Interdittiva antimafia in corso di esecuzione: illegittima l’escussione della garanzia definitiva
Il Consiglio di Stato è intervenuto sul tema della legittimità dell’escussione della garanzia definitiva qualora, dopo la stipula di un contratto pubblico e nelle more dell’esecuzione, la società appaltante sia colpita da una interdittiva antimafia.
Nel caso di specie, il Comune committente, una volta venuto a conoscenza di ben due interdittive antimafia che avevano colpito entrambe le società dell’RTI affidatario dell’appalto, aveva disposto la risoluzione del contratto e, conseguentemente, escusso la garanzia definitiva.
Nella sentenza d’appello, i giudici hanno riconosciuto la legittimità del provvedimento di risoluzione disposto dal Comune, mentre hanno ritenuto errata l’escussione della garanzia definitiva in applicazione dell’art. 103 d.lgs. 50/2016.
Quanto alla risoluzione, infatti, il Consiglio di Stato ha chiarito che, nel caso di specie, la stazione appaltante aveva fatto corretta applicazione del disposto dell’art. 94, comma 3 del d.lgs. 159/2011 e del comma 2 dell’art. 80 del d.lgs. 50/2016, procedendo quindi alla risoluzione del contratto. La caducazione del contratto d’appalto, in caso di informativa antimafia sopravvenuta alla sua stipulazione, è espressione di un potere vincolato della stazione appaltante, per la legittimità del quale rileva soltanto la situazione dell’impresa alla data dell’adozione del provvedimento di risoluzione. In altre parole, secondo il Collegio, non rilevano i contenziosi riguardanti l’interdittiva attivati dall’impresa per contestarne la legittimità.
Quanto all’errata escussione della garanzia, invece, i giudici hanno ritenuto che la ragione vada ricercata nella natura sia dell’interdittiva antimafia, sia della garanzia definitiva.
I giudici hanno evidenziato come l’interdittiva antimafia, costituendo motivo di esclusione dalla procedura ad evidenza pubblica, faccia venir meno la possibilità per il soggetto colpito di essere parte del rapporto con la pubblica amministrazione. L’interdittiva antimafia, infatti, rappresenta un “forma di incapacità ex lege parziale” di carattere temporaneo, che preclude al destinatario di instaurare o mantenere rapporti contrattuali con la Pubblica amministrazione.
La garanzia definitiva disciplinata dall’art. 103 d.lgs. 50/2016 è invece destinata a soddisfare le pretese vantate dalla stazione appaltante per l’inadempimento delle obbligazioni contrattuali dell’aggiudicatario, nei limiti del pregiudizio effettivamente subito. Più precisamente, spiega il Collegio, mentre la garanzia provvisoria di cui all’art. 93 d.lgs. 50/2016 “opera, secondo un modello di responsabilità oggettiva (ma che esplicitamente comprende anche la fattispecie dell’adozione di informazione antimafia interdittiva: art. 93, comma 6), con funzione compensativa dei danni per la mancata stipulazione del contratto, forfettariamente liquidati”, la garanzia definitiva di cui all’art. 103, comma 1, d.lgs. 50/2016 si atteggia come garanzia di adempimento in senso stretto, destinata a soddisfare le pretese, anche risarcitorie, vantate dalla stazione appaltante per l’inadempimento delle obbligazioni contrattuali, nei limiti del pregiudizio effettivamente subito.
L’interdittiva antimafia, dunque, se legittima la risoluzione del contratto giacché viene meno il “rapporto fiduciario” con l’amministrazione, non determina l’automatica escussione anche della garanzia definiva: l’interdittiva antimafia non può configurarsi quale inadempienza contrattuale.
Nel caso di specie, la stazione appaltante non aveva dato conto di pregiudizi economici che avrebbero potuto giustificare l’escussione della garanzia definitiva. In particolare, l’Amministrazione aveva ammesso che la ricorrente aveva fino a quel momento eseguito correttamente i lavori e che, dopo la risoluzione del contratto, era riuscita ad affidare la commessa alle medesime condizioni stabilite inizialmente con la società poi esclusa, senza maggiori costi. Sotto altro aspetto, la stazione appaltante si era limitata a dar seguito all’escussione della cauzione definitiva, che risultava “apoditticamente ed in via automatica basata sulla risoluzione per la sopravvenuta interdittiva prefettizia, in modo da attribuire alla stessa una funzione sanzionatoria che è estranea all’istituto e da configurare quell’indebito arricchimento della stazione appaltante, che è stato censurato dalla ricorrente”.
I giudici hanno così accolto il motivo di ricorso e annullato il provvedimento di escussione della garanzia definitiva disposto dall’amministrazione.