Rigenerazione urbana ed edifici dismessi: lo scontro Comune Milano – Regione approda alla Corte costituzionale

Con tre ordinanze gemelle (nn. 371, 372 e 381 del 10.2.2021) il TAR Lombardia, Milano, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità della disciplina di cui alla L.R. Lombardia 18/2019, nella parte in cui, modificando la L.R. 12/2005, ha disciplinato il “recupero” del “patrimonio edilizio dismesso con criticità“.

 

Il quadro normativo tra L.R. 18/2019 e PGT di Milano.

La vicenda trae origine da un conflitto (aperto e dichiarato, anche al livello istituzionale), tra la disciplina del PGT di Milano, approvato il 14.10.2019 ed entrato in vigore il 5.2.2020) e la sopravvenuta normativa regionale in punto di recupero del patrimonio edilizio dismesso di cui alla L.R. 26.11.2019, n. 18.

Avendo di mira sostanzialmente la medesima fattispecie (fabbricati in stato di degrado e dismissione) e con gli stessi obiettivi (incentivarne il recupero, in una prospettiva di rigenerazione urbana), l’art. 11 delle NTA del Piano delle regole di Milano e l’art. 40-bis L.R. 12/2005 (aggiunto, come detto, dalla L.R. 18/2019) adottano soluzioni sensibilmente differenti.

In particolare ed in estrema sintesi, il PGT :

  • pone un limite di 18 mesi, decorrente dal provvedimento di individuazione, per la presentazione del progetto di recupero;
  • in caso di demolizione, riconosce la superficie lorda esistente (con riconoscimento del corrispondente diritto edificatorio);
  • in caso di mancata demolizione, fatto salvo l’esercizio di poteri sostitutivi comunali, riconosce un indice di edificabilità di 0,35 mq./mq.
  • in caso di mancata demolizione, sono ammessi solo interventi sino al risanamento conservativo e senza cambio di destinazione d’uso.

Per contro, la disciplina dell’art. 40-bis L.R. 12/2005 (inserito dalla L.R. 18/2019), applicabile anche agli immobili già individuati dai Comuni:

  • assegna un termine di 3 anni per presentare la domanda di intervento edilizio;
  • riconosce un incremento del 20% dei diritti edificatori per interventi su detti immobili;
  • esenta dall’eventuale obbligo di reperire aree a standard (salvo quelle già puntualmente individuate dalla pianificazione vigente);
  • attribuisce ulteriori premialità in ragione del raggiungimento di determinati standard qualitativi;
  • in caso di mancata presentazione della domanda di intervento, previa diffida comunale (con assegnazione di ulteriore termine da 4 a 12 mesi), dispone che il comune ingiunga la demolizione o l’esecuzione degli interventi necessari di recupero/messa in sicurezza, da eseguirsi entro un anno;
  • prevede che la demolizione da parte del privato determina il diritto “ad un quantitativo di diritti edificatori pari alla superficie lorda dell’edificio demolito fino all’indice di edificabilità previsto per l’area”;
  • dispone che in caso di ulteriore inerzia della proprietà, il comune interviene in via sostitutiva (a spese del privato), fermo restando che in capo a questa permane “un quantitativo di diritti edificatori pari alla superficie lorda dell’edificio demolito fino all’indice di edificabilità previsto per l’area”.

La semplice lettura sovrapposta delle previsioni di PGT e Legge regionale rende chiaro come l’approccio comunale sia maggiormente restrittivo rispetto a quello regionale (soprattutto, ma non solo, in termini di tempistica, diritti edificatori, conseguenze per l’inadempimento).

 

Il contenzioso e le ordinanze di rimessione alla Corte.

Semplificando e riassumendo, le vicende contenziose nascono dall’impugnativa dell’art. 11 NdA P.d.R. da parte di un soggetto proprietario di un immobile ricompreso tra gli “edifici abbandonati e degradati”, con denuncia, in estrema sintesi, della illegittimità della norma di piano in quanto eccessivamente limitativa del diritto di proprietà (la norma, tra l’altro, viene censurata per la sua portata sostanzialmente espropriativa, in assenza di indennizzo) oltre che violativa dell’art. 40-bis L.R. 12/2004.

