Concessioni balneari: il campo di applicazione della proroga disposta dalla l. 145/2018 secondo le sezioni unite della Corte di Cassazione

Le sezioni unite della Corte di Cassazione tornano sul tema del campo di applicazione della proroga disposta dalla l. 145/2018 delle concessioni demaniali marittime, le c.d. concessioni balneari.

La questione giuridica sottoposta all’attenzione della Corte è essenzialmente la seguente: a quali concessioni si applica la proroga disposta dall’art. 1, commi 682 e 683, l. 145/2018?

Nel caso di specie sono fondamentali i fatti e gli atti intercorsi.

Nel 2007 la ricorrente aveva ottenuto in concessione un’area destinata a parcheggio, spiaggia attrezzata e con realizzazione di un chiosco, sulla quale era stata avviata un’attività stagionale di stabilimento balneare.

Negli anni successivi, la ricorrente aveva ottenuto il rinnovo annuale della concessione fino al 2014, anno in cui la Regione aveva limitato il rinnovo, in quanto era emersa l’esigenza di procedere all’individuazione del concessionario con procedure comparative.

La determina era stata impugnata dalla ricorrente innanzi al TAR Puglia, sede di Lecce. In quella sede, la ricorrente aveva altresì chiesto il riconoscimento della proroga fino al 31 dicembre 2020 in forza dell’art. 1, comma 18, d.l. 194/2009, come modificato dall’art. 34 duodecies, d.l. n. 179/2012.

Il giudizio, sospeso dal TAR in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia sulle norme citate, si estingueva per mancata riassunzione.

Nel 2019 la ricorrente chiedeva al comune il rilascio di un provvedimento di proroga della concessione per ulteriori 15 anni ai sensi dell’art. 1, commi 675- 682 della L. 145/2018.

Tale richiesta veniva negata dall’amministrazione comunale per carenza dei presupposti oggettivi e formali: secondo il comune, la concessione di cui era titolare la ricorrente non era riconducibile a quella demaniale marittima oggetto di proroga.

Il diniego veniva così impugnato innanzi al TAR Puglia, sede di Lecce il quale, tuttavia, confermava l’operato dell’Amministrazione.

Secondo i giudici, infatti, essendosi estinto il precedente giudizio avverso il provvedimento di rinnovo della concessione, “la proroga prevista dal d.l. n. 194/2009 non era mai stata applicata per l’efficace apposizione di un termine annuale ai rinnovi concessi, riconosciuti solo per motivi di opportunità, neppure potendosi qualificare l’assegnazione dell’area in termini di concessione demaniale marittima, da cui l’inapplicabilità di quanto stabilito dalla legge n. 145/2018”.

La decisione veniva confermata dal Consiglio di Stato che, pur ritenendo che il provvedimento concessorio avesse ad oggetto un bene demaniale marittimo, escludeva la sussistenza dei requisiti oggettivi per il riconoscimento della proroga prevista dall’art. 1, commi 682 e 683, della l. 145/2018.

Secondo il Consiglio di Stato, dunque, tutti i provvedimenti concessori di cui aveva beneficiato la ricorrente avevano durata stagionale e definitiva, tanto che le istanze presentate erano per il rinnovo della concessione.

La proroga disposta dalla l. 145/2018 non comportava l’applicazione della proroga a tutte le concessioni in atto a quella data: destinanti della proroga erano unicamente quelle che già avevano fruito della precedente ed erano vigenti alla data del 1° gennaio 2019.

La ricorrente, in quanto titolare di concessioni di durata annuale (o stagionale) e non di “concessioni di lunga durata (con scadenza fino al 31 dicembre 2012, più volte prorogato fino al 31 dicembre 2018)”, non aveva fruito, né poteva fruire, della proroga fino al 31 dicembre 2020 prevista dal d.l. 194/2009, e, quindi, cessata la concessione alla data del 31 dicembre 2018, non poteva neppure fruire della (nuova) proroga prevista dalla l. n. 145/2018, entrata in vigore dal 1° gennaio 2019.

