La procedura di selezione dell’app “Immuni”
L’app “Immuni” è l’applicazione di tracciamento dei contatti digitale selezionata tramite una delle “fast call” di “Innova per l’Italia”, iniziativa congiunta del Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione, il Ministro per lo Sviluppo Economico e il Ministro per l’Università e la Ricerca, di cui abbiamo già parlato al momento della pubblicazione delle call.
La “fast call”, pubblicata il 23 marzo, è rimasta aperta solo tre giorni e si rivolgeva solo a chi avesse già realizzato le soluzioni tecnologiche richieste, con una terminologia piuttosto generica relativa a quelle che sarebbero state le effettive modalità di selezione e acquisizione delle soluzioni proposte e in assenza di richiami a norme di legge che disciplinassero l’iniziativa.
Oggi, la notizia della individuazione dell’applicazione da adoperare sta avendo molto risalto sulla stampa e, comprensibilmente, si discute animatamente dei profili relativi alla tutela della riservatezza dei dati che saranno acquisiti durante il suo utilizzo. Anche la procedura di selezione della proposta fra quelle pervenute e la natura del rapporto negoziale con il soggetto titolare dell’applicazione, però, sono meritevoli di attenzione.
Con l’ordinanza n. 10 del 16 aprile 2020 il Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19 ha disposto di “procedere alla stipula del contratto di concessione gratuita della licenza d’uso sul software di contact tracing e di appalto di servizio gratuito con la società Bending Spoons S.p.A.”. Al momento non sono disponibili altri atti del procedimento se non tale ordinanza, di cui è stata disposta la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Le premesse dell’ordinanza fanno riferimento, quale fondamento normativo della stessa, soltanto all’art. 122, co. 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, ai sensi del quale “al fine di assicurare la più elevata risposta sanitaria all’emergenza, il Commissario attua e sovrintende a ogni intervento utile a fronteggiare l’emergenza sanitaria, organizzando, acquisendo e sostenendo la produzione di ogni genere di bene strumentale utile a contenere e contrastare l’emergenza stessa”.
Nelle premesse del provvedimento non è poi riscontrabile una effettiva motivazione circa le ragioni per la selezione di tale specifica applicazione in termini comparativi con le altre numerose soluzioni proposte, ma solo delle indicazioni alquanto generiche su alcune sue caratteristiche. Al contempo, lo specifico oggetto del contratto di “concessione gratuita della licenza d’uso” ma soprattutto dell’“appalto di servizio gratuito” con la società titolare dell’applicazione non sono al momento stati resi pubblici.
Sulla possibilità di affidare appalti “gratuitamente” si è discusso a lungo in giurisprudenza. Quel che è certo è che, quando si riconosce che un simile affidamento sia possibile, è alla luce del riconoscimento del fatto che vi è comunque una “ragione economica a contrarre” (e dunque l’offerta è seria ed affidabile) ragione la quale, pur non trovando fondamento in un corrispettivo finanziario della prestazione contrattuale, può risiedere “anche in un altro genere di utilità, pur sempre economicamente apprezzabile, che nasca o si immagini vada ad essere generata dal concreto contratto” (Cons. St., sez. V, 3 ottobre 2017, n. 4614).
Con riferimento all’app Immuni, la società che ne concede l’utilizzo ottiene almeno tre utilità apprezzabili sotto il profilo economico: la maturazione di notevoli requisiti esperienziali da far valere in future gare pubbliche (e chiunque si occupi di appalti sa quale possa essere il valore di tali requisiti), una immensa notorietà e “pubblicità” a livello nazionale e l’occasione di sperimentare le proprie soluzioni tecnologiche su larghissima scala.
In tale contesto, è difficile non interrogarsi sulla decisione di non applicare alla procedura in questione la disciplina degli appalti pubblici, che pure – come si è già rilevato – prevede diverse ipotesi di affidamento in via di urgenza anche molto accelerate, oltre che istituti che consentono di mettere a confronto soluzioni innovative, cui si sono affiancate le procedure speciali e in deroga previste dalla decretazione d’urgenza delle ultime settimane. In fondo, tra la chiusura della fast call e l’ordinanza sono comunque trascorsi venti giorni.
Sul punto si è espressa anche la Commissione europea con la Comunicazione “Orientamenti della Commissione europea sull’utilizzo del quadro in materia di appalti pubblici nella situazione di emergenza connessa alla crisi della Covid-19” (2020/C 108 I/01), segnalando che anche le modalità di affidamento urgenti si collocano in qualche modo all’interno del quadro europeo in materia.
Del resto, lo stesso art. 122 del d.l. Cura Italia richiamato nelle premesse dell’ordinanza prevede che il Commissario “nell’esercizio di tali attività può avvalersi di soggetti attuatori e di società in house, nonché delle centrali di acquisto”. Come emerge anche dalle pieghe di un recente decreto del TAR Lombardia, Milano, (Sez. I, 22 aprile 2020, n. 596), le deroghe alla disciplina ordinaria dei contratti pubblici – come a qualunque altra norma di legge – nell’attuale fase di emergenza sono ammesse laddove ciò sia necessario, ragionevole e motivato, e non solo alla luce della generica esistenza della fase di emergenza stessa.
Anche al di fuori della disciplina degli appalti pubblici, in ogni caso, sarebbe comunque necessario tenere a mente i principi generali dell’azione amministrativa e, ove si vada ad attribuire un vantaggio economico, l’art. 12, l. 241/1990. In questo caso, la mancanza di predeterminazione dei criteri, di trasparenza della procedura e di carenza di motivazione circa la selezione di un soggetto chiamato a svolgere un compito così importante non sembrano essere giustificati da alcuna concreta ragione connessa alla fase di emergenza.