La proroga dei termini dei lavori edili nei contratti : il nuovo comma 2 ter dell’art. 103 del Cura Italia
A seguito degli emendamenti introdotti in sede di conversione del decreto Cura Italia, i termini di inizio e fine lavori nei contratti per i lavori edili, godono oggi di una “proroga” di 90 giorni.
Nello specifico, il primo periodo del comma 2 ter dell’art. 103 della legge di conversione 24.4.2020, n. 27 del Decreto Cura Italia, dispone chiaramente che, in relazione ai contratti per lavori edili “in corso di validità fra il 31.1.2020 e il 21.7.2020”, i termini di inizio e fine lavori sono prorogati del medesimo termine indicato al comma 2 riguardante la validità dei certificati amministrativi e dunque “per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza”.
In altre parole, nei contratti privati per lavori edili rimasti sospesi a causa dell’emergenza Covid-19, il termine di inizio o di fine lavori s’intende prorogato per ulteriori 90 giorni a partire dalla dichiarazione di cessazione dell’emergenza: e tutto ciò indipendentemente dall’effettiva durata dei lavori che era stata concordata nel contratto di appalto, o dal numero di giorni mancanti alla conclusione dei lavori stessi al momento dell’intervenuta sospensione.
A titolo esemplificativo, anche i lavori edilizi di minima durata, i quali magari erano anche prossimi alla conclusione al momento della sospensione, possono godere di un proroga ex lege di 90 giorni che decorre dal termine di cessazione dello stato di emergenza.
Una tale previsione tiene dunque conto delle difficoltà e dei rallentamenti, anche meramente operativi, che vi possono essere nella ripresa dei lavori e, ammettendo una sorta di “bonus” di 90 giorni nell’inizio e nella conclusione degli stessi, offre un notevole aiuto alle imprese edili al fine di evitare che esse possano incorrere in responsabilità contrattuali o negli inadempimenti legati alla mancata conclusione dei lavori nei termini stabiliti.
Sotto il profilo interpretativo, una tale disposizione appare poco chiara: la sua collocazione nell’ambito delle disposizioni riguardanti le proroghe degli atti amministrativi induce a ritenere che essa si applichi ai termini di inizio e fine lavori di cui all’art. 15 del T.U. dell’Edilizia, collegati alla decadenza del permesso di costruire. Tuttavia, il riferimento esplicito, ivi contenuto, ai contratti di lavori edili e quello implicito alla loro esecuzione, induce a ritenere che l’applicazione di tale proroga riguardi invece i termini di inizio e fine lavori indicati nel contratto, al fine di escludere un inadempimento o responsabilità contrattuale.
Al di là dei problemi interpretativi, una tale proroga riconosciuta all’appaltatore, poiché del tutto disancorata dall’effettiva durata dei lavori e dalle altre norme adottate dal Cura Italia, appare eccessiva, finendo per pregiudicare ingiustificatamente il committente, in misura tale da poterlo indurre ad invocare una risoluzione del contratto stesso.
Deve infatti rilevarsi come tale disposizione, disponendo una proroga così generalizzata, risenta del limite di non tenere minimamente conto dell’effettiva durata dei lavori indicata in contratto: una proroga di 90 giorni oltre il periodo di sospensione appare del tutto sproporzionata soprattutto in relazione a quei lavori edili per i quali era stata concordata una durata inferiore nonché in relazione a quei lavori che, al momento della sospensione governativa, erano ormai in fase di conclusione.
Peraltro, la proroga di una tale portata appare del tutto ingiustificata in quanto trascura il fatto che l’eventuale ritardo dell’appaltatore nella conclusione dei lavori fosse stato già sostanzialmente escluso come fonte di responsabilità contrattuale dall’art. 91 del Cura Italia nonché dai principi generali in materia di impossibilità temporanea della prestazione di cui all’art. 1256 c.c..
Oltre a ciò, tale norma non tiene conto del fatto che il D.p.c.m. del 26.4.2020 ha disposto la ripresa dei lavori edilizi a partire dal 4.5.2020: pertanto non vi è alcuna ragione per far decorrere la proroga di 90 giorni dal termine della cessazione delle emergenza, invece che dal termine di ripresa dell’attività. Proprio in questo senso, ad avviso di chi scrive, il momento della cessazione di emergenza dovrebbe essere assimilato, in sede interpretativa, al momento della ripresa delle attività edilizie, fissato 4.5.2020.
Sulla scorta di tali considerazione appare chiaro come l’appaltatore possa godere di una rilevante proroga del termine per l’inizio e per la conclusione lavori: proroga sicuramente giustificata in ragione delle gravi ripercussioni che tali imprese hanno subito in ragione della sospensione forzata dei lavori nonché delle difficoltà e dei rallentamenti nella ripresa, ma comunque eccessiva alla luce del contrapposto interesse del committente. Quest’ultimo vede infatti dilungarsi notevolmente i tempi per la conclusione lavori.
Peraltro, questo eccessivo prolungamento dei lavori appare tale da poter pregiudicare l’interesse del committente alla prestazione dell’appaltatore e dunque tale da fargli invocare la risoluzione del contratto: deve infatti ricordarsi che l’impossibilità temporanea delle obbligazioni (capace di “sospendere” il contratto) diviene definitiva nel momento in cui, in ragione della durata della “sospensione”, viene meno l’interesse delle parti, ragion per cui può essere invocata la risoluzione del contratto.
Deve concludersi come una tale disposizione, sebbene fortemente (e giustamente) protettiva dell’appaltatore, debba – ad avviso di chi scrive – essere usata con attenzione, al fine di evitare che possa ritorcersi contro, inducendo il committente ad invocare la risoluzione del contratto stesso e dunque frustrando il senso della stessa.