L’Adunanza Plenaria si pronuncia sulla fiscalizzazione ex art. 38 D.P.R. 380/01: sanabili solo i vizi “procedurali”
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha risolto il contrasto interpretativo relativo alle ipotesi in cui è ammissibile la fiscalizzazione ex art. 38 D.P.R. 380/01.
Tale norma, in particolare, dispone al co. 1 che
In caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa
Si ammette la sanatoria in presenza di due presupposti concernenti l’impossibilità
a) della rimozione dei vizi “delle procedure amministrative“;
b) della restituzione in pristino.
1. Orientamenti giurisprudenziali sulla natura del vizio emendabile
Relativamente al primo presupposto – ossia: la natura dei vizi che “sanabili” tramite fiscalizzazione – la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha, nel tempo, sposato varie soluzioni.
Secondo un primo orientamento, affermatosi nella più recente giurisprudenza, la norma consentirebbe la sanatoria non solo a fronte di vizi formali (“procedurali”, secondo lo stesso art. 38 in esame) ma anche in presenza di vizi sostanziali e, quindi, opererebbe per ogni tipo di abuso.
Si sarebbe, secondo tale prospettiva, di fronte ad una sorta di “condono”, giustificato dalla necessità di offrire la più ampia tutela possibile al soggetto che – in buona fede – dopo aver riposto affidamento nel titolo abilitativo, si veda poi privato dello stesso ex post (ad es. Cons. Stato n. 5089/2019).
La P.A., quindi, deve rimuovere eventuali vizi formali e, ove ciò non sia possibile (in quanto i vizi siano non emendabili o abbiano portata sostanziale), prima di ordinare la rimessione in pristino è tenuta a valutare se la stessa sia “possibile” (e vedremo a breve cosa può, per la giurisprudenza, intendersi per “possibilità di ripristino“).
Un secondo orientamento, invece, ritiene che la sanatoria sia possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali non emendabili: diversamente – in caso di vizi sostanziali – la P.A. dovrebbe sempre disporre la demolizione.
Dunque, l’inciso “qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino” starebbe a significare che si può passare alla seconda verifica (circa l’impossibilità della demolizione) solo allorquando il vizio non rimovibile sia procedurale (ossia: formale e non sostanziale). Laddove, invece, il vizio che inficia il titolo sia sostanziale, non sarebbe possibile svolgere la seconda verifica.
Tale orientamento, oltre ad essere seguito da talune decisioni (ad es. Cons. Stato 1861/2016) si fonda anche sui principi enunciati da Corte cost. 11.6.2010, n. 209, la quale ha chiarito che l’espressione “vizi delle procedure amministrative” “non si presta ad una molteplicità di significati, tale da abbracciare i “vizi sostanziali”, che esprimono invece un concetto ben distinto da quello di vizi procedurali e non in quest’ultimo potenzialmente contenuto, con la conseguenza di escludere la sanatoria nelle ipotesi di violazioni diverse da quelle formali-procedurali”.
Un terzo orientamento, intermedio, infine, teorizza la possibilità di rilasciare la sanatoria ex art. 38 D.P.R. 380/2001 non solo in presenza di vizi formali, ma anche di vizi sostanziali, purché emendabili, ossia con la materiale modifica del progetto prima del rilascio della sanatoria. In altri termini, si sarebbe al cospetto di una sorta di “accertamento di conformità”, ma con prescrizioni atte a ricondurre l’immobile alla necessaria legalità (ad es. Cons. Stato n. 4221/2015)
2. La soluzione della Plenaria.
A fronte di soluzioni così differenti (antitetiche), la IV Sezione del Consiglio di Stato, con l’ord. n. 1735/2020 ha rimesso la questione relativa al primo presupposto (la natura dei vizi “emendabili”) all’Adunanza Plenaria.
La quale, con la decisione n. 17/2020 del 7.9 u.s. è intervenuta aderendo alla lettura più restrittiva, affermando, in particolare, il seguente principio in diritto:
“i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione”.
A tali conclusioni, l’Adunanza Plenaria è pervenuta valorizzando , in primo luogo, argomenti letterali (la disposizione si riferisce a “vizi delle procedure”, il che esclude profili di sostanziale contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia).
In secondo luogo, sono stati esaminati alcuni profili sistematici.
Così, anche sulla scorta delle indicazioni di Corte Cost. 209/2010, la Plenaria ha evidenziato che il legittimo affidamento del titolare del permesso annullato deve essere bilanciato con la regola fondamentale della tendenzialmente necessaria rimozione delle opere in contrasto con la pianificazione urbanistica (da cui la limitazione della sanatoria ai soli vizi “procedurali”) nonché con gli interessi ed il contrapposto legittimo affidamento di chi abbia agito in giudizio per ottenere l’annullamento del titolo abilitativo illegittimo (che sarebbe frustrato da una sanabilità che prescinda dalla natura “formale” o sostanziale del vizio).
