Come si computa la superficie di somministrazione?
Con una recente sentenza del TAR, i giudici romani sono stati chiamati a dirimere una questione sul computo della superficie di somministrazione di cibi e bevande. La sentenza n. 17458 del 2023 ci offre la possibilità di porci un quesito nuovo sul tema della somministrazione di cibi e bevande: ai fini della corretta definizione di “superficie di somministrazione” concorre anche una superficie privata esterna annessa ad un esercizio pubblico, o per superficie si deve intende esclusivamente quella interna di “un locale”?
I. Fatto
La ricorrente gestisce un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, che esercita sulla base di una SCIA nella quale la superficie dell’attività di somministrazione dichiarata era pari a 26 mq. Successivamente ha dichiarato un ampliamento della superficie, arrivando complessivamente a 64mq: con questa nuova SCIA, la ricorrente ha quindi deciso di ricomprendervi anche le aree esterne di sua proprietà. Nella medesima data, ha presentato anche una SCIA per una OSP Covid a servizio della propria attività, parametrandone l’ampiezza al 70% della superficie complessiva dell’attività di somministrazione (così come recentemente ampliata).
Dopo circa quattro mesi, Roma Capitale comunica alla ricorrente l’avvio del procedimento di divieto di prosecuzione dell’attività di somministrazione, relativamente alla sola parte ampliata, e dinega la richiesta di concessione OSP Covid poiché, avendo formalmente avviato un procedimento di divieto di prosecuzione della parte ampliata, il computo dell’area oggetto di tale richiesta non era corretto.
Nonostante la ricorrente avesse partecipato ad entrambi i procedimento formulando le dovute osservazioni, Roma Capitale ha comunicato il mancato accoglimento delle osservazioni per entrambi i procedimenti. Il motivo era da riscontrarsi, sostanzialmente, nel fatto che non poteva considerarsi valido l’ampliamento proposto, in quanto vi era ricompreso uno spazio esterno al locale originariamente destinato ad attività di somministrazione.
La ricorrente decide, quindi, di impugnare le due determine.
II. Diritto
Le censure proposte dalla ricorrente si basavano su tre motivi:
1) Violazione delle norme sul procedimento amministrativo, dato che le SCIA presentate si erano consolidate da tempo, cristallizzandosi nei propri effetti, ex art. 19 L. 241/90;
2) Le due SCIA erano corrette “nel merito”, dato che per superficie di somministrazione può intendersi qualsiasi locale o ambito di pertinenza dell’unità principale;
3) Violazione degli artt. 10 e 10bis, dato che l’Amministrazione ha omesso di valutare le osservazioni formulate dalla ricorrente rispetto all’avvio del procedimento.
Parte delle censure mosse dalla ricorrente ipotizzano un vero e proprio parallelismo con i dehors “leggeri” su spazio pubblico, che non necessiterebbero di alcun titolo abilitativo edilizio; in tal senso, appare utile ricordare che L’espressione dehors ricomprende varie configurazioni di spazi esterni ai locali commerciali, delimitati da elementi di arredo urbano, nei quali si svolge il servizio di somministrazione di cibi e bevande; tali spazi delimitati sono dotati di coperture e protezioni laterali di tela o plastica e, dove presente, di pedane di legno appoggiate sul suolo pubblico.
I Giudici hanno ritenuto che il gravame fosse fondato, accogliendo il ricorso. Il collegio ha ritenuto infatti che una:
corretta lettura delle norme in materia di somministrazione di alimenti e bevande non consente di escludere a priori che una superficie privata esterna possa essere qualificata quale “superficie di somministrazione.
Lo stesso art. 74, co. 1, lett. a) del T.U. regionale del Commercio (L.R. Lazio 22/2019), quando si riferisce alla somministrazione di alimenti e bevande, ribadisce in modo chiaro che: “comprende tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio e/o in una superficie aperta al pubblico intesa come adiacente, prospiciente o pertinente al locale, ivi comprese le aree pubbliche”.
Se da un lato ritengono fondate le censure, i Giudici non condividono, però, il parallelismo con i dehors:
le due fattispecie non sono comparabili: nel caso del dehors su suolo pubblico, infatti, l’esercente ottiene, in via meramente temporanea, la disponibilità di un’area già soggetta ad un regime pubblicistico di gestione e di controlli; per contro, la destinazione e l’allestimento di un’area privata ai fini di commercio necessariamente richiede il rispetto di puntuali prescrizioni, che giustifica la necessità della previa comunicazione.
III. Conclusioni
Tirando le fila dei ragionamenti spesi dal TAR, si può concludere affermando che un locale di somministrazione di cibo e bevande, allorquando debba dichiarare la superficie somministrazione, può (anzi deve) computare a tal fine anche le eventuali superfici esterne ai locali, laddove queste siano effettivamente pertinenza dei locali; il tutto, ovviamente, al netto delle prescrizioni sanitarie previste.