione utilizza la congiunzione “anche” non può essere letta come tale da introdurre una condicio sine qua non per beneficiare della norma di favore.

Tuttavia la Circolare opta per una lettura (a nostro avviso: ingiustificatamente) differente:

la ricostruzione è possibile – in sostanza – in deroga alle norme in questione, e quindi col mantenimento delle distanze preesistenti se non è possibile la modifica dell’originaria area di sedime

Detta lettura della disposizione, oltre a non sembrare in linea con il chiaro dato testuale e sintattico, pone peraltro una controindicazione operativa, giacché non è affatto chiaro come debba essere valutata la impossibilità in parola, aprendo il campo a margini di incertezza.

3. Per l’ipotesi di aumento di cubatura, condivisibilmente in questo caso, la Circolare sottolinea come le deroghe siano ammesse laddove lo stesso sia conseguenza di “incentivi volumetrici“, il che sta a significare che non ogni incremento volumetrico beneficerà della deroga, ma solo quelli legati a norme, appunto, incentivanti (piani casa, rigenerazione urbana, premi di cubatura riconosciuti con specifiche finalità dagli strumenti urbanistici, legislazione su risparmio energentico, etc. ).

4. Infine, la nota interministeriale si concentra sull’ultimo periodo, quello cioé, che come noto, dove è stato previsto che:

“Nelle zone zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e in ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono consentiti esclusivamente nell’ambito dei piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatti salvi le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti e i pareri degli enti preposti alla tutela”

Al riguardo (sposando una tesi che abbiamo a più riprese anticipato in precedenti contributi), si precisa nuovamente come la disposizione sia da leggere all’interno della norma di riferimento (art. 2-bis, co. 1-ter, DPR 380/01) e che, quindi, non è stato affatto previsto che qualunque intervento di demoricostruzione negli ambiti “sensibili” (zone A, etc.) sia sottoposto piano di recupero e riqualificazione.

Tale strumento occorre – ma non inderogabilmente, come vedremo – solo al fine di poter applicare le deroghe alla normativa sulle distanze, dettata dal primo periodo del medesimo comma 1-ter.

Simile interpretazione, peraltro, come anche la Circolare a più riprese sottolinea, è l’unica che rende giustizia al coordinamento con l’art. 3, co. 1, lett. d), DPR 380/01 che in detti ambiti “sensibili” non nega affatto la possibilità di intervenire tramite DR (anzi consentendola, ove fedelissima, come ristrutturazione edilizia).

5. Altrettanto correttamente, la Circolare evidenzia come, anche in tale parte della norma (analogamente a quanto visto rispetto all’ult. periodo dell’art. 3, co. 1, lett. d) sia presente una clausola di salvezza, tale per cui l’obbligo di strumento attuativo (ai fini delle deroghe alle distanze, come visto) non ricorre laddove questo sia da escludere in base a “previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti” .

Peraltro, sull’aggettivo “vigenti” la Circolare avalla la tesi per cui, in assenza di un riferimento temporale individuato dalla norma come novellata dal Decreto Semplificazioni, non occorre che detti strumenti siano vigenti “ad oggi“, essendo riferibile anche a futuri atti pianificatori.

E’ questa una interpretazione non solo rispettosa del dato testuale, ma anche in linea con il necessario rispetto, da parte del Legislatore, delle prerogative del pianificatore (urbanistico e paesaggistico).