Smart mobility. Sharing monopattini elettrici come concessione di servizi: discriminatorio il requisito di partecipazione che prevede di aver espletato il servizio analogo esclusivamente in città italiane.
In tema di Smart mobility, una recente pronuncia del TAR Veneto, definendola come concessione di servizi, si chiede se possa essere definito discriminatorio il requisito di partecipazione che prevede di aver espletato il servizio analogo esclusivamente in città italiane nell’ambito di una procedura di selezione di operatori interessati a svolgere il servizio di sharing monopattini elettrici.
La sentenza del TAR Lombardia sull’ordine di arrivo delle domande come criterio di selezione
In tema di smart mobility, in particolare di sharing monopattini elettrici, la giurisprudenza amministrativa era ferma alla sentenza del TAR Lombardia n. 1274/2020 che ha avuto modo di affrontare la questione della illegittimità del criterio cronologico adottato dal Comune di Milano per la selezione degli operatori interessati a svolgere in via sperimentale, ai sensi del d.m. 229/2019, servizi di mobilità in sharing con dispositivi per la micromobilità elettrica (hoverboard, segway, monopattini e monowheel) cui associare il logo del Comune. Criterio che il Tribunale ha definito inadeguato.
La pronuncia, come avevamo anticipato, era destinata a produrre effetti in tutta Italia giacché il Collegio ha affermato che, sebbene non sia compito dei giudici suggerire criteri di scelta alternativi, questi criteri alternativi sono possibili. In sostanza, il TAR ha evidenziato che, anziché affidare la selezione degli operatori al caso, il Comune di Milano avrebbe potuto individuare un criterio qualitativo, un po’ come accade negli appalti pubblici quando si valuta l’offerta tecnica.
Il TAR Veneto sul requisito di partecipazione “discriminatorio”
E, infatti, è della scorsa settimana la sentenza del TAR Veneto che si esprime sulla legittimità delle condizioni di partecipazione previsti dal Comune di Venezia in relazione all’avviso pubblico di manifestazione d’interesse per l’individuazione di soggetti interessati a svolgere in via sperimentale il servizio di mobilità in sharing a flusso libero con monopattini elettrici, nel territorio del Comune.
Nel dettaglio, uno dei partecipanti esclusi ricorre al TAR impugnando non solo la sua esclusione ma anche lo stesso avviso che prevede, quale requisito soggettivo di partecipazione, di “aver già fornito analogo servizio in città italiane con almeno 100.000 abitanti per un periodo non inferiore a 6 mesi”.
In via preliminare, il Collegio ritiene infondata l’eccezione, dedotta da entrambe le resistenti, secondo cui, riguardando una c.d. clausola escludente, il ricorso in esame sarebbe tardivo in quanto l’impugnazione avrebbe dovuto essere proposta entro trenta giorni dalla pubblicazione dell’avviso ai sensi dell’art. 120 c.p.a..
Ad avviso del Collegio, come configurato nel caso di specie dalla lex specialis di gara (selezione dei candidati, assunzione del servizio da parte dell’Amministrazione, inserimento dello stesso come strumento complementare nel servizio di trasporto urbano, regolazione delle tariffe, imposizione di obblighi di servizio), il rapporto in questione deve essere ricondotto nell’ambito della concessione di servizi, istituto sottoposto, per quanto riguarda la procedura di affidamento, alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo e al rito speciale di cui agli artt. 120 e ss. c.p.a..
Tuttavia per costante giurisprudenza “La parte che eccepisce la decadenza della controparte da un termine (processuale o sostanziale) è tenuta a dimostrare tutti gli elementi costitutivi dell’eccepito fatto estintivo, tra cui la data di decorrenza del termine medesimo” (Cons. St., Sez. VI, 29 giugno 2015, n. 405).
Nel caso di specie tale prova non è stata fornita.
L’impostazione del rapporto con il gestore dello sharing come concessione di servizi, per cui ha optato il Comune di Venezia, non è l’unica ipotesi nella sia pur limitata prassi che è dato ad oggi esaminare. Nel caso del Comune di Milano appena richiamato, infatti, l’oggetto dell’avviso era più che altro ascrivibile alla figura dell’autorizzazione contingentata.
