Decreto Salva Casa e art. 36-bis ed art. 32, co. 3 TUEd: voglio trovare un senso a questa norma (anche se questa norma un senso non ce l’ha?).
Tra i profili che più stanno facendo discutere operatori ed interpreti in merito al Decreto Salva Casa – D.L. 69/2024 – vi è il rapporto tra l’art. 36-bis e l’art. 32, co. 3 del TUEd.
In questo contributo a prima lettura proviamo a trovare un senso a questa norma.
I. L’art. 36-bis introdotto dal Decreto Salva Casa: il comma 1 e l’ambito di applicazione
Oggetto del nuovo e semplificato accertamento di conformità (con doppia conformità asimmetrica e possibilità di condizioni e prescrizioni, anche modificative dell’immobile oggetto di sanatoria) sono:
gli interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 34 ovvero in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 37
Intanto, non può non rilevarsi come le due ipotesi contemplate non siano correttamente riassunte dalla rubrica della norma: infatti, le ipotesi ex art. 37 D.P.R. 380/01 non costituiscono parziale difformità ai sensi dell’art. 34, bensì fattispecie autonoma (individuata dal perimetro degli interventi ricadenti in SCIA “semplice” come indentificato dall’art. 22, co. 1 e 2 del TUEd).
II. La nozione di parziale difformità nel D.P.R. 380/01 e la sua esclusione, a priori, in presenza di vincoli.
Come già approfonditamente visto in un precedente contributo, la categoria della parziale difformità ex art. 34 TUEd (richiamato dall’art. 36-bis, co. 1) ha natura residuale ed è “confinata”, da un lato, al di sopra delle soglie di tolleranza ex art. 34-bis (benché riferito solo alla singola unità immobiliare) e, dall’altro, dalla categoria di variazioni essenziali ex art. 32.
Individuati al co. 1 i criteri per individuare le ipotesi di variazione essenziale (ipotesi la cui definizione puntuale è poi rimessa alla legislazione regionale sulla base degli stessi), il co. 3 precisa che
Gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali.
Dunque, al netto di un non chiarissimo confine tra le ipotesi di totale difformità e quelle di variazioni essenziali, ciò che può affermarsi in modo lineare è che qualunque intervento eseguito su immobile sottoposto a vincolo non possa, in alcun caso, essere ricondotto alla ipotesi della parziale difformità.
Così, ad esempio, di recente il TAR Campania, III, 19.2.2024, n. 1154: “come disposto dall’art. 32, comma 3, del medesimo d.P.R., qualunque intervento effettuato su immobili sottoposti a vincolo paesistico è da qualificarsi almeno come “variazione essenziale” e, in quanto tale, è suscettibile di esser demolito ai sensi del suddetto art. 31, comma 1 (…).“
III. La (almeno apparente) non ricomprensione degli abusi in area vincolata nel perimetro della nuova sanatoria ex art. 36-bis.
Alla luce della ricognizione che precede e del testo dell’art. 36 co. 1 D.P.R. 380/01 (come revisionato dal Decreto Salva Casa) il quale prevede l’accertamento di conformità “ordinario” per le ipotesi di “totale difformità o con variazioni essenziali nelle ipotesi di cui all’articolo 31” (il cui co. 2 precisa “determinate ai sensi dell’articolo 32“), dovrebbe continuare a ritenersi che la sanatoria di interventi incidenti su immobili vincolati esuli dalla nuova fattispecie ex art. 36-bis TUEd.
IV. Il cortocircuito dell’art. 36-bis co. 4.
Sennonché il comma 4 della nuova norma prevede che
“Qualora gli interventi di cui al comma 1 siano eseguiti in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, il dirigente o il responsabile dell’ufficio richiede all’autorità preposta alla gestione del vincolo apposito parere vincolante in merito all’accertamento della compatibilità paesaggistica dell’intervento. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Se i pareri non sono resi entro i termini di cui al secondo periodo, il dirigente o responsabile dell’ufficio provvede autonomamente”
Dunque, la disposizione procedimentale in esame sembra presupporre una ipotesi (intervento in parziale difformità su immobile vincolato) che il combinato disposto degli artt. 31, 32, 34, 36 e 36-bis del D.P.R. 380/2001 “linearmente” considerano come inesistente (e “impossibile”).
V. Ipotesi interpretative.
Lasciamo in disparte il (consueto) sgomento che il giurista e l’addetto ai lavori provano a fronte di siffatti “scombinati disposti” (dei quali la stessa Relazione Illustrativa pare non essersi resa conto) e proviamo a formulare qualche ipotesi interpretativa.
Abbiamo, innanzi tutto, due opzioni “principali” ed antitetiche.
La prima possibilità è quella di ritenere che il comma 4, norma procedimentale, integri automaticamente il co. 1 nel quale sarebbe stato “dimenticato”, a fianco alle ipotesi ex art. 34 (parziale difformità) ed ex art. 37 (interventi privi di SCIA o in difformità dalla stessa, dunque, non qualificabili come parziale difformità): a fianco di tali ipotesi espressamente nominate vi sarebbe anche il caso degli interventi eseguiti in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, benché a stretto rigore non qualificabili come parziale difformità.
Tale interpretazione appare tuttavia molto forzata.
Così come forzata – e in linea di principio da evitare – anche la seconda interpretazione possibile, secondo la quale cui i co. 4 e ss. dell’art. 36-bis sarebbero sostanzialmente inutili ed inapplicabili.
Ecco che pare, a nostro avviso, possibile una ulteriore soluzione interpretativa mediana, armonica sia con l’art. 36-bis sia con le altre disposizioni: la possibilità di sanare interventi difformi dalla o privi dell’autorizzazione paesaggistica è da intendersi limitata ai soli casi, diversi dalla ipotesi di parziale difformità ex art. 34, obiettivamente inconfigurabile in presenza di fattispecie ricadenti nell’art. 32, co. 3, di opere ricadenti nella fattispecie ex art. 37.
Detto altrimenti, laddove l’art. 36-bis, co. 4, richiama “gli interventi di cui al comma 1” tale rinvio deve essere circoscritto solo a quella parte del comma 1 per il quale la presenza di vincoli (da cui l’onere di acquisire l’autorizzazione paesaggistica) non produce l’effetto “cortocircuito”. Dunque, restano fuori le ipotesi di parziale difformità ex art. 34 D.P.R. 380/01 e restano le ipotesi ex art. 37.
VI. Il collo di bottiglia dell’art. 167, co. 4, d.lgs. 42/2004.
Resta solo da osservare che, in ogni scenario interpretativo, la effettiva possibilità di beneficiare dell’accertamento di conformità in presenza di vincoli paesaggistici rimane ancorata agli stringenti, proibitivi, parametri che il Codice dei beni culturali prevede per l’accertamento di compatibilità paesaggistica.
Infatti, con previsione che in nessun modo può ritenersi “superata” o “derogata” dall’art. 36-bis D.P.R. 380/01 introdotto dal D.L. 69/2024, la “sanatoria paesaggistica” è ammessa solo per
“a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380″
Disposizione, questa, che come è noto è interpretata in modo a dir poco restrittivo dalla giurisprudenza, secondo la quale
“L’art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004, infatti, “preclude il rilascio di autorizzazioni in sanatoria quando siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura”, con la precisazione che il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno” (TAR Campania, Napoli n. 3319/2024).