I contratti attivi e l’emergenza sanitaria. Riduzione dei canoni di locazione commerciale (ristorazione etc.) ad opera della Pubblica amministrazione.

I contratti attivi e l’emergenza sanitaria. Riduzione dei canoni di locazione commerciale (ristorazione etc.) ad opera della Pubblica amministrazioneNegli ultimi 14 mesi ci siamo spesso interrogati sulla incidenza dell’emergenza sanitaria sui contratti di locazione commerciale (strutture ricettive, ristorazione etc), ne abbiamo parlato a lungo nelle nostre live: il tema dell’Act of God e la riduzione del canone di locazione.

Ho monitorato l’evoluzione della giurisprudenza sulla possibilità di rinegoziare i contratti privati di locazione, da ultimo nella rubrica Sabato Sole (in onda ogni sabato mattina sul profilo instagram rosamariaberloco) di qualche giorno fa ho fatto menzione di una recente ordinanza del Tribunale di Venezia – segnalata da il sole 24 ore con la numero 2539 – che aprirebbe finanche alla “seconda” rinegoziazione (rinegoziato in occasione del primo lockdown, sarebbe possibile rinegoziare di nuovo in ragione delle chiusure disposte nel secondo lockdown).

La questione rileva anche nei rapporti con la Pubblica amministrazione.

È possibile rinegoziare, su richiesta, i contratti di locazione di diritto privato stipulati tra un Comune e le imprese esercenti le attività di somministrazione alimenti e bevande, commerciali e artigianali? Più in particolare, è possibile per i locali comunali locati alle predette attività economiche ridurre il canone per l’emergenza Covdi-19?

Alla domanda risponde la Corte dei Conti in Sezioni riunite di controllo per l’Emilia Romagna con provvedimento del 17.5.2021 n. 7/SSRRCO/QMIG/21.

Una breve premessa sui contratti di locazione tra privati

L’attuale emergenza sanitaria si è abbattuta sulla nostra economia come un ciclone inaspettato. Innumerevoli sono stati gli interventi governativi, adottati per lo più con d.P.C.M., che hanno contribuito a creare scompiglio tra gli operatori di ogni settore per mancanza di coordinamento tra loro. Ricordiamo che lo stato di emergenza, in scadenza il 31.7.2021, potrebbe essere prorogato, si ipotizza fino a dicembre.

La cosiddetta “Decretografia” Conte (come anche la “Dragografia”, visto che l’attuale Governo sembra seguire la medesima linea nella gestione dell’emergenza) ha imposto molto spesso chiusure di attività (strutture ricettive, ristorazione etc.) per poi concedere timide aperture a determinate condizioni di sicurezza.

Si sono susseguite diverse misure restrittive, spesso sotto forma di ordinanze di necessità e urgenza, assunte da regioni, province e comuni: chiusura totale ovvero in determinate fasce orarie, preclusione per la potenziale utenza di raggiungere gli esercizi di ristorazione, limitazione del numero di clienti presenti all’interno dei locali.

In attesa di una ripartenza, diversi atti normativi hanno provveduto a compensare, almeno in parte, i gestori delle attività oggetto di restrizione per la diminuzione del proprio utile di esercizio, con ristori o sostegni. Essi sono stati variamente modulati in strumenti quali il differimento dei tributi, la sospensione temporanea o definitiva della riscossione di entrate pubblicistiche, la corresponsione diretta di misure di ristoro o l’adozione di altre misure compensative.

Come è facile intuire, la situazione descritta, pur se in parte oggetto di ristori e sostegni di varia natura, ha posto il problema di adeguare i rapporti contrattuali, determinanti costi fissi, degli operatori dei settori colpiti dalla contingenza giacché le circostanze sopravvenute in corso di esecuzione del contratto hanno di fatto alterato gli equilibri tra le parti.

L’attuale emergenza sanitaria, oltre che evento imprevedibile, presenta anche il carattere della “straordinarietà”, non essendosi verificato nel nostro Paese in epoca recente.

In tale scenario, diversi sono stati gli interventi del Legislatore.

