Concessioni demaniali: il Consiglio di Stato ribadisce l’applicabilità della direttiva Bolkestein e dei principi delle sentenze gemelle dell’Adunanza plenaria.

Concessioni demaniali il Consiglio di Stato ribadisce l’applicabilità della direttiva Bolkestein e dei principi delle sentenze gemelle dell’Adunanza plenaria.Con una recentissima sentenza del 15 marzo scorso, il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sul rigetto di un’istanza di rinnovo o proroga di una concessione di un’area boscata, ribadisce l’applicabilità dell’art. 12 della direttiva Bolkestein e dei principi delle sentenze c.d. gemelle dell’Adunanza plenaria alle concessioni demaniali (per un approfondimento scarica gratuitamente il paper cliccando qui).

Il caso

Una società, proprietaria di un complesso alberghiero e concessionaria dell’antistante area boscata, ha adito il TAR competente per l’annullamento delle deliberazioni di Giunta comunale e del Consiglio comunale nella parte in cui si prevedeva di mettere a gara l’affidamento della nuova concessione dell’area boscata.

Con successivi motivi aggiunti, la società ricorrente ha, altresì, impugnato, il rigetto dell’istanza di rinnovo o proroga del titolo concessorio, nelle more, presentata dalla stessa società.

Nello specifico, la ricorrente ha censurato l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione in quanto ritenuto lesivo della sfera giuridica ed economica della ricorrente. Per quanto qui di interesse, la società ricorrente ha evidenziato che l’amministrazione comunale, nel rigettare l’istanza di rinnovo o proroga del titolo concessorio, non avrebbe tenuto conto né della natura complementare dell’uso della area pubblica rispetto al centro turistico ricettivo, né della proroga automatica delle concessioni demaniali marittime stabilita – fino all’anno 2020 per tutte le concessioni in essere del 21.12.2009 -dall’art.  1, comma 18 del d.l. n. 194/2009, come modificato dalla legge di conversione e dall’art. 34-duodecies, comma 1, d.l. n.179/2012.

Il TAR adito ha respinto sia il ricorso che i motivi aggiunti.

La decisione del Consiglio di Stato

La società ricorrente ha impugnato la sentenza, riproponendo, nella sostanza, le medesime ragioni di diritto.

La questione è dunque giunta all’attenzione dei giudici di Palazzo Spada, i quali, nel confermare la pronuncia del TAR, hanno respinto l’appello, ritenendolo infondato.

Preliminarmente, il Consiglio di Stato ha evidenziato che, alla stregua di quanto stabilito nella convenzione, stipulata tra le parti, la complementarità dell’uso dell’area boscata, eccepita dalla ricorrente, deve essere intesa nel senso che l’utilizzo del bene pubblico deve essere compatibile con l’esercizio dell’attività economica dell’impresa turistico-alberghiera, e tutelato attraverso l’imposizione, in capo alla concessionaria, di specifici obblighi di servizio pubblico. La prospettata natura complementare del bene pubblico non rappresenta, dunque, – come ritenuto dalla società ricorrente- un vincolo di destinazione del bene medesimo in funzione dell’impresa privata, ma, al contrario, un limite alla concessione di diritti esclusivi in favore del concessionario.

I giudici di Palazzo Spada hanno, quindi, ritenuto corretto il comportamento dell’amministrazione comunale che, nel contemperare le esigenze di tutela e valorizzazione del bene pubblico con quelle commerciali dell’impresa privata, ha rigettato l’istanza di rinnovo o proroga della concessione, ritenendo prevalenti le ragioni di pubblico interesse sottese all’apertura al mercato.

In ogni caso, il Consiglio di Stato ha evidenziato che il diniego all’istanza di rinnovo o proroga della concessione è stato correttamente opposto dall’amministrazione comunale anche alla luce della normativa europea e dei principi espressi dalle ormai note sentenze gemelle n. 17 e 18 del 2020 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, secondo cui “se la proroga è direttamente disposta per legge ma la relativa norma che la prevede non poteva e non può essere applicata perché in contrasto con il diritto dell’Unione, ne discende che l’effetto della proroga deve considerarsi tamquam non esset”,

In definitiva, dunque, il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello, ritenendo non applicabile, nel caso di specie, l’invocata proroga del titolo concessorio.

La pronuncia in commento è degna di nota perché fa seguito ad un’altra sentenza del Consiglio di Stato, sempre della Sez. VII, del 1 marzo 2023, n. 2192 con la quale è stato espressamente statuito che: “sulla base di quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, con le ricordate sentenze nn. 17 e 18 del 2021, non solo i commi 682 e 683 dell’art. 1 della L. n. 145/2018, ma anche la nuova norma contenuta nell’art. 10-quater, comma 3, del D.L. 29/12/2022, n. 198, conv. in L. 24/2/2023, n. 14, che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere, si pone in frontale contrasto con la sopra richiamata disciplina di cui all’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, e va, conseguentemente, disapplicata da qualunque organo dello Stato”.

Nella sentenza in commento, dunque, i giudici di Palazzo Spada, pur non pronunciandosi espressamente sulla disciplina di proroga da ultimo introdotta dal legislatore (L. 14/2023), sembrano non avere dubbi in merito alla disapplicazione della proroga da parte di qualunque organo dello Stato.

(Consiglio di Stato, Sez. VI, 15.3.2023, n. 2740)