Accreditamento e obbligo di rapporto di lavoro regolato da CCNL: dubbi di costituzionalità
È legittimo obbligare le strutture sanitarie private accreditate ad impiegare per i servizi alla persona personale sanitario che abbia con la struttura un rapporto di lavoro di dipendenza regolato dal Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) sottoscritto dalle associazioni maggiormente rappresentative nel settore sanitario?
Un tale obbligo è attualmente previso da una norma della Regione Lazio (art. 9, Legge di stabilità regionale 28 dicembre 2018, n. 13) con riferimento alla quale il Consiglio di Stato, nell’ambito di un giudizio relativo a una circolare applicativa, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale.
In attesa che si pronunci la Corte costituzionale, risulta particolarmente interessante l’ordinanza di rimessione, che si confronta con la delicata tematica del bilanciamento tra la tutela del lavoro e la tutela dell’iniziativa privata.
Il Consiglio di Stato richiama sul punto la giurisprudenza sulla clausola sociale e l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori da parte dell’impresa aggiudicataria subentrante, oltre che il rapporto fra l’art. 1 Cost. e i vari diritti costituzionali che da esso discendono e l’art. 41 Cost., che stabilisce la libertà dell’iniziativa economica privata, pur condizionandola a che essa non si svolga in contrasto con l’utilità sociale o a danno della sicurezza, della libertà o della dignità umana.
Il Collegio non ritiene, invece, che la questione attenga al profilo della concorrenza tra operatori – e dunque alla competenza legislativa statale in materia di concorrenza – alla luce della natura di mercato ‘regolato’ dell’accreditamento sanitario, in cui l’attività del privato è conseguenza della pianificazione pubblica.
Piuttosto, l’ordinanza considera rilevanti l’art. 3 Cost e i criteri di adeguatezza e di proporzionalità, quali regole generali valide anche per il legislatore e solleva alcuni dubbi circa l’adeguatezza della misura prescelta dal legislatore regionale rispetto allo scopo dichiarato di tutela della salute.
Secondo il Consiglio di Stato, la natura dei contratti stipulati con il personale delle strutture sanitarie non apparirebbe essere in stretta connessione con la finalità di garanzia della qualità del servizio, dovendo piuttosto tale qualità essere garantita mediante un’adeguata regolazione delle modalità del servizio, come ad esempio la continuità del suo svolgimento o la professionalità degli operatori. Sul punto, la Sezione richiama un proprio precedente in materia di clausola sociale, in cui si affermava che “la correlazione tra rapporto subordinato (che, peraltro, potrebbe essere anche a tempo determinato) e qualità della prestazione sociosanitaria è un dato non dimostrato e certamente opinabile” (Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 5049/2020).
Tale ultima considerazione appare controintuitiva a chi scrive, ma nel complesso le questioni sollevate dall’ordinanza sono di sicuro interesse ed anche di indubbia rilevanza pratica per le strutture sanitarie accreditate o che aspirano all’accreditamento nella Regione Lazio.