L’art. 6 della L.R. Lazio n. 7/2017 sulla rigenerazione urbana e la demolizione e ricostruzione dei villini a Roma. Alcune considerazioni strettamente giuridiche sul “governo della rigenerazione” da parte di Roma Capitale.

L’affaire “Villa Paolina” ha aperto il dibattito, politico, tecnico e urbanistico, su quali limiti incontrino gli interventi di demolizione e ricostruzione, con premialità di cubatura sino al 20%, oggi ammessi dall’art. 6 della legge laziale sulla rigenerazione urbana nel territorio di Roma.

In primo luogo, occorre ricordare che lo specifico intervento di cui si tratta, risulta (dalle notizie “di stampa”) essere stato richiesto ed assentito in base al Piano Casa di cui alla L.R. 21/2009 e s.m.i., il cui art. 4 ammetteva interventi di “sostituzione edilizia”, da attuare con demolizione e ricostruzione con incremento volumetrico.

  1. Centro storico, Carta  della Qualità e Piano Casa

La L.R. 21/2009 ammetteva interventi in deroga al PRG ma, al contempo, consentiva ai Comuni di individuare “ambiti del proprio strumento urbanistico ovvero immobili nei quali, in ragione di particolari qualità di carattere storico, artistico, urbanistico ed architettonico, limitare o escludere gli interventi previsti nel presente articolo” (art. 2, co. 4).

Dunque, oltre alle diverse esclusioni previste dal comma 2 dell’art. 2 della L.R. 21/2009, gli interventi previsti dal Piano Casa, erano suscettibili di essere limitati o esclusi, tramite precise e motivate scelte di governo del territorio da parte del Comune.

Sicché, quanto ai centri storici, era – espressamente – possibile che si cumulassero, ai fini della non applicabilità del Piano Casa, sia le aree escluse ex lege, in quanto ricadenti “nelle zone individuate come insediamenti urbani storici dal piano territoriale paesaggistico regionale (PTPR)” (art. 2, co. 2, lett. a) L.R. 21/2009), sia ulteriori ambiti (o immobili) individuati dai Comuni.

Roma Capitale, esercitando tale potere espressamente rimessole dalla legge regionale, era intervenuta con la delibera n. 9/2012 (“Disposizioni in ordine all’attuazione del Piano Casa della Regione Lazio, ai sensi dell’art. 2 della Legge Regionale n. 21/2009, come modificata dalle Leggi Regionali nn. 10 e 12 del 2011) in particolare individuando sia ulteriori aree nelle quali non era possibile intervenire con il Piano Casa, sia alcune limitazioni “procedurali”.

Tra queste, ai fini che qui rilevano, erano stati prescritti divieti o, comunque, necessità di pareri per interventi relativi a immobili ricompresi nella “Carta della Qualità”

Secondo la giurisprudenza del TAR Lazio, “la “Carta per la Qualità” è un elaborato non prescrittivo del PRG, qualificato come gestionale per contenuto e finalità: (…)” dovendosi altresì evidenziar che “gli elaborati gestionali (…) – tra i quali rientra anche la “Carta per la Qualità” Elaborato G1, hanno una funzione complementare agli elaborati prescrittivi (NTA, Sistemi e Regole, Rete Ecologica), posto che attengono alla struttura organizzativa e individuano gli elementi (a….) che ricadono nelle componenti di PRG, elementi che rendono concretamente realizzabili le previsioni del Piano, di cui costituiscono parte integrante” (Sez. II-bis, 10.3.2014, n. 2744).

Si tratta, quindi, di una componente del PRG, con la quale il Comune ha esercitato, “alla luce dei parametri espressi dalla Corte Costituzionale (cfr. n.378 del 2000)” il potere generale  “di individuazione di ambiti di tutela al di là della sottoposizione a vincolo degli immobili (…) in relazione ad esigenze particolari e locali”, imponendo “limiti e vincoli più rigorosi o aggiuntivi anche con riguardo a beni vincolati a tutela di interessi culturali ed ambientali”, tutelando così il tessuto urbanistico al rispetto dei valori culturali-storico e architettonici,che assumono rilievo come “qualità” dei Tessuti ed edifici oggetto di tutela specifica” (così sempre TAR Lazio 2744/2014, cit.).

Ecco perché, con facoltà espressamente riconosciuta dalla L.R. 21/2009 (il citato art. 2, co. 4), Roma Capitale aveva circoscritto – con la Delibera 9/2012 – e limitato l’applicazione del Piano Casa regionale facendo riferimento, tra l’altro, ad aree ed immobili tutelati dalla Carta Qualità, così evitando l’operatività in deroga al PRG della speciale disciplina regionale.

