Come previsto … ecco il “taglio” alle oblazioni per l’accertamento di conformità nel Lazio.

Come previsto in un nostro precedente articolo del 10 gennaio 2019 , a commento della sentenza della Corte Costituzionale n. 2/2019 (che aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 22, co. 2, lett. a), L.R. Lazio 15/2008), la Regione Lazio è dovuta intervenire a rivedere per intero il regime delle oblazioni per l’accertamento di conformità nel Lazio.

Avevamo infatti scritto, all’indomani della sent. 2/2019 della Consulta:

… la sentenza della Corte apre – evidentemente – alla messa in discussione della legittimità e ragionevolezza anche del co. 2, lett. b), relativo alla sanatoria di  “interventi di ristrutturazione edilizia e cambi di destinazione d’uso in assenza di titolo abilitativo, in totale difformità o con variazioni essenziali” e di “Interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia eseguiti in parziale difformità dal titolo abilitativo“, subordinata ad una oblazione pari ad un “importo pari al doppio dell’incremento del valore di mercato dell’immobile conseguente alla esecuzione delle opere (…); qualora, in relazione alla tipologia di abuso accertato, non sia possibile determinare l’incremento del valore di mercato, si applica una sanzione pecuniaria pari al triplo del costo di costruzione”.

Infatti, la “eliminazione” del co. 2, lett. a), determina – a questo punto – l’assurdo per cui gli interventi di ristrutturazione edilizia e di m.d.u. in assenza di titolo/in totale difformità/con variazioni essenziali sono trattati – ai fini del “costo della sanatoria” – in maniera più severa dei (più gravi, evidentemente) interventi di “interventi di nuova costruzione eseguiti in assenza di titolo abilitativo, in totale difformità o con variazioni essenziali“.

Se non ci penserà la Regione – molto rapidamente – la questione tornerà sicuramente alla Corte Costituzionale.

“Puntuale”, ecco l’intervento del Legislatore Regionale che ha riscritto per intero il co. 2 dell’art. 22, superando un regime sanzionatorio che – come indicato dalla Corte Costituzionale con riferimento al co. 2, lett. a) – era evidentemente irragionevole e sproporzionato e che rendeva la sanatoria, anche di piccole difformità, un’operazione esageratamente costosa.

La riscrittura del co. 2 dell’art. 22 deriva, in particolare, dalla L.R. 1/2020 (“Misure per lo sviluppo economico, l’attrattività degli investimenti e la semplificazione“), il cui art. 2, nel modificare alcune disposizioni relative alla vigilanza e alle sanzioni edilizie, così dispone in merito all’art. 22 L.R. 15/2008:

1) dopo la lettera a) è inserita la seguente:
“a bis) nei casi previsti dall’articolo 15, di un importo pari a tre volte il contributo di costruzione;”;
2) la lettera b) è sostituita dalla seguente:
“b) nei casi previsti dagli articoli 16 e 18, di un importo pari a due volte il contributo di costruzione;”;

Finalmente – è proprio il caso di dirlo – si registra il passaggio dallo sproporzionato parametro del costo di costruzione/incremento del valore di mercato a quello del contributo di costruzione, così superando una impostazione della L.R. Lazio n. 15/2008 che aveva reso, fino ad oggi, gli accertamenti di conformità spesso “impraticabili”.

Viene da sé che ogni provvedimento e ogni regolamento comunale (anche la “Delibera 44” di Roma Capitale) che commini oblazioni non allineate al nuovo testo normativo (entrato in vigore il 27.2 con la pubblicazione sul BUR) non allineato ai nuovi parametri (ma la lettera a era già stata decapitata dalla Corte Costituzionale con la sent. 2/2019) è da considerarsi illegittimo. Peraltro, fermi ovviamente i ragionamenti da svolgersi caso per caso, è da ritenere, in linea di principio, che i procedimenti di accertamento di conformità in itinere relativi al co. 2 lett. b) dovranno concludersi con la applicazione del nuovo regime sanzionatorio.