Suddivisione in lotti, vincolo di aggiudicazione e tutela della concorrenza

La suddivisione in lotti di un appalto pubblico effettuata in modo tale da integrare la duplice violazione del principio della libera concorrenza in senso oggettivo (come astratta possibilità di contendersi il mercato in posizione di parità) e in senso soggettivo (per la creazione di una posizione di ingiustificato favore di un concorrente rispetto agli altri) è illegittima per sviamento di potere.

Lo ha precisato la Terza Sezione del Consiglio di Stato in una sentenza relativa a una procedura suddivisa in sei lotti dal notevole valore economico e strutturati su una notevole estensione territoriale. Inoltre, la Stazione appaltante non aveva previsto alcun “vincolo di aggiudicazione”, ovverosia alcun limite alla possibilità per i concorrenti di aggiudicarsi più lotti. Infatti, all’esito della procedura un solo concorrente risultava aggiudicatario di tutti i lotti.

Il Consiglio di Stato ha precisato che la scelta della stazione appaltante circa la suddivisione in lotti di un appalto pubblico così come la possibilità di stabilire un limite alla aggiudicazione di tutti i lotti devono essere valutate nel quadro complessivo dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza. In particolare, il limite di aggiudicazione è una facoltà discrezionale il cui mancato esercizio non è – da solo e di per sé — sintomo di illegittimità, tuttavia — specie relativamente alle procedure indette dalle Centrali di committenza e dai soggetti aggregatori di grandi dimensioni — la tutela della concorrenza impone una ragionevole e proporzionata valutazione della struttura della gara per evitare che, di fatto, si favorisca una impresa rispetto ad un’altra. Inoltre, nel caso di specie, sotto il profilo procedimentale, una maggiore articolazione dei lotti e l’apposizione di limiti all’aggiudicazione di tutti i lotti a un’unica impresa, costituiva nel caso di specie un’opzione tecnicamente possibile e non eccessivamente gravosa per la Pubblica Amministrazione committente.

Consiglio di Stato, Sez. III, 4 marzo 2019, n. 1486