Gli appalti di servizi sociali nel decreto “Cura Italia”
Gli appalti di servizi sociali attualmente in corso sono colpiti da alcune delle misure d’urgenza previste dal decreto-legge “Cura Italia” (n. 18/2020) in relazione all’emergenza epidemiologica da Covid-19.
In particolare, l’art. 47 prevede che l’attività dei centri semiresidenziali per le persone con disabilità sia sospesa fino al 3 aprile 2020. Con specifico riferimento ai centri diurni socio-sanitari e sanitari, è consentito all’Azienda sanitaria locale di attivare, d’accordo con gli enti gestori dei centri, interventi non differibili in favore delle persone con disabilità ad alta necessità di sostegno sanitario, ma solo se la tipologia delle prestazioni e l’organizzazione delle strutture consenta il rispetto delle misure di contenimento previste.
Il successivo art. 48, rubricato in modo forse fuorviante “Prestazioni individuali domiciliari”, prevede l’erogazione di prestazioni sostitutive durante la sospensione dei servizi educativi e scolastici per i bambini da 0 a 6 anni e delle attività sociosanitarie e socioassistenziali nei centri diurni per anziani e per persone con disabilità, laddove disposta con ordinanze regionali o altri provvedimenti. Fra questi “altri provvedimenti”, pur in assenza di un adeguato coordinamento fra le due disposizioni, rientra evidentemente anche quella disposta dal precedente art. 47.
Ai sensi del primo comma dell’articolo in esame, durante la sospensione di tali attività, le pubbliche amministrazioni “forniscono” prestazioni:
- in forme individuali domiciliari;
- a distanza;
- negli stessi luoghi dove si svolgono normalmente i servizi, ma senza ricreare aggregazione e nel rispetto delle direttive sanitarie.
Tali prestazioni sostitutive devono essere rese avvalendosi del personale già impiegato nei servizi, dipendente da soggetti privati che operano in convenzione, concessione o appalto.
Il tenore letterale della norma non sembra lasciare alle amministrazioni un margine di scelta circa se fornire o meno le prestazioni sostitutive (“forniscono”), ma con riferimento alle modalità viene previsto che i servizi si possano svolgere secondo priorità individuate dall’amministrazione competente, tramite coprogettazioni con gli enti gestori, anche in deroga a eventuali clausole contrattuali, ma sempre e comunque adottando specifici protocolli che definiscano tutte le misure necessarie per assicurare la massima tutela della salute di operatori ed utenti. Colpisce nel contesto in questione l’utilizzo del termine “coprogettazioni”, da intendersi presumibilmente in senso lato e non con riferimento all’istituto di cui all’art. 55 del Codice del Terzo settore.
Il secondo comma dell’art. 48 contiene una norma di particolare rilievo per le cooperative sociali e per gli altri operatori del settore, ma che purtroppo soffre di una formulazione non del tutto chiara. Si prevede, infatti, che, durante la sospensione dei servizi educativi, scolastici, sociosanitari e socioassistenziali di cui al comma precedente, le pubbliche amministrazioni siano autorizzate al pagamento dei gestori privati di tali servizi “per il periodo della sospensione, sulla base di quanto iscritto nel bilancio preventivo”. Non risulta del tutto chiaro se tale pagamento riguardi solo i servizi ‘riconvertiti’ ai sensi del primo comma oppure tutti i servizi, e ciò forse deriva proprio dalla convinzione del Governo che – come prescritto del resto dal primo comma – tutti i servizi, in un modo o nell’altro, debbano necessariamente essere resi in una delle tre modalità sostitutive sopra indicate, sebbene in concreto sia tutt’altro che pacifico che questo possa sempre effettivamente avvenire, per varie ragioni fra cui la difficoltà del garantire la tutela della salute dei lavoratori coinvolti e la complessità stessa di configurare le prestazioni nelle modalità previste (ad esempio con riferimento agli asili nido).
Il passaggio successivo sembra confermare tale lettura, disciplinando le modalità di pagamento ai gestori delle prestazioni convertite in altra forma. Il meccanismo è complesso, e andrà esaminata senz’altro la prassi delle amministrazioni coinvolte. Si fa comunque riferimento a un “previo accordo tra le parti” secondo le modalità indicate al primo comma. Si prevede poi la retribuzione con quota parte dell’importo dovuto per l’erogazione del servizio prima della sospensione e subordinatamente alla verifica dell’effettivo svolgimento del servizio, cui si sommerà un’ulteriore quota volta a compensare il mantenimento delle strutture attualmente interdette per consentire l’immediata ripresa delle attività al termine della sospensione. I pagamenti comportano la cessazione di eventuali trattamenti del fondo di integrazione salariale e di cassa integrazione in deroga riconosciuti per la sospensione dei servizi.
La disciplina in questione, nonostante sia stata adottata per far fronte a una situazione di emergenza, risulta a ben vedere abbastanza complessa e necessiterà di particolare attenzione nella ponderazione di tutti gli interessi coinvolti da parte delle amministrazioni che si troveranno ad applicarla.