In concreto si era previsto, tra l’altro, che, per le istanze di Piano Casa relative ad immobili tutelati dalla Carta Qualità, occorresse il previo parere di una apposita Commissione, secondo il procedimento delineato dalla  D.D. prot. 25840 del 13.12.2012 (“Procedura per la valutazione delle proposte di intervento di cui al Capo II della L.R. n. 21/2009 e ss.mm.ii. dei beni inseriti nell’elaborato “Carta per la Qualità” del P.R.G. Vigente”).

  1. Centro storico, art. 6 L.R. 7/2017 e Carta per la Qualità.

La L.R. 7/2017, pur ammettendo operazioni di trasformazione edilizia in parte similari, presenta un impianto differente rispetto alla L.R. 21/2009 sul Piano Casa.

L’art. 6 della L.R. 7/2017 costituisce la norma che, per così dire, “raccoglie l’eredità” del Piano Casa, ammettendo – in deroga agli strumenti urbanistici comunali – interventi di demolizione e ricostruzione, con ampliamento di cubatura sino al 20% e possibili mutamenti di destinazione d’uso (per un esame complessivo della disciplina in questione si rinvia al video già  pubblicato).

In base a tale norma, senza che sia previsto espressamente dalla legge alcun previo atto deliberativo comunale (come nel caso, invece,degli articoli 4 e 5, anch’essi aventi ad oggetti interventi “diretti”), “sono sempre consentiti (…) interventi di demolizione e ricostruzione con incremento fino a un massimo del 20 per cento della volumetria o della superficie lorda esistente” (co. 1). Quanto ai centri storici il comma 6 prevede l’esclusione degli insediamenti urbani storici del PTPR (ambito che, si ricorda, era escluso anche dalla L.R. 21/2009).

Come rilevato, la L.R. 7/2017 non riconosce, in capo al Comune, alcuna facoltà di intervenire, con specifico riferimento all’art. 6 in parola, per limitare o escludere ulteriormente la possibilità di operare tramite gli interventi ivi disciplinati e ciò in evidente discontinuità rispetto alla previsione generale della L.R. 21/2009 che consentiva agli enti locali di individuare “ambiti del proprio strumento urbanistico ovvero immobili nei quali, (…), limitare o escludere gli interventi previsti nel presente articolo” (così il già citato art. 2, co. 4).

Ad oggi, dunque, a fronte di una istanza di demolizione e ricostruzione di un fabbricato non ricadente negli insediamenti urbani storici del PTPR ma oggetto di tutela da parte della Carta della Qualità, di quali poteri dispone Roma Capitale?

Si è prima rammentato che la Carta per la Qualità costituisce un elaborato integrante il PRG.

Tanto lascia intendere che, se gli interventi ex art. 6 L.R. 7/2017 sono assentibili in deroga allo strumento urbanistico comunale, allora la deroga in parola non può che incidere anche sulle previsioni risultanti dalla Carta per la Qualità.

D’altra parte, la L.R. 7/2017 laddove ha ritenuto “opportuno” affidare ai Comuni strumenti di tutela specifici, atti a governare e limitare  l’applicazione degli istituti di rigenerazione, lo ha fatto in maniera espressa: l’esempio più chiaro è l’art. 4, sui cambi di destinazione d’uso.

La norma consente interventi di ristrutturazione edilizia (anche con demolizione e ricostruzione) finalizzati al cambio di destinazione d’uso (in questo caso senza alcun premio di cubatura).

Il “ruolo” degli atti comunali, in questo istituto, è ben delineato: “i comuni, con apposita deliberazione di consiglio comunale (…) possono prevedere nei propri strumenti urbanistici generali, (…), l’ammissibilità di interventi di ristrutturazione edilizia, compresa la demolizione e ricostruzione, di singoli edifici (…) con mutamento della destinazione d’uso (…)”.

Viene, poi, dettato un regime transitorio: fino al 18.7.2018 – anche in assenza della deliberazione di consiglio comunale – è possibile porre in essere gli interventi in questione (con alcune specifiche limitazioni).

Analogamente, l’art. 5 “(Interventi per il miglioramento sismico e per l’efficientamento energetico degli edifici”) subordina la possibilità di porre in essere gli interventi ivi contemplati (ampliamento) all’adozione di una specifica delibera di consiglio comunale.

