Appalti pubblici: l’appaltatore non paga i prodotti perché ritenuti difettosi, il sub fornitore propone accesso a documenti e riserve per dimostrare che alla consegna i prodotti erano funzionanti e lo ottiene.
L’appaltatore non paga i prodotti perché ritenuti difettosi, il sub fornitore propone accesso alla committente per visionare atti dell’esecuzione, tra questi anche le riserve apposte in contabilità dall’appaltatore.
Nei fatti, nell’appalto per la realizzazione dell’acquedotto, l’appaltatore utilizzava nell’esecuzione anche prodotti forniti da altra società (che chiameremo sub fornitore) e tuttavia non provvedeva al pagamento delle forniture.
Il sub fornitore, a fronte del mancato pagamento di fatture emesse nel corso dei relativi rapporti commerciali, chiedeva e otteneva dal Tribunale l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti dell’appaltatore. Quest’ultimo proponeva opposizione chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo e, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’inadempimento del sub fornitore, lamentando alcuni vizi delle apparecchiature da esso fornite e, di conseguenza, domandandone la condanna al risarcimento del danno.
Nella pendenza del giudizio civile, il sub fornitore chiedeva alla committente l’accesso ad alcuni documenti della fase di gara e della successiva fase di esecuzione dell’appalto.
La committente acconsentiva ad un accesso parziale alla documentazione richiesta.
Il sub fornitore ricorre così al TAR impugnando le note con cui la committente aveva espresso un diniego sulle sue richieste di accesso.
In particolare l’amministrazione, da un lato, aveva accolto l’accesso con riferimento, ad esempio, ai certificati/verbali di collaudo parziali.
Dall’altro lato, aveva invece negato l’accesso: 1) a talune riserve formulate dall’impresa appaltatrice; 2) a taluni stati di avanzamento dei lavori – SAL; 3) alla copia del bonifico effettuato a fronte di taluni stato avanzamento lavori – SAL; 4) alla copia dello stato finale dell’opera.
Nelle more del giudizio al TAR, il Tribunale ordinario con sentenza ha accolto l’opposizione e la domanda riconvenzionale spiegate dall’appaltatore AFMC, accertando l’esistenza di alcuni difetti nei prodotti forniti all’impresa appaltatrice.
Il TAR accoglie il ricorso.
L’interesse fatto valere dalla richiedente (sub fornitore) è quello di acquisire gli elementi conoscitivi essenziali, anche sul piano tecnico, per valutare le eventuali attività difensive e giudiziarie da intraprendere a tutela dei propri diritti patrimoniali, attivati con il ricorso per decreto ingiuntivo e sviluppatisi nel successivo giudizio d’opposizione (con la domanda formulata, in via riconvenzionale, dall’appaltatore).
La tesi difensiva sostenuta dal sub fornitore nel giudizio civile è volta difatti a dimostrare che le apparecchiature fornite erano correttamente funzionanti (al momento della consegna), e si sono successivamente danneggiate per eventi estranei e per i numerosi errori posti in essere dall’appaltatore.
Da qui sorge l’interesse – e dunque la legittimazione – del sub fornitore a ottenere la documentazione richiesta (verbali consegna, stati di avanzamento lavori, riserve, ecc.), dalla quale eventualmente dimostrare che le valvole erano già state installate, consegnate e collaudate, e che nessun rilievo era stato effettuato dall’appaltatore in relazione alla fornitura. Dall’esame della documentazione potrebbe ricostruirsi anche l’andamento complessivo dell’appalto, con gli eventuali accadimenti che possano aver inciso sul funzionamento delle apparecchiature stesse.
Ad avviso del Collegio, si tratta di richieste che vanno qualificate come istanze di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, in quanto dichiaratamente dirette <<alla tutela della propria posizione giuridica>>, con la conseguenza che si esula da ogni altra fattispecie di accesso documentale amministrativo (quali l’accesso procedimentale o l’accesso civico).
Viene anche osservato che il sub fornitore– pur dinanzi all’esito per sè infausto del giudizio innanzi al Tribunale ordinario – conserva un interesse concreto e attuale all’accesso, per l’eventuale predisposizione dell’atto di gravame avverso la sentenza a sé sfavorevole del Tribunale.
La conoscenza dei documenti in questione potrebbe consentirle, più ampiamente, di approntare con maggior efficacia le necessarie strategie difensive nel giudizio d’appello, nell’ambito del quale è ammessa la produzione di documenti nel caso in cui la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c. (Cass., SSUU, 4 maggio 2017, n. 10790).
Quanto all’accesso alle riserve, la committente lo ha negato sostenendo tra l’altro che le riserve non sarebbero un atto amministrativo né entrerebbero a far parte del procedimento amministrativo, consistendo in atti privati che in alcun modo possono impegnare l’amministrazione e che non sussisterebbe alcun interesse del sub fornitore alla conoscenza di mere pretese economiche dell’appaltatrice.
Il TAR non condivide.
La natura del documento detenuto dall’amministrazione, come pure la circostanza che lo stesso afferisca alla fase di esecuzione del contratto d’appalto (a valle della procedura ad evidenza pubblica), non integrano ragioni idonee a fondare un diniego d’accesso: anche nella fase di esecuzione del contratto persiste, infatti, una rilevanza pubblicistica dovuta alla compresenza di fondamentali interessi pubblici, ivi compreso il principio di trasparenza che informa tutta l’attività della P.A., anche quella di natura privatistica.
Del resto, è stato più volte affermato che <<l’amministrazione non può […] negare l’accesso agli atti riguardanti la sua attività di diritto privato solo in ragione della loro natura privatistica>> (Cons. Stato, Ad. Plen., 22 aprile 1999, n. 5), essendo ormai pacifico che l’istituto dell’accesso trovi applicazione anche in relazione ad atti concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.
Per altro verso, e più nello specifico, la giurisprudenza amministrativa ha già chiarito che non v’è ragione di precludere l’accessibilità al testo delle riserve apposte dall’impresa appaltatrice sugli atti dell’appalto, e alle relative controdeduzioni del direttore dei lavori, atteso che le riserve non sono atti assimilabili a valutazioni defensionali, integrando esse piuttosto un dato storico che fotografa il contrasto tra le parti intercorso nella fase di esecuzione dell’appalto.
Ciò che rileva è il contenuto della riserva stessa, in particolare, il punto se siano stati indicati eventuali vizi e difformità delle apparecchiature oggetto di fornitura oppure eventi di forza maggiore che potrebbero aver ritardato l’esecuzione dei lavori e danneggiato le apparecchiature.
Il ricorso è fondato, anche in relazione alla richiesta di accesso alla copia del bonifico effettuato a fronte di taluni SAL, atteso che dalle voci liquidate nel bonifico si potrebbe evincere se la stazione appaltante/committente abbia eseguito dei pagamenti richiesti dall’appaltatore per i danneggiamenti subiti dalle valvole oggetto di fornitura.