Commento all’art. 98 del Codice del Terzo settore
Il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (CTS) nasce con l’intento di creare un corpus normativo unico relativo al Terzo settore, come emerge dalla scelta della denominazione di Codice e dall’abrogazione di molte le diverse discipline settoriali previgenti, sebbene non di tutte. L’articolo in commento non risulta del tutto coerente con tale impostazione. L’art. 98, infatti, collocato fra le disposizioni poste a chiusura del CTS e rubricato “Modifiche al codice civile”, inserisce nel titolo dedicato alle persone giuridiche del libro I del codice civile un nuovo art. 42-bis, relativo alle reciproche trasformazioni, fusioni e scissioni fra associazioni e fondazioni.
In realtà, la legge delega – nell’ottica, appunto, di una sistemazione complessiva della materia – prevedeva la revisione integrale della disciplina dettata dal codice civile in materia di associazioni, fondazioni e “altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro” (art. 1, co. 2, lett. a, l. 6 giugno 2016, n. 106). All’interno di tale revisione era altresì prevista, fra i vari profili, la disciplina dei procedimenti per la trasformazione e la fusione tra associazioni e fondazioni.
La più ampia delega relativa alla riforma del codice civile non è stata esercitata, con l’unica eccezione della norma in esame, che è stata inserita nel CTS, sebbene questo sia stato emanato ai sensi della lett. b), e non della lett. a) del richiamato art. 1, co. 2, della legge delega. Il Consiglio di Stato, nel parere reso sullo schema di decreto legislativo, rilevando la mancata attuazione della delega per la revisione del codice civile, ha auspicato per il futuro un intervento più organico sul punto[1].
Il nuovo art. 42-bis c.c. prevede, al co. 1, la possibilità per le associazioni (riconosciute e non) e per le fondazioni di operare reciproche trasformazioni, fusioni e scissioni, purché ciò non sia escluso dai rispettivi atti costitutivi e statuti. Ai commi successivi, inoltre, è stabilito che, in massima parte, dev’essere osservata la disciplina dettata dallo stesso codice civile per la trasformazione, la fusione e la scissione delle società, in quanto compatibile.
Tale disposizione, a ben vedere, interviene a cristallizzare una prassi piuttosto diffusa tra gli uffici amministrativi coinvolti nelle suddette operazioni[2], anche se non espressamente disciplinata. Prima della riforma del diritto societario (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) era opinione diffusa che i fenomeni della trasformazione, della fusione e della scissione fossero tipicamente endosocietari e, dunque, che non potessero valere anche per altre tipologie di enti[3]. La riforma del 2003, introducendo a livello codicistico una disciplina delle trasformazioni eterogenee (fra società di capitali e altri tipi di enti, ivi incluse associazioni e fondazioni[4]), ha definitivamente superato tale posizione. Non a caso, infatti, la legge delega prevedeva che l’adozione della disciplina in questione avvenisse “nel rispetto del principio generale della trasformabilità tra enti collettivi diversi, introdotto dalla riforma del diritto societario” (art. 3, co. 1, lett. e). Tuttavia, le operazioni c.d. omogenee (riguardanti enti della stessa natura) realizzate da associazioni e fondazioni non erano state sinora disciplinate.
La giurisprudenza ordinaria non sembrava dubitare della possibilità per le associazioni e le fondazioni di compiere tali operazioni, sebbene con l’osservanza di alcune cautele e malgrado il silenzio sul punto del codice civile[5]. La giurisprudenza amministrativa, invece, è pervenuta ad esiti altalenanti, talora ammettendo esplicitamente la possibilità per associazioni e fondazioni di operare trasformazioni reciproche[6], talaltra escludendola sulla base di un’asserita tassatività delle disposizioni codicistiche di riferimento[7].
Il nuovo art. 42-bis si raccorda con la complessiva riforma del Terzo settore al co. 4, ai sensi del quale “gli atti relativi alle trasformazioni, alle fusioni e alle scissioni per i quali il libro V prevede l’iscrizione nel Registro delle imprese sono iscritti nel Registro delle Persone Giuridiche ovvero, nel caso di enti del Terzo settore, nel Registro unico nazionale del Terzo settore”. La disciplina delle operazioni in questione, collocata nel codice civile, si applica tanto agli enti che abbiano assunto la qualifica di ETS, quanto a quelli siano rimasti fuori dal perimetro del CTS, ma quest’ultima circostanza rileva con riferimento alle modalità prescritte per la pubblicità degli atti, che solo per gli ETS è assicurata dall’iscrizione nel RUNTS[8].
[1] Consiglio di Stato, comm. spec., parere 14 giugno 2017, n. 1405.
[2] La Regione Lombardia aveva addirittura approvato delle linee guida per la trasformazione diretta da associazione in fondazione (d.G.R. 22 gennaio 2016, n. 10-4725).
[3] Cfr. F. Magliulo, Trasformazione, fusione e scissione degli enti non profit dopo la riforma del Terzo settore, in Rivista del Notariato, 1-2018, p. 32.
[4] Artt. 2500-septies e 2500-octies c.c.
[5] Si veda da ultimo Cass. Civ., Sez. Lav., n. 19114/2014, che ha ribadito che “i comitati non riconosciuti, come le associazioni non riconosciute, […], sono autonomi centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive, […]; pertanto, l’incorporazione di un comitato non riconosciuto in un comitato riconosciuto non crea una situazione di liquidazione del primo, ma una ipotesi di successione a questi del nuovo comitato”, con ciò ammettendo che fra tali enti potessero verificarsi fenomeni di fusione per incorporazione, con le conseguenze previste per le società.
[6] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5226, in cui si afferma, in relazione alla trasformazione di un’associazione in fondazione, che “dopo le modifiche introdotte al codice civile dalla riforma del diritto societario (…), la trasformazione di enti collettivi è un istituto di carattere generale. Essa è infatti non solo analiticamente disciplinata per i casi di trasformazione da ed in società (…), ma anche presupposta per gli enti privi di finalità lucrative”. Nello stesso senso, TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 14 febbraio 2013, n. 445.
[7] In tal senso, Consiglio di Stato, Sez. I, parere 30 gennaio 2015, n. 296, secondo cui il Legislatore “ha disciplinato talune ipotesi particolari, racchiuse nell’ambito societario, in cui cioè la società è l’ente originario o l’ente originato dall’operazione di trasformazione”, che “rappresentano una deroga, dettando una normativa di favore per la trasformazione diretta, che non può applicarsi alle ipotesi non espressamente contemplate”. Nello stesso senso, TAR Piemonte, Sez. I, 29 giugno 2012, n. 781.
[8] Il che conferma la non totale sovrapponibilità delle categorie degli enti del codice civile con quelle del CTS, cfr. A. Fusaro, Trasformazione, fusione, scissione degli enti del libro primo e degli ets, in Rivista del Notariato, 1-2018, p. 25.