Co-progettazione e gratuità: un nodo scomodo da sciogliere
La co-progettazione, insieme agli altri istituti collaborativi tra enti del Terzo settore e pubbliche amministrazioni, è stata negli ultimi anni al centro di un acceso dibattito e di una repentina evoluzione di norme e prassi.
Infatti, a una fase in cui tali istituti erano stati guardati con sospetto, quando nel 2018 un parere del Consiglio di Stato aveva ritenuto dovesse prevalere sempre la disciplina sugli appalti pubblici, in tempi più recenti l’autonomia della disciplina del Codice del Terzo settore si è indubbiamente progressivamente rafforzata, grazie alla nota sentenza della Corte costituzionale n. 131/2020 che, in un lungo inciso, valorizza lo spirito collaborativo che caratterizza tali istituti, all’inserimento da parte della legge di conversione del decreto Semplificazioni (l. 11/09/2020, n. 120) di alcuni riferimenti al Titolo VII del Codice del Terzo settore nel corpo del Codice dei contratti pubblici e, da ultimo, alle nuove Linee guida adottate di recente dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Ciononostante, abbiamo già avuto modo di notare che il giudice amministrativo non sembra sempre prendere in considerazione tale evoluzione (anche normativa) e continua a richiamare il parere del Consiglio di Stato n. 2052/2018 che aveva affermato che l’affidamento dei servizi sociali deve in ogni caso rispettare la normativa pro-concorrenziale di origine europea, rappresentando sempre e comunque un “appalto”, e della cui attualità, soprattutto dopo le modifiche del decreto Semplificazioni, c’è perlomeno da dubitare.
Di recente, anche il Consiglio di Stato ha adottato una decisione che non considera in alcun modo gli sviluppi degli ultimi anni. Nel caso di un affidamento del servizio di gestione di una spiaggia attrezzata comunale destinata a persone con disabilità, ha ritenuto centrale la tematica della gratuità o meno del servizio oggetto dell’affidamento, muovendo proprio dal parere Commissione speciale del Consiglio di Stato n. 2052/ 2018.
La sentenza sul punto richiama proprio il passaggio sui rapporti tra Codice dei contratti pubblici e Codice del Terzo settore (oggi disciplinati da diversi articoli del primo Codice), per cui l’affidamento dei servizi sociali rappresenta sempre e comunque un appalto.
Viene poi richiamato il passaggio del parere in cui si ritiene che l’affidamento di servizi sociali sfuggirebbe al diritto europeo solo ove sia “a titolo integralmente gratuito” (come nel parere, manca sempre una qualsivoglia considerazione della soglia di rilevanza comunitaria, come è noto molto elevata per i servizi sociali).
Il Consiglio di Stato ritiene che, in tale frangente, il concetto di gratuità si identificherebbe nella non economicità del servizio che, come dice il parere, dovrebbe essere gestito “necessariamente in perdita” per il prestatore, ammettendosi unicamente il rimborso delle spese vive e correnti.
Nel caso di specie, tale gratuità non sussisteva in quanto l’affidatario avrebbe percepito i ricavi del servizio di ristorazione e gli introiti degli ingressi a pagamento, in quanto solo quelli per le persone con disabilità e i loro accompagnatori erano a titolo gratuito.
Si tratta di una motivazione decisamente spiazzante, non solo perché insiste nelle criticità del parere del 2018 e, in particolare, nel non considerare il riconoscimento da parte delle stesse direttive UE della peculiarità dei servizi sociali oltre che la differenza tra affidamenti sopra e sotto soglia e nell’adottare una definizione di gratuità in contrasto con la giurisprudenza della CGUE, per cui la corresponsione del mero rimborso delle spese non è sufficiente a escludere un contratto dalla disciplina degli appalti pubblici (sentenza 11 dicembre 2017, C-113/13, c.d. Spezzino).
Inoltre, se pure è vero che la procedura in questione risaliva al 2019, il Consiglio di Stato non considera affatto l’evoluzione successiva al parere del 2018. Ad esempio, le richiamate Linee guida ministeriali hanno posto l’accento non sulla nozione di gratuità, ma su quella della compartecipazione alle spese da parte dell’ETS.
Del resto, in concreto, come si può mai pensare che un soggetto, per quanto privo di scopo di lucro come un ETS, accetti di non solo gestire, ma anche progettare, un servizio addirittura “in perdita”?
Questo aspetto, come si è già sottolineato, risulta poco chiaro anche nelle stesse Linee guida, ma ancor di più lo è nell’impostazione del Consiglio di Stato.
È invece indispensabile iniziare a ragionare anche in termini di tutelare gli enti partecipanti nell’ambito di queste procedure o queste non risulteranno mai attrattive ed efficaci.
In tal senso, tenere a mente che per la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE la circostanza che sia previsto quale corrispettivo il mero rimborso delle spese non è dirimente, dovrebbe aiutare a impostare il dibattito su cosa davvero qualifica questi istituti (a partire dalla finalità civiche, solidaristiche o di utilità sociale degli enti e dall’interesse generale dell’attività).
Ciò nella speranza che, una volta superata definitivamente la questione circa la legittimità dell’utilizzo della co-progettazione, si possa ragionare finalmente della sua concreta disciplina, anche dal punto di vista degli enti che vi prendano parte.