L’appaltatore può iscrivere riserve oltre il 20% dell’importo contrattuale? La Corte costituzionale sulla corretta interpretazione dell’art. 240 bis del d.lgs. 163/2006.
A mente dell’art. 240 bis, comma 1, ultimo inciso, come modificato dal d.l. 70/2011, l’importo complessivo delle riserve non può in ogni caso essere superiore al 20% dell’importo contrattuale. La Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla corretta interpretazione della norma.
Con ordinanza del 13.5.2019, il Tribunale ordinario di Lecco ha sollevato una questione di legittimità costituzionale sulla predetta disposizione.
La questione, sebbene riferita ad un articolo del codice previgente, è importante da un lato perché attuale (numerosi sono ancora oggi gli appalti pubblici in corso di esecuzione soggetti alla disciplina previgente) dall’altro per i principi espressi che di certo tornano e torneranno utili in futuro.
Partiamo dal caso concreto: nel giudizio di primo grado, la società ha chiesto il riconoscimento di sei riserve iscritte nei registri di contabilità e confermate in sede di sottoscrizione del conto finale per un ammontare complessivo di € 470 mila circa nell’ambito di un contratto di appalto di lavori dell’importo di € 560 mila circa. Il Comune non aveva attivato l’accordo bonario.
Il Tribunale osserva che, all’esito di CTU relativa alle riserve iscritte, risulterebbero fondate pretese per euro 110 mila circa, ossia per una cifra inferiore al 20% dell’importo contrattuale.
Tuttavia – prosegue il Tribunale – poiché quanto dovrebbe riconoscersi all’impresa si ricava da riserve registrate dopo che ne erano state iscritte altre per un ammontare che aveva già raggiunto il limite del 20% dell’importo contrattuale, sarebbe preclusa la possibilità di accertare nel merito quelle annotate successivamente al superamento della soglia imposta dalla norma censurata.
Il giudice rimettente interpreta l’art. 240 bis del d.lgs. 163/2006 nel senso che l’appaltatore può legittimamente iscrivere riserve fino al 20% dell’importo contrattuale, pertanto, sarebbero ammissibili, nel caso di specie, le prime tre riserve e il giudice non potrebbe valutare nel merito le altre che, viceversa, sembrerebbero fondate.
La Corte Costituzionale non condivide.
Il testo dell’art. 240-bis, comma 1, nel prevedere che «l’importo complessivo delle riserve non può in ogni caso essere superiore al 20% dell’importo contrattuale», non rende esplicito se il limite escluda la possibilità di far valere quelle iscritte oltre la soglia o se riguardi l’entità delle pretese annotate che, nel complesso, possono essere riconosciute.
La prima interpretazione, sostenuta dal rimettente, non risulta pienamente coerente con la collocazione sistematica della disposizione e, soprattutto, ove accolta, paleserebbe una irragionevolezza della norma, il che avrebbe dovuto suggerire al rimettente di non respingere – come invece ha ritenuto di fare, in maniera esplicita e argomentata – la richiamata interpretazione alternativa, già sostenuta da altri giudici di merito (si vedano Tribunale ordinario di Roma, 11 dicembre 2020, n. 17666 e 23 gennaio 2017, n. 1085; Tribunale ordinario di Milano, 25 marzo 2020, n. 2207).
Sotto il profilo sistematico, la norma censurata si inserisce nella Parte IV del codice dei contratti pubblici, che non regola l’esecuzione dell’appalto e l’iscrizione delle riserve, bensì il «Contenzioso» e si colloca nel contesto di un articolo che disciplina – come precisa la rubrica – la «Definizione delle riserve».
In particolare, occorre partire dalla prima parte del comma 1 secondo cui “Le domande che fanno valere pretese già oggetto di riserva non possono essere proposte per importi maggiori rispetto a quelli quantificati nelle riserve stesse” il che vuol dire che possono essere proposte, e di conseguenza potenzialmente accolte, le domande che non superino gli importi «quantificati nelle riserve stesse».
Da qui, è naturale ritenere che anche la seconda parte della disposizione, nel fissare la soglia, si riferisca alle riserve che possono essere proposte e potenzialmente definite, in via bonaria o giudiziale.
Entro la soglia del 20% dell’importo contrattuale, qualunque pretesa dell’appaltatore può essere riconosciuta, in via bonaria o previo accertamento giudiziale. Oltre tale limite è, viceversa, certamente inibito accedere all’accordo bonario, mentre non risultano precluse azioni giudiziarie.