Appalto servizi ristorazione: quando sono ammesse le varianti contrattuali ex art. 106 d.lgs. 50/2016.
Quando è possibile autorizzare le varianti contrattuali?
Questo il quesito sottoposto all’attenzione del Consiglio di Stato che si è espresso sul punto con una recente pronuncia.
Partiamo dai fatti. Successivamente all’aggiudicazione dell’appalto per la somministrazione del servizio di ristorazione, l’amministrazione appaltante e l’aggiudicatario ritenevano necessaria l’esecuzione anticipata del servizio oggetto dell’appalto medesimo. Tale decisione si fondava:
- sulla necessità di salvaguardare i lavoratori interessati dalla clausola sociale, cui doveva essere garantita continuità lavorativa (lavoratori, è bene evidenziarlo, che non ricevevano più alcuno stipendio);
- sulla necessità di procedere ad opere di adeguamento strutturale dei fabbricati entro i quali il servizio oggetto dell’appalto si sarebbe dovuto svolgere (con la connessa determinazione degli investimenti che, a tal scopo, l’aggiudicatario doveva effettuare).
Il servizio transitorio, in particolare, doveva essere erogato derogando sia alle disposizioni contenute nella lex di gara (segnatamente, il capitolato) sia a quanto previsto dall’offerta tecnica, nonché alle medesime condizioni previste dall’offerta economica presentata dall’aggiudicatario.
A seguito della stipula del contratto, l’amministrazione accoglieva la proposta di variante avanzata dall’aggiudicatario finalizzata a consentire l’utilizzo di un centro cottura fino a quel momento destinato al solo confezionamento dei pasti. Detta proposta veniva accolta in quanto non solo consentiva l’integrale assorbimento del personale uscente, ma anche per il fatto che la produzione di pasti nel succitato centro di cottura avrebbe comportato il miglioramento sia del servizio sia del bene pubblico medesimo.
Sennonché, l’impresa seconda classificata – ritenendo illegittimo il descritto operato della stazione appaltante – impugnava i provvedimenti in questione dinanzi al giudice amministrativo. L’impresa ricorrente sosteneva che l’amministrazione, autorizzando la variante, avrebbe di fatto legittimato una inammissibile modifica dell’offerta tecnica ed economica formulata dall’aggiudicatario.
Nel corso del giudizio l’amministrazione ha invece sostenuto che la variante accordata sarebbe stata legittima ex art. 106 del d.lgs. 50/2016 atteso che si sarebbe trattato di prestazioni aggiuntive, relative al ripristino della funzionalità del centro di cottura e che le modifiche sarebbero state richieste ed autorizzate dall’amministrazione in ragione della situazione epidemica emergenziale verificata nel frattempo.
Il TAR di prime cure accoglieva il proposto ricorso, ritenendo in estrema sintesi che “le modifiche apportate avrebbero avuto una valenza sostanziale, non essendo riconducibili al concetto di variante di cui all’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016, e comunque, le ragioni di opportunità dedotte dalla stazione appaltante sarebbero state conosciute prima della stipula del contratto (in particolare, quella relativa all’assorbimento del personale) e, quindi, avrebbero potuto indurre la stazione appaltante a revocare l’aggiudicazione procedendo ad una nuova gara”. In definitiva, secondo il TAR, il servizio “non potrà che essere erogato dalla società aggiudicatrice alle condizioni indicate nell’offerta tecnica ed economica inizialmente presentate”.
A conclusioni di segno diametralmente opposto, invece, sono giunti i giudici del Consiglio di Stato.
Secondo il Collegio, infatti, la fattispecie oggetto di contenzioso è pienamente riconducibile entro l’ambito delle varianti contrattuali di cui all’art. 106, comma 1, lett. c), d.lgs. 50/2016.
La decisione del Collegio muove dalla precisazione per cui sono tre i presupposti perché possa disporsi una variante ex art. 106 d.lgs. 50/2016, ossia:
- la sopravvenienza di circostanze impreviste ed imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice;
- la mancata alterazione della natura generale del contratto;
- l’eventuale aumento (nei limiti del 50%) del valore del contratto iniziale.
A differenza di quanto sostenuto dal TAR, il Consiglio di Stato ha ritenuto che tutte e tre tali presupposti fossero sussistenti nel caso di specie.
Con riferimento al dato economico, sebbene l’importo relativo ai lavori aggiuntivi previsti a seguito della modifica contrattuale sia economicamente rilevante, questo resta ben al di sotto del 50% del valore dell’appalto iniziale indicato.
Il TAR ha poi erroneamente ritenuto la natura sostanziale della variante autorizzata.
La modifica al contratto è infatti possibile purché non sia tale da alterare “la natura generale del contratto”: con tale nozione il legislatore vuole impedire che attraverso il ricorso allo ius variandi si possa addivenire ad una modificazione radicale del contratto, eludendo così la disciplina del codice degli appalti.
L’ammissibilità di varianti al contratto di appalto, prosegue il Collegio, è sancita non solo dal citato art. 106, d.lgs. 50/2016, ma anche dalla normativa sovranazionale: come affermato dallo stesso Collegio in primo grado, è ragionevole ipotizzare che, nel lungo periodo, possono emergere circostanze sopravvenute, non prevedibili al momento dell’indizione della gara, tali da richiedere aggiustamenti in corso di esecuzione, al fine di garantire la miglior soddisfazione dell’interesse pubblico.
Nel caso di specie, secondo i giudici non risulta mutato, con la variante, l’oggetto del contratto: la variazione, infatti, non investe la natura complessiva del contratto, che prevedeva, fin dall’inizio, la prestazione di lavori e di servizi; per effetto dello ius variandi l’oggetto della prestazione non è mutato, ma la variazione si riferisce alle sole modalità di esecuzione del servizio di ristorazione (diverse modalità di preparazione dei pasti, utilizzazione di un punto di cottura differente, modificazione dell’organizzazione relativa ai trasporti dei pasti ai presidi sanitari) che ha richiesto, per la sua attuazione, lo svolgimento di lavori aggiuntivi da quelli che erano stati preventivati in origine, sicuramente più complessi e più onerosi per la stazione appaltante, che hanno comportato, anche, la modificazione dell’assetto organizzativo del servizio che, a sua volta, ha inciso sull’utilizzazione del personale da utilizzare nella sua gestione.
In conclusione, pertanto, è dunque legittimo il provvedimento con cui vengono autorizzate le varianti al contratto di appalto, in quanto non solo non è in alcun modo provata la circostanza secondo cui le prestazioni aggiuntive autorizzate abbiano alterato in maniera considerevole l’equilibrio contrattuale in favore dell’aggiudicatario, ma anche che le proteste del personale rimasto senza stipendio abbiano costituito una circostanza imprevista ed imprevedibile.