Private enforcement antitrust: quando è possibile chiedere il risarcimento dei danni da illecito antitrust?

antitrust risarcimento danni - legal teamCon una recente sentenza, il Tribunale di Napoli si è pronunciato in merito ad una richiesta di risarcimento del danno derivante da una presunta violazione della normativa antitrust.

Nel caso di specie, la condotta anticoncorrenziale era costituita dal coinvolgimento della Società convenuta in un procedimento avviato dall’AGCM per violazione degli artt. 101 e 102 TFUE e dell’artt. 2 e 3 della L. 287/1990, che aveva posto in luce la sussistenza di due intese restrittive della concorrenza. Più precisamente, secondo l’AGCM, la società convenuta avrebbe preso parte ad una intesa anticoncorrenziale relativa al mercato degli imballaggi in cartone ondulato, consistente nella definizione in comune di prezzi maggiorati.

Secondo la società attrice, che acquistava le materie prime e semilavorati necessari per la propria produzione, l’intesa avrebbe provocando consistenti danni a suo carico. La società attrice, dunque, asseriva di aver patito un danno quantificato in euro 171.924,83.

La Società convenuta evidenziava l’inammissibilità e l’infondatezza della pretesa, finalizzata esclusivamente alla precostituzione di un alibi volto a giustificare le insolvenze di parte attrice: questa, infatti, non avrebbe onorato le scadenze dei pagamenti. Allo stesso tempo, la società dava atto di aver impugnato innanzi al giudice amministrativo il provvedimento sanzionatorio dell’AGCM.

Al fine di risolvere la controversia, il Tribunale di Napoli offre una ricognizione della normativa europea e nazionale in relazione al private enforcement antitrust.

La tutela della concorrenza, infatti, si realizza tramite un doppio sistema: uno di public enforcement, ed uno di private enforcement.

Il primo svolge una funzione propriamente punitiva ed è rimesso al controllo e alle decisioni delle AGCM. Le decisioni dell’Autorità incidono in maniera considerevole sul potere del giudice, teso a verificare se il comportamento anticoncorrenziale abbia o meno violato il diritto del consumatore.

Il secondo, invece, prevede la possibilità di ricorrere in giudizio al fine di ottenere un risarcimento del danno causato dalla lesione del diritto della concorrenza su iniziativa dei privati.

Nell’ottica del legislatore comunitario, spiega il Tribunale, “la repressione pubblicistica (fondata anche sulle decisioni della Commissione Europea) debba avere comunque la priorità sul private enforcement, il quale però anche se soltanto in chiave complementare deve approntare quei rimedi civilistici che servono a rafforzare il sistema, sanzionando ogni comportamento idoneo a restringere o falsare il gioco della concorrenza.”

Il sistema di private enforcement trova la propria fonte nella disciplina europea, la Direttiva 2014/104/UE, e nella relativa legge interna di recepimento, d.lgs. 3/2017: le due fonti normative individuano una disciplina essenzialmente unitaria.

Le azioni in cui si concretizza tale tutela sono distinte in due gruppi: le c.d. azioni stand-alone e le c.d. azioni follow-on, che si distinguono a seconda che l’azione venga promossa previo accertamento della violazione da parte di un’autorità garante della concorrenza o meno.

Nei casi di private enforcement, spiega il Tribunale, le difficoltà maggiori risiedono nella disponibilità delle prove idonee a fondare una domanda di risarcimento del danno, atteso che spesso le prove sono detenute dalla controparte o da terzi e non sono accessibili, riguardando spesso documenti aziendali, anche sottoposti a segreto.

Si tratta di una vera e propria asimmetria informativa, continua il Tribunale, che rende arduo per la controparte danneggiata fornire la prova del danno e allo stesso tempo determinare il quantum del pregiudizio sofferto.

A tal fine, sulla scorta di quanto previsto a livello europeo, il d.lgs. 3/2017 sostiene che nel caso di cartelli, l’esistenza del danno si presume, rendendo in ogni caso salva la prova contraria.

Allo stesso tempo, l’art. 7 del d.lgs. 3/2017, prevede che: “Ai fini dell’azione per il risarcimento del danno si ritiene definitivamente accertata, nei confronti dell’autore, la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell’autorità garante della concorrenza e del mercato di cui all’articolo 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso, o da una sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato”.

Le decisioni dell’AGCM, dunque, assumerebbero valore di “prova privilegiata”, che consente al convenuto di fornire una prova contraria, impedendo allo stesso tempo che vengano messi in discussione i fatti costitutivi posti alla base della decisione dell’AGCM.

In altre parole, chiariscono i giudici, “l’effetto dell’accertamento definitivo da parte dell’autorità antitrust o dal giudice del ricorso in caso di impugnazione è vincolante nei confronti dell’autore della violazione che ha partecipato o poteva partecipare al procedimento davanti all’autorità stessa. Non vi sono margini, quindi, per fornire prova contraria della natura della violazione e della sua “portata materiale, personale, temporale e territoriale”.”.

Nel caso di specie, dunque, trattandosi di un’azione follow-on, sussistendo un provvedimento dell’AGCM, il giudice è tenuto ad analizzare la richiesta di risarcimento del danno sulla base di quanto contenuto nel provvedimento sanzionatorio dell’AGCM.

Il provvedimento dell’AGCM in questione aveva tuttavia accertato la partecipazione della società convenuta solo ad una intesa anticoncorrenziale e non ad entrambe quelle segnalate dalla società attrice.

Pertanto in relazione alla domanda di risarcimento del danno relativa all’intesa alla quale non aveva partecipato la società convenuta, l’azione si qualifica come stand-alone e, dunque, priva di prova; in relazione invece all’intesa a cui ha partecipato la società convenuta, la società non aveva provato il danno concretamente derivante dall’intesa. La società attrice, dunque, non aveva provato che il sovrapprezzo lamentato era riconducibile all’intesa anticoncorrenziale.

Il Tribunale ha così rigettato la richiesta di risarcimento del danno avanzata dalla società attrice.

Tribunale Napoli, Sez. III, 30.8.2023, n. 8138