D’altra parte, la decisione sottolinea che in caso di non sanabilità ex art. 38, il privato potrà agire (davanti al Giudice ordinario) per l’eventuale risarcimento del danno subito.
3. La questione dell’impossibilità della demolizione.
Come anticipato, la norma individua due presupposti:
(…) qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino (…)
Alla Plenaria, come visto, è stata rimessa l’interpretazione solo del primo profilo.
Resta, tuttavia, sullo sfondo il tema dei rapporti tra i due presupposti dettati dalla norma.
Come già ricordato, inoltre, secondo l’orientamento “restrittivo” – al quale la Plenaria ha aderito in merito alla questione della natura del vizio, solo procedurale, che consente l’applicazione dell’art. 38 – si può passare alla seconda verifica (circa l’impossibilità della demolizione) solo allorquando il vizio non rimovibile sia procedurale (ossia: formale e non sostanziale). Laddove, invece, il vizio che inficia il titolo sia sostanziale, non è possibile svolgere la seconda verifica.
Occorre, al riguardo, una lettura attenta degli ultimi due passaggi della decisione del’Ad. Plenaria.
In particolare, in un primo passaggio delle conclusioni si afferma che in presenza di “vizi del titolo (…) che ne hanno provocato l’annullamento in sede giurisdizionale (…) relativi all’insanabile contrasto del provvedimento autorizzativo con le norme di programmazione e regolamentazione urbanistica” deve essere esclusa”l’applicabilità del regime di fiscalizzazione dell’abuso in ragione delle non rimovibilità del vizio“.
Successivamente, la sentenza aggiunge che, andranno comunque compiuti gli “eventuali altri accertamenti in fatto relativi alla sussistenza dell’altra condizione, pur prevista dall’art. 38, di “impossibilità della riduzione in pristino” “.
Si deve ritenere che la decisione della Plenaria (nel rimettere alla Sezione ordinaria del Cons. Stato la definizione del giudizio) abbia voluto, aderendo all’orientamento restrittivo, voluto prescrivere che solo nel caso (eventuale) in cui il vizio sia qualificato come “procedurale” (e non emendabile) sarà possibile vagliare il secondo presupposto (la “impossibilità della demolizione“).
Ma cosa si deve intendere per tale “impossibilità“?
Tale locuzione, infatti, appare a prima lettura assonante alle ipotesi di indemolibilità di cui agli artt. 33 e 34 del D.P.R. 380/2001: impossibilità “tecnica” e oggettiva, ossia di tipo “strutturale”.
In tal senso milita un primo e più risalente orientamento giurisprudenziale (in tal senso TAR Campania, Napoli, 17938/2010; TAR Emilia-Romagna, Bologna, 34/2016; Cons. Stato 1776/2008).
Più di recente, tuttavia, è emerso un secondo orientamento ad avviso del quale la valutazione circa la impossibilità di ripristino deve essere estesa a profili anche non strettamente tecnici.
Ad esempio per Cons. Stato 5089/2019, essendo l’art. 38, D.P.R. 380/2001 una norma di favore per il privato che ha costruito in base ad un titolo rilasciato dalla P.A., nel valutare la ripristinabilità rileva non solo il caso di mera impossibilità o grave difficoltà tecnica, ma anche quello ove si riconoscano “ragioni di equità o al limite anche di opportunità”. Così anche Cons. Stato 6753/2018, secondo cui occorre valutare l’opportunità di ricorrere alla demolizione e si deve comparare l’interesse pubblico al recupero dello status quo ante con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del privato che aveva confidato incolpevolmente nel provvedimento positivo rilasciatogli.
Pur ritenendo il secondo orientamento non condivisibile (appare francamente arduo svolgere una valutazione di “impossibilità” secondo parametri di “opportunità“) , si può affermare che, una volta circoscritto il primo requisito ex art. 38 all’ipotesi dei soli vizi “procedurali”, appare, in una prospettiva di bilanciamento dei contrapposti interessi, “accettabile” che, in presenza di titolo illegittimo per ragioni formali, la PA possa svolgere valutazioni anche di “opportunità”.
Insomma, la soluzione restrittiva offerta da Ad. Plen. 17/2020, anche se non affronta direttamente il tema (controverso) della “indemolibilità” ex art. 38 ne “sdrammatizza”, indirettamente la rilevanza.