Una delle disposizioni centrali della normativa emergenziale è data dall’art. 91 del d.l. 18/2020 (cd. Cura Italia) a mente del quale “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto (ndr riferito al d.l. 23 febbraio 2020, n. 6) è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

La disposizione individua espressamente il rispetto delle misure di contenimento previste dalla decretazione di urgenza come elemento rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina generale codicistica della “forza maggiore”, intesa quale circostanza non imputabile al debitore, idonea a escludere la responsabilità da inadempimento.

Tra le altre, l’art. 216 del d.l. n. 34/2020, in ragione della sospensione delle attività sportive nel periodo dell’emergenza, ha conferito un diritto alla rinegoziazione al concessionario di impianti sportivi pubblici, a pena di recesso dal rapporto in corso.

Tali norme evidenziano la possibile influenza dell’emergenza pandemica sui rapporti sinallagmatici, in quanto evento potenzialmente esulante dall’alea a carico del debitore e del rischio di impresa.

Le prime pronunce in tema di contratti di locazione commerciale colpiti dalla contingenza sanitaria hanno confermato la possibilità di rimodulare (ridurre) i canoni di locazione.

Tra queste si ricorda l’ordinanza del Tribunale di Roma, Sez. VI, 27 agosto 2020, n. 29683 avente ad oggetto un contratto di locazione di immobile commerciale adibito a ristorazione.

In via cautelare, il Tribunale ha infatti disposto la riduzione del canone di locazione del 40% per i mesi di aprile e maggio, e del 20% da giugno 2020 a marzo 2021, oltre alla sospensione della garanzia fideiussoria.

Il Tribunale ha ritenuto che la crisi economica cagionata dalla pandemia e la chiusura forzata delle attività commerciali devono qualificarsi quale “sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale”. In particolare, nel caso delle locazioni commerciali, il contratto è stato stipulato sul presupposto di un impiego dell’immobile per l’effettivo svolgimento di attività produttiva.

L’argomento in questione è stato oggetto di una Relazione della Corte di Cassazione (Cass. Civile, Relazione n. 56 dell’8 Luglio 2020), in cui è dato leggere che, al ricorrere di determinate circostanze, da valutarsi in concreto e caso per caso, sarebbe possibile procedere alla rinegoziazione dei contratti.

La rinegoziazione dei contratti di locazione con la Pubblica amministrazione. La richiesta di un privato di riduzione dei canoni al Comune.

La questione sottoposta alla Corte dei Conti nasce dalla richiesta di parere di un Comune.

Il quesito posto recita: “stante la vigente situazione di difficoltà economica delle attività di somministrazione alimenti e bevande, commerciali e artigianali, conseguente alle misure restrittive imposte dall’emergenza sanitaria, è possibile rinegoziare, su richiesta, i contratti di locazione di diritto privato stipulati tra un Comune e le imprese esercenti le suddette attività” ?

La Corte, premesse talune considerazioni tra quelle sopra esposte a proposito dei contratti di natura privata e più in generale con riferimento alla causa di forza maggiore dell’emergenza sanitaria, afferma che “nella presente sede non deve essere valutato, con l’ottica tipica del giudice civile, se il contraente privato di uno dei rapporti descritti abbia, o meno, diritto alla menzionata rinegoziazione. Il thema decidendum della deliberazione è, piuttosto, valutare se la pubblica amministrazione, in assenza di azione giudiziaria proposta dalla controparte, possa concordare su istanza di quest’ultima e a proprio detrimento una diminuzione della prestazione alla stessa spettante”.

Come è dato leggere nel provvedimento, a favore della possibilità di rimodulazione dei rapporti contrattuali intercorrenti tra enti pubblici e soggetti privati esercenti attività di ristorazione militano argomenti logico-giuridici di non scarsa portata.

Tra questi, il fatto che, anche alle pubbliche amministrazioni sono applicabili i principi del diritto comune dei contratti, desumibili dal dato normativo e, in parte, giurisprudenziale, di più stretta attualità. Nel corso degli ultimi anni, la giurisprudenza ha infatti conferito all’accordo negoziale delle parti un carattere sempre più duttile e flessibile, in modo da consentire l’adeguamento dell’accordo originario in ragione del dato fattuale sopravvenuto.

La richiesta di parere fa riferimento all’art. 1467, comma 3, c.c. che disciplina la reductio ad aequitatem offerta dalla parte nei cui confronti sia domandata la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, al fine di evitare la caducazione del vincolo contrattuale.