Il Comune di Milano, costituitosi in giudizio, ha a sua volta sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 40-bis L.R. 12/2004 sotto diversi punti di vista e, in sintesi, da un lato per la illegittima compressione, ad opera dell’art. 40-bis L.R. 12/2004, delle potestà pianificatorie comunali (con violazione dell’art. 118 Cost.) e, dall’altro, per irragionevolezza della norma regionale e violazione dei principi ex art. 3-bis D.P.R. 380/01.

 

Il TAR ha ritenuto la questione non manifestamente infondata e, sposando in maniera netta i dubbi di costituzionalità sollevati dalla difesa del Comune, ha rimesso la questione di legittimità alla Corte costituzionale.

 

I. Le questioni di legittimità costituzionale inerenti la potestà pianificatoria comunale.

In primo luogo, il TAR ha valutato come suscettibile di favorevole apprezzamento la ipotizzata violazione delle norme costituzionali a presidio della potestà pianificatoria comunale.

 

Osserva al riguardo l’ordinanza che:

L’applicazione della disposizione regionale oggetto di scrutinio comprime in maniera eccessiva – con violazione degli artt. 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo e sesto comma, e 118 della Costituzione – la potestà pianificatoria comunale, in particolare dei Comuni che hanno più di 20.000 abitanti (come il Comune di Milano), non consentendo a siffatti Enti alcun intervento correttivo o derogatorio in grado di valorizzare, oltre alla propria autonomia pianificatoria, anche le peculiarità dei singoli territori di cui i Comuni sono la più immediata e diretta espressione

Infatti, prosegue l’ordinanza,

” (…) l legislatore regionale ha imposto, a regime, una disciplina urbanistico-edilizia in ordine al recupero degli immobili fatiscenti ingiustificatamente rigida e uniforme, operante a prescindere dalle decisioni comunali e in grado di produrre un impatto sulla pianificazione locale molto incisivo e potenzialmente idoneo a stravolgere l’assetto del territorio, o di parti importanti dello stesso, in maniera del tutto dissonante rispetto a quanto stabilito nello strumento urbanistico generale” e ” (…) pure nel caso in cui il Comune abbia già individuato gli immobili da recuperare – come nella fattispecie oggetto del presente contenzioso – si deve segnalare che il riconoscimento generalizzato e automatico di un indice edificatorio premiale di rilevante portata (da un minimo del 20% ad un massimo del 25%), accompagnato dall’esenzione dall’eventuale obbligo di reperimento degli standard, assume ugualmente un rilievo significativo sia in quanto la norma regionale si applica anche agli immobili già individuati come abbandonati e degradati dal Comune prima della sua entrata in vigore, sia perché gli interventi di recupero vengono ritenuti ininfluenti ai fini della quantificazione del carico urbanistico, senza alcuna considerazione per ciò che ne consegue”

Il sacrificio delle prerogative pianificatorie comunali viene quindi giudicato, dal TAR, in contrasto con l’art. 118 Cost. (tema sul quale l’ordinanza richiama il precdente, sempre lombardo, di Corte Cost. 119/2020) e, in quanto irragionevole, dell’art. 3 Cost., oltre che in contrasto con i principi fondamentali espressi dal DM 1444/68 in punto di standard urbanistici (con violazione dell’art. 117 Cost.

 

II. La questione, più ampia e a rilievo generale, del rapporto tra rigenerazione urbana, consumo di suolo ed incentivi volumetrici. 

 

Se la prima questione appare, in qualche modo, consueta e “tradizionale” nella dialettica tra pianificazione comunale e legislazione regionale, il secondo tema rimesso alla Consulta risulta, invece, sicuramente più innovativo e dalle conseguenze, in caso di suo accoglimento da parte della Corte, potenzialmente più pervasive, anche a prescindere dalla norma di legge lombarda.

 

Il parametro di riferimento della seconda q.l.c. rimessa dal TAR muove dall’art. 3-bis del D.P.R. 380/01.

