Salva Milano: alcuni dubbi sui “confini” della interpretazione autentica dell’art. 3, co. 1, lett. d)
Molto si sta, giustamente, scrivendo e rilevando in merito al c.d. Salva Milano, in corso di approvazione da parte del Parlamento.
In questo breve contributo si intende porre l’attenzione sulla norma di interpretazione autentica di cui al comma 3 dell’art. 1 delle “Disposizioni di interpretazione autentica in materia urbanistica ed edilizia”.
In particolare, intervenendo sulla ormai vexata quaestio del confine, in caso di demoricostruzione, tra nuova ristrutturazione edilizia e nuova costruzione, il legislatore ha previsto (o, meglio, sta per prevedere) che:
A decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, la lettera d) del comma 1 dell’articolo 3 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, fermo restando quanto disposto dal sesto periodo della medesima lettera d), si interpreta nel senso che rientrano tra gli interventi di ristrutturazione edilizia gli interventi di totale o parziale demolizione e ricostruzione che portino alla realizzazione, all’interno del medesimo lotto di intervento, di organismi edilizi che presentino sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche, funzionali e tipologiche anche integralmente differenti da quelli originari, purché rispettino le procedure abilitative e il vincolo volumetrico previsti dalla legislazione regionale o dagli strumenti urbanistici comunali.
In sostanza, tramite la norma di interpretazione autentica – la quale, per essere legittima, deve dirimere un contrasto interpretativo effettivo, senza, invece, introdurre innovazioni retroattive nell’ordinamento – il Legislatore indica che fin dalla data di entrata in vigore del D.L. 69/2013, conv. in L. 98/2013 la demoricostruzione rientra nella ristrutturazione edilizia anche ove ” del tutto infedele”.
Ciò che, ad avviso di chi scrive, non convince del tutto è la “data limite” prescelta, ossia l’entrata in vigore della L. 98/2013.
Infatti, i parametri di discontinuità richiamati nella norma di interpretazione autentica (“organismi edilizi che presentino sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche, funzionali e tipologiche anche integralmente differenti da quelli originari”) sono, testualmente – salvo il riferimento alla funzione – propri delle modifiche apportate all’art. 3, co. 1, lett. d) TUEd ad opera della L. 120/2020.
Un semplice raffronto tra la versione dell’art. 3, co. 1, lett. d) ex L. 98/2013 e la versione ex L. 120/2020 appare ben evidenziare tale profilo.
Legge 98/2013
“(…) Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza (…)”
Legge 120/2020
“Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.
Ad avviso di chi scrive (coerentemente a quanto rilevato in altri contributi sul tema della demoricostruzione) se la natura interpretativa della norma appare difficilmente discutibile con riferimento alle fattispecie post L. 120/2020 (i cui parametri sono, infatti, ripresi testualmente dalla disposizione del Salva Milano), altrettanto non può dirsi con riferimento al regime antecedente ex L. 98/2013.
D’altronde, se è vero che anche la norma del 2013 nulla disponeva in punto di “necessaria continuità” del fabbricato ricostruito rispetto alla preesistenza (in effetti la L. 98/2013 si limitava a prescrivere il mantenimento del volume, tacendo sugli altri parametri) e che, quindi, la regola della discontinuità col preesisente ben poteva desumersi anche alla luce del regime allora introdotto, è altrettanto vero che è stato, espressamente, solo con la L. 120/2020 che il Legislatore ha codificato (ad onta delle letture “negazioniste” della Cassazione penale, di recente seguite anche da talune, poco motivate, sentenze amministrative) la possibilità che il nuovo fabbricato sia differente quanto a sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche.
Detto altrimenti, il Legislatore del Salva Milano finisce, in buona sostanza, per affermare che la L. 120/2020 non ha avuto alcun effetto innovativo rispetto all’assetto normativo introdotto dalla L. 98/2013, avendo avuto portata sostanzialmente “ricognitiva”.
Una tesi, questa, sicuramente sostenibile, ma che, probabilmente, rischia di essere difficilmente condivisibile anche da parte di quella giurisprudenza che – non allineata all’orientamento della Cassazione – aveva avuto modo di riconoscere al Decreto Semplificazioni una portata innovativa e non già solo ricognitiva.