La norma  si applica:

  • ai “contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita”;
  • se “la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili”, salvo che la sopravvenuta onerosità rientri nell’alea normale del contratto.

La norma richiede la sopravvenienza di uno squilibrio oggettivo tra le prestazioni dedotte nel sinallagma, non inquadrabile nell’alea normale del contratto, tipicamente ravvisabile nell’aumento del costo della prestazione da eseguire; non sembrerebbe rientrarvi la diminuzione del valore di quella ricevuta, ragion per cui la risposta al parere dovrebbe essere negativa, tuttavia l’evoluzione giurisprudenziale ha attratto all’interno della norma anche l’ipotesi da ultimo descritta.

A questo proposito, la Corte afferma che in giurisprudenza, proprio in considerazione della non ricorrente sussistenza di entrambi i presupposti normativi in contratti di significativa importanza e anche in ragione della mancanza di una definizione di “eccessiva onerosità sopravvenuta” da parte de legislatore, sono stati individuati ulteriori strumenti di riequilibrio del rapporto.

Il riferimento è all’articolo 1664 c.c., in materia di revisione del prezzo nei contratti di appalto privato, nonché all’art. 106 nel Codice dei contratti pubblici.

Ma ulteriori sono gli strumenti idonei a fondare l’obbligo di rinegoziazione, in presenza di mutate condizioni di mercato. Il punto di partenza di tale operazione è rappresentato, ad avviso della Corte, dall’art. 1175 c.c., che nei rapporti obbligatori impone alle parti il dovere di rispettare “le regole della correttezza” e dall’art. 1375 c.c., che contempla l’esecuzione del rapporto contrattuale “secondo buona fede.

L’eccezionale impatto della pandemia e della conseguente crisi dei consumi infatti sembra stiano già imprimendo una accelerazione all’accoglimento, anche a livello giurisprudenziale, di istanze dirette a far scaturire dai menzionati principi generali un obbligo diffuso di rinegoziazione, sotto pena di intervento del giudice.

Di tanto vi è conferma nell’ordinanza del Tribunale di Roma sopra citata (n. 29683/2020) che ha accolto la richiesta di riduzione dei canoni poiché, proprio dalla clausola generale di “buona fede e correttezza”, deriva un obbligo delle parti di contrattare al fine di addivenire ad un nuovo accordo volto a riportare in equilibrio il contratto entro limiti dell’alea normale”. E ancora, una simile clausola ha proprio la “funzione di rendere flessibile l’ordinamento, consentendo la tutela di fattispecie non contemplate dal legislatore”.

Appare dunque meritevole di apprezzamento l’opzione di rinegoziazione avanzata dal Comune perché diretta a perseguire la salvaguardia del rapporto contrattuale in corso e a soddisfare ragioni di indubbio interesse pubblicistico, evitando tra l’altro azioni giudiziarie del privato.

Del resto la risoluzione del contratto potrebbe esplicare, per la Pubblica amministrazione concedente, effetti particolarmente sfavorevoli.

Difatti, caduto il vincolo contrattuale con l’attuale contraente, l’utilizzazione del bene ritornato nella disponibilità dell’ente, in astratto potrebbe essere gestita direttamente da quest’ultimo per finalità di interesse pubblico, ovvero essere nuovamente affidata nel rispetto dei principi di trasparenza e concorrenzialità. Tuttavia, in una situazione economica oggettivamente non favorevole, appare inverosimile che la medesima amministrazione possa riuscire a gestirlo percependo un corrispettivo più elevato rispetto a quello conseguito con il precedente conduttore dell’immobile.

In conclusione, pur ritenendo ammissibile la rinegoziazione e quindi una riduzione del canone dei locali comunali, l’Amministrazione deve rispettare una serie di cautele.