Tale disposizione – di cui l’art. 11 N.d.A. P.d.R. Milano costituisce applicazione – dispone che:

Lo strumento urbanistico individua gli edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione. In tal caso l’amministrazione comunale può favorire, in alternativa all’espropriazione, la riqualificazione delle aree attraverso forme di compensazione incidenti sull’area interessata e senza aumento della superficie coperta, rispondenti al pubblico interesse e comunque rispettose dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa. Nelle more dell’attuazione del piano, resta salva la facoltà del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario”

Ebbene, ad avviso del TAR (secondo la prospettiva suggerita dalla difesa del Comune) tale norma, nell’imporre un divieto di incremento della superficie coperta, costituirebbe un principio fondamentale del D.P.R. 380/01, tale da rendere illegittime norme, come quelle della L.R. Lombardia, che colleghino gli interventi edilizi di recupero ad eventuali premialità di cubatura.

 

Così si esprime, in particolare, il TAR:

“L’art. 40 bis sembra porsi in contrasto anche con il principio espresso dall’art. 3 bis del D.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale la riqualificazione di un determinato contesto può avvenire attraverso forme di compensazione incidenti sull’area interessata, tuttavia senza aumento della superficie coperta: al contrario l’art. 40 bis della legge regionale prevede un premio del 20% della superficie lorda, aumentabile fino al 25% al ricorrere di determinate condizioni. Sebbene l’art. 103, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2005, abbia escluso una diretta applicazione nella Regione Lombardia della disciplina di dettaglio prevista, tra l’altro, dall’art. 3 bis del D.P.R. n. 380 del 2001, comunque è stata fatta salva l’applicazione dei principi contenuti nella citata disposizione statale, al cui novero certamente appartiene il divieto di consentire un aumento della superficie coperta in sede di riqualificazione di un immobile; deve ricomprendersi difatti tra i principi statali in materia di governo del territorio la previsione secondo la quale un incentivo per recuperare un bene non può spingersi fino al punto di compromettere la tutela di un altro bene, di almeno pari rango, qual è quello legato alla riduzione del consumo di suolo, peraltro fatto proprio dallo stesso legislatore regionale

Benché la questione in esame, nell’ambito del giudizio in parola (quello dinanzi al TAR e, quindi, quello di legittimità costituzionale), sia da iscrivere direttamente (anche) alla norma-parametro ex art. 3-bis D.P.R. 380/01, deve osservarsi come il “dubbio” di fondo, e “di principio”, da parte del Giudice Amministrativo attenga alla circostanza che a priori la disciplina del recupero di beni immobili, anche in una prospettiva di rigenerazione urbana o riqualificazione edilizia, sarebbe incompatibile con incentivi volumetrici, a loro volta non conciliabili con il bene giuridico “riduzione del consumo di suolo”.

Si tratta di un aspetto che, a nostro avviso, appare meno netto e più complesso di quanto non lascino trasparire le ordinanze di rimessione del TAR.

Da un lato, infatti, la norma (l’art. 3 bis) fa riferimento non genericamente al divieto di “incrementi volumetrici”, ma al divieto (nel caso di interventi contemplati negli strumenti adottati in base a detta norma del D.P.R. 380/01) di incremento della “superficie coperta” (ossia, stando al Quadro delle definizioni uniformi al livello nazionale, la “Superficie risultante dalla proiezione sul piano orizzontale del profilo esterno perimetrale della costruzione fuori terra , con esclusione degli aggetti e sporti inferiori a 1,50 m.”).

Dall’altro lato, ed in termini più generali, la riflessione sul bilanciamento rigenerazione urbana-incentivi volumetrici dovrebbe tenere in debita considerazione non solo il parametro quantitativo (la “quantità di cubatura“) ma anche quello qualitativo (l’impatto, anche energetico ed “ambientale” in senso lato, dell’edificato). In tale prospettiva, dunque, il bonus volumetrico, laddove proporzionato e commisurato all’obiettivo di incentivare processi di riqualificazione non sembra che possa, di per sé, rappresentare un sacrificio del bene giuridico limitazione del consumo di suolo.