Avverso la sentenza del Consiglio di Stato la ricorrente ha promosso ricorso in Cassazione per eccesso di giurisdizione. Secondo la ricorrente, infatti, il Consiglio di Stato, nel limitare l’applicabilità dell’art. 1, comma 683, l. 145/2018 alle sole “concessioni di lunga durata”, ha introdotto un requisito non previsto da alcuna norma di legge.

In sede di giudizio, la ricorrente ha altresì chiesto il rinvio del giudizio in attesa della decisione della Corte di Giustizia sulla rimessione operata dal TAR Puglia, sede di Lecce con l’ordinanza n. 743/2022 circa la validità della direttiva Bolkestein e della sua natura self-executing, sul requisito dell’interesse transfrontaliero, nonché sul requisito della limitatezza delle risorse e delle concessioni disponibili riferito tout-court all’intero territorio nazionale: tale rinvio, tuttavia, non è stato concesso.

Le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso, ritenendolo infondato.

Secondo la Corte, il percorso argomentativo seguito dal Consiglio di Stato sarebbe stato corretto e logico.

L’art. 1, comma 683, richiama il d.l. n. 194 del 2009 prevedendo che “le concessioni di cui al comma 682, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge 31 dicembre 2009, n. 194”; a sua volta, il comma 682 dispone che “Le concessioni disciplinate dal comma 1 dell’articolo 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge”.

La circostanza che l’art. 1, comma 683, richiami il d.l. n. 194 del 2009 e non indichi meramente una data, fa sì che il campo di applicazione della proroga non è generalizzato, ma circoscritto al campo di applicazione della norma richiamata.

Secondo la Corte, dunque, è coerente e logica “l’opzione esegetica del Consiglio di Stato per cui l’indicazione del dettato normativo non poteva equivalere alla sola indicazione della data «perché se ciò avesse voluto fare, sarebbe bastato indicare la data del 30 dicembre 2009 senza alcun richiamo al decreto legge n. 194 del 2009», e ciò, tanto più, che proprio il decreto legge n. 194/2009, come pure esplicitato dal giudice amministrativo, all’art. 1, comma 18, si riferiva alla proroga – fino al 2020 – del termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore della disciplina (e rilasciate a seguito di una procedura amministrativa attivata prima del 31 dicembre 2009) in scadenza entro il 31 dicembre 2018.

La ricostruzione compiuta dal Consiglio di Stato, inoltre, secondo la Cassazione, ha una finalità sistematica, “mirata a non ampliare l’ambito dei provvedimenti concessori destinati ad essere beneficiari di proroga: solo quelli in essere e solo quelli già oggetto di proroga sono destinatari delle ulteriori misure di estensione temporale”.

Come precisato anche nell’interpretazione delle norme operata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 213 del 18 luglio 2011, chiamata a valutare la legittimità costituzionale di alcune disposizioni regionali in tema di proroga automatica di concessioni demaniali, le disposizioni con cui sono state previste le proroghe hanno «carattere transitorio, in attesa della revisione della legislazione in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento, sulla base di una intesa da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui al citato art. 37, secondo comma, cod. nav. La finalità del legislatore è stata, dunque, quella di rispettare gli obblighi comunitari in materia di libera concorrenza e di consentire ai titolari di stabilimenti balneari di completare l’ammortamento degli investimenti nelle more del riordino della materia, da definire in sede di Conferenza Stato-Regioni».

Il logico corollario, pertanto, era nel senso che la proroga ivi prevista si riferiva solo alle concessioni nuove e in corso e non a quelle scadute. In coerente sviluppo, dunque, è la prospettiva del Consiglio di Stato con riguardo alla portata del successivo intervento del 2018.

La Cassazione ha pertanto escluso che i giudici amministrativi avessero travalicato i limiti esterni della giurisdizione amministrativa, affermando, al contrario, come gli stessi abbiano esercitato un’attività ermeneutica che rientra tra i propri compiti.

Per la Cassazione, dunque, i giudici del Consiglio di Stato si sono limitati a interpretare norme esistenti e non anche a crearne di nuove.

Cass. Civ., Sez. Un., 14 febbraio 2023, n. 4591