Ribadito che il factum principis della chiusura dell’esercizio commerciale per ragioni sanitarie e diminuzione della propensione al consumo non sempre può essere ricondotto all’ipotesi di “prestazione eccessivamente onerosa” legittimante la risoluzione del contratto e idonea a legittimare la rinegoziazione, e che alla modifica del rapporto contrattuale non può essere attribuita una finalità, per quanto lodevole, di ristoro delle perdite subite dal gestore (funzione eventualmente svolta da altri istituti di sostegno), l’ente locale dovrà attentamente valutare se i provvedimenti restrittivi e le mutate condizioni generali di mercato abbiano, o meno, determinato una significativa diminuzione del valore di mercato del bene locato, tale da rendere lo iato particolarmente significativo, rispetto al corrispettivo pattuito nell’accordo originario.

Va rammentato che anche laddove operi iure privatorum nella fase attuativa del rapporto negoziale, la Pubblica amministrazione è tenuta al perseguimento dell’interesse pubblico.

Innanzitutto, il principio di efficiente gestione delle risorse patrimoniali di pertinenza della pubblica amministrazione comporta, da un lato, che esse siano attribuite secondo i citati principi di trasparenza e concorrenzialità, dall’altro, che, in ogni caso, gravi sull’ente pubblico titolare un obbligo di valorizzarle nella misura massima possibile.

Quanto al primo aspetto, rileva l’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 59/2010, di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno che impone, laddove risorse naturali naturalmente limitate (come appunto i beni pubblici) condizionino l’esercizio di una determinata prestazione di servizi, l’obbligo di selezione comparativa e imparziale tra i diversi aspiranti.

Un accoglimento indiscriminato delle richieste di rinegoziazione dei privati, potrebbe porsi in contrasto con il principio di selezione comparativa del contraente. Infatti, il privato conduttore di un bene di titolarità di un ente locale potrebbe protrarre indebitamente il proprio rapporto contrattuale con la P.A. a condizioni significativamente diverse rispetto a quelle iniziali. L’eventuale accoglimento di tali richieste dovrà quindi rispettare, salva la variazione del prezzo, gli elementi essenziali dell’accordo originario, soprattutto in relazione alla durata

Quanto al secondo aspetto, rileva l’art. 58 del d.l. n. 112/2008, convertito dalla l. n. 133/2008, che ha disciplinato in modo dettagliato la valorizzazione del patrimonio immobiliare delle regioni e degli enti locali. I relativi proventi, infatti, affluiscono al bilancio dell’ente quali entrate, con la conseguenza che la gestione profittevole dei propri beni rientra tra le modalità con cui tali soggetti finanziano i rispettivi interventi di interesse generale.

A fronte della riduzione del corrispettivo per il godimento concesso al privato, l’ente dovrebbe reperire altrove le risorse per finanziare le proprie attività istituzionali, realizzando una specifica variazione del bilancio.

Al fine di perseguire le più volte rappresentate esigenze di correttezza e trasparenza, la valutazione di tutti gli elementi menzionati dovrà essere esternata nella motivazione dei provvedimenti amministrativi.

Orbene, conclude la Corte, gli enti locali, in presenza di una richiesta di riduzione del corrispettivo dei contratti di locazione di diritto privato stipulati con imprese esercenti attività di ristorazione (ma lo stesso dicasi più i generale per le attività di somministrazione di bevande e alimenti, commerciali e artigianali), motivata dai plurimi provvedimenti di chiusura al pubblico emanati nel corso dell’emergenza COVID-19, e dalla conseguente crisi economica, possono assentirvi, in via temporanea, all’esito di una ponderazione dei diversi interessi coinvolti, da esternare nella motivazione del relativo provvedimento, in particolare considerando elementi quali:

  1. la significativa diminuzione del valore di mercato del bene locato;
  2. l’impossibilità, in caso di cessazione del rapporto con il privato, di utilizzare in modo proficuo per la collettività il bene restituito, tramite gestione diretta ovvero locazione che consenta la percezione di un corrispettivo analogo a quello concordato con l’attuale gestore o, comunque, superiore a quello derivante dalla riduzione prospettata;
  3. la possibilità di salvaguardia degli equilibri di bilancio dell’ente, e nello specifico la mancanza di pregiudizio alle risorse con cui la medesima amministrazione finanzia spese, di rilievo sociale, del pari connesse alla corrente emergenza epidemiologica, anche alla luce della diminuita capacità di entrata sempre correlata alla situazione contingente.

(Corte dei Conti, Sezioni Riunite, Emilia Romagna n. 7/SSRRCO/QMIG/21 del 17.5.2021)