La rettifica dell’avviso pubblico di manifestazione di interesse – pubblicata sul profilo del committente in data 28 maggio 2020, con cui si è stabilito che ai fini della partecipazione era necessario aver svolto un servizio analogo in città italiane di almeno centomila abitanti per un periodo non inferiore a mesi 6, anziché ad un anno, come previsto nel testo originario dell’avviso – richiedeva il rispetto delle medesime forme di pubblicità dell’atto di indizione della procedura.
E non essendo indicato il valore dell’affidamento, doveva ritenersi applicabile la disciplina generale in tema di pubblicazione degli atti di indizione delle procedure di gara di cui agli artt. 129 e 130 del d.lgs. n. 50/2016.
A ciò si aggiunga, che mancando negli atti di gara un preciso richiamo al d.lgs. n. 50/2016, doveva in ogni caso riconoscersi il beneficio dell’errore scusabile ai sensi dell’art. 37 c.p.a..
Nel merito, il TAR Veneto accoglie il ricorso nella parte in cui la ricorrente lamenta la violazione dei principi, nazionali e comunitari, di concorrenza e di non discriminazione, anche indiretta, in base alla nazionalità.
Invero, i principi di parità di trattamento e di divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 49 e 56 TFUE) sono principi cardine – c.d. super principi o valori di sistema – dell’intera disciplina euro unitaria in materia di contratti pubblici.
Ed è di tutta evidenza che l’avere richiesto come requisito di partecipazione lo svolgimento di analogo servizio esclusivamente in una città italiana, con esclusione delle attività svolte in città appartenenti ad altri Paesi dell’Unione, determina una surrettizia restrizione – una discriminazione indiretta – all’acceso alla procedura per gli operatori comunitari non italiani o che non operano in Italia.
Del resto, in materia di contratti pubblici, è frequente che la giurisprudenza amministrativa dichiari illegittime clausole dei bandi di gara che valorizzino, in modo irragionevole, il radicamento dell’operatore in un dato territorio.
Inoltre, non colgono nel segno i rilievi avanzati dal Comune secondo cui la Direttiva servizi non sarebbe applicabile nel settore dei trasporti.
Sin dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario del 12 aprile 2000 e dalla Comunicazione interpretativa relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive appalti pubblici, oggi recepite nelle attuali direttive nn. 23/2014/UE e 24/2014/UE nonché nel d.lgs. n. 50/2016, si è chiarito che anche per i contratti esclusi dal raggio di applicazione delle direttive, le stazioni appaltanti che li stipulano sono comunque tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato in generale, ed il principio di non discriminazione in base alla nazionalità in particolare (Cons. St., Ad. Plen., 30 gennaio 2014, n. 7).
A ciò si aggiunga che ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 241/1990 detti principi sono stati recepiti nel nostro ordinamento e devono pertanto ritenersi applicabili anche agli ambiti non specificamente oggetto della disciplina comunitaria.
Né risultano convincenti le motivazioni postume, dedotte dalla resistente a sostegno della scelta di circoscrivere la partecipazione alle imprese che hanno svolto analogo servizio in una città italiana.
A prescindere dal fatto che sono principalmente gli utenti del servizio a dover conoscere le norme del Codice della Strada, è chiaro che anche gli operatori comunitari non italiani devono essere in grado di acquisire una adeguata conoscenza delle norme e delle modalità di circolazione dei veicoli.
Anche le specificità del servizio elencate dall’Amministrazione (la scarsità di zone 30, la scarsità di zone residenziali e di corsie ciclabili, la presenza non sporadica di interruzioni della rete ciclabile, la mancanza ovvero comunque la scarsità di corsie riservate per i bus e la mancanza ovvero comunque la scarsità di elementi di agevolazione della mobilità urbana per le biciclette/monopattini) non consentono di ritenere proporzionata la prevista compromissione del super principio- valore di non discriminazione in base alla nazionalità.
Ciò in considerazione della natura sperimentale del servizio e dell’esigenza di beneficiare delle migliori esperienze maturate nelle diverse città europee, anziché delle (allo stato) limitate esperienze locali.
Da ultimo, precisa il collegio che l’interesse fatto valere dal ricorrente che impugna la sua esclusione è volto a concorrere per l’aggiudicazione nella stessa gara, dunque, anche nel caso di gara da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in presenza del giudicato di annullamento dell’esclusione sopravvenuto alla formazione della graduatoria, il rinnovo degli atti deve consistere nella sola valutazione dell’offerta illegittimamente pretermessa, da effettuarsi ad opera della medesima commissione preposta alla procedura (Cons. St., Ad. Plen., 26 luglio 2012, n. 30).