D.L. semplificazioni e “stato legittimo dell’immobile”: il nuovo art. 9-bis, comma 1-bis del D.P.R. 380/01

Chiunque operi nell’edilizia ha spesso a che fare con la verifica dello “stato legittimo dell’immobile” dell’immobile o dell’unità immobiliare.  Tale verifica, infatti, si impone tanto in sede di presentazione di una pratica edilizia (dalla più semplice alla più complessa) tanto in fase di compravendita immobiliare (la legittimità dello stato attuale è, infatti, il quesito principale di ogni due diligence immobiliare).

Fino ad oggi,  tuttavia, tale nozione non era mai stata definita dal legislatore statale nel D.P.R. 380/01; solo con il D.L. semplificazioni è stato introdotto, all’art. 9-bis del D.P.R. 380/01 un comma 1-bis (articolato in tre periodi) in base al quale:

[1] Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. [2] Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza. [3]Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.

 

1. La regola generale dettata dal primo periodo

Come premesso, al livello statale è questa la prima definizione della nozione di stato legittimo (nozione, come ricordato, presupposta a qualunque intervento edilizio).

Il primo periodo introduce la “regola generale”, tale per cui lo stato legittimo va individuato avendo riguardo a:

titolo che ha abilitato la costruzione o l’ultimo intervento (sull’immobile o sull’unità immobiliare)

integrati da eventuali titoli successivi relativi ad interventi parziali           

La Relazione illustrativa al D.L. evidenzia che:

La lettera d) reca modifiche all’articolo 9-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, introducendo per la prima volta la definizione di stato legittimo, utilizzata tradizionalmente per la verifica della legittimità dell’immobile, oggetto di intervento edilizio o di alienazione. Essa dunque risulta quanto mai opportuna per chiarire l’ambito di dette verifiche e, di conseguenza, anche per perseguire gli abusi.

 

 2. Il secondo ed il terzo periodo: regole per le situazioni “dubbie”e “risalenti”

Il secondo periodo individua le “regole” atte ad individuare lo stato legittimo per “gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio”.

La norma sfiora, ma non affronta, un tema assai delicato, che non ha una soluzione a priori e valevole “ovunque”. Non è infatti possibile accontentarsi, come una certa sommaria vulgata vorrebbe, del c.d. ante 67.

Nel nostro Paese, infatti, la pianificazione del territorio intesa come regolamentazione atta a disciplinare l’edificazione preesiste senz’altro non solo alla L. 765/1967 ma anche alla stessa Legge 17/08/1942, n. 1150 (c.d. “legge urbanistica fondamentale).

La giurisprudenza amministrativa aveva inizialmente ritenuto che, per quanto riguarda gli interventi edilizi compiuti tra il 1942 (entrata in vigore della L. 1150/1942), ed il 1967 (entrata in vigore della L. 765/1967), fosse da escludere radicalmente la stessa possibilità di contestare l’assenza di titolo edilizio per opere realizzate all’in fuori del “centro abitato”, pur laddove questo fosse prescritto dalla disciplina urbanistica comunale vigente al tempo dell’intervento.

Così, TAR Toscana 899/2014 e TAR Catania 48/2019 ritengono ad esempio che per l’accertamento della regolarità edilizia di manufatti realizzati fuori dei centri abitati ante 67, rileva esclusivamente la norma primaria sopravvenuta di cui all’art. 31 L. 1150/ 1942 (con obbligo di preventivo titolo abilitativo limitatamente agli immobili ricadenti nei centri abitati) con prevalenza rispetto alla disciplina regolamentare preesistente.

Invece, secondo un diverso prevalente orientamento (ad es. TAR Lazio, 1877/2018 e TAR Campania, Napoli 3669/2017), non può riconoscersi una automatica ed implicita portata abrogante o disapplicativa della norma secondaria (i regolamenti e gli strumenti urbanistici ante