Le due norme, quindi, offrono un indice per poter affermare che, al contrario, non prevedendo la legge alcuno strumento che garantisca al Comune di “regolare” gli interventi di cui all’art. 6, sia più che dubbia la possibilità di porre in essere atti regolamentari in tal senso.

  1. Osservazioni sulla c.d. Direttiva Montuori

In questo quadro, un cenno merita la Direttiva n. 10 del 19.2.2018 dell’Assessore all’Urbanistica di Roma Capitale.

Tale atto prende in considerazione (oltre agli artt. 2 e 3) l’art. 4 (cambi di destinazione d’uso) affermando (disponendo?) che, nelle more dell’adozione di provvedimenti previsti dalla norma in parola, “è consentito il cambio di destinazione d’uso esclusivamente nei tessuti della città della trasformazione con esclusione degli edifici e degli ambiti individuati nella Carta della Qualità; sono temporaneamente sospesi gli interventi in tutti i tessuti della città storica e nella città consolidata”.

La direttiva è di difficile coordinamento con l’art. 4 della L.R. 7/2017, per diverse ragioni.

La prima è che la disciplina transitoria relativa all’ammissibilità degli interventi contemplati dalla disposizione in questione è dettata direttamente dalla L.R. 7/2017 e appare di più che dubbia legittimità ed efficacia cogente un intervento, sotto forma di “direttiva”, che limiti gli interventi direttamente ammessi dalla legge. L’art. 4, infatti, contempla (ed ammette) come fonte regolamentare atta a regolare l’assentibilità degli interventi in questione la delibera di consiglio comunale.

La seconda ragione è di “merito”: la direttiva (non una delibera consiliare, come detto) esclude, sin da subito, la possibilità di intervenire su edifici ed immobili ricompresi nella Carta della Qualità (nonché in alcuni particolari ambiti) così “derogando” a quanto previsto dall’art. 4 della legge regionale.

Infine, la temporanea sospensione degli interventi “in tutti i tessuti della città storica e nella città consolidata”, oltre a porsi in contrasto con la disciplina transitoria contenuta dall’art. 4 della L.R. 7/2017, pare introdurre un’atipica (e, quindi, illegittima) misura di salvaguardia, disposta, peraltro, con un atto (la direttiva) inidoneo allo scopo.

  1. Conclusioni: le proposte dell’INU

Nel dibattito di questi giorni, si registra la presa di posizione dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, con alcune proposte , atte a consentire la salvaguardia dei “villini” di inizio novecento siti a Roma e non ricadenti nelle aree in cui, in base alla legge regionale n. 7 del 2017, è esclusa la possibilità di intervenire ex art. 6 della stessa.

La prima proposta, rivolta alla Regione, concerne la modifica dell’art. 6 della L.R. 7/2017, con estensione dell’esclusione anche alle zone omogenee A individuate dai PRG.

Evidentemente, tale modifica risolverebbe la questione a monte.

La seconda proposta, indirizzata all’Amministrazione capitolina, è quella di deliberare, tra l’altro, la esclusione dalla applicazione della L.R. 7/2017 dei tessuti a villini di Roma.

La soluzione proposta, ricalca, a ben guardare, quanto avvenuto nella vigenza del Piano Casa, con la differenza, tuttavia, che la L.R. n. 21/2009 “autorizzava” espressamente i Comuni ad intervenire in tal senso (con il già menzionato art. 2, co. 4).

Pertanto, pare, a chi scrive, che tale soluzione sarebbe di dubbia legittimità, mancando, nella L.R. 7/2017 un’analoga previsione.

Inoltre, la L.R. 7/2017 prevede chiaramente che “gli interventi di cui alla presente legge sono realizzati in conformità e nel rispetto della normativa di settore e della pianificazione sovraordinata a quella comunale” e ha individuato un preciso spazio riservato ai Comuni (con le “delibere” di cui agli artt. 4 e 5, ad esempio).

Una deliberazione che incidesse in maniera diretta – limitandola o escludendola – sull’applicazione dell’art. 6 della L.R. 7/2017 porrebbe, allora, un serio problema di compatibilità rispetto alla legge regionale stessa.

La strada da percorrere, in coerenza peraltro con quanto previsto per gli interventi contemplati dagli artt. 4 e 5 della L.R. 7/2017, sembra essere, allora, quella di attribuire – espressamente – ai Comuni la possibilità di individuare aree, ulteriori rispetto a quelle individuate dalla legge, nelle quali vietare o limitare le ristrutturazioni tramite demolizione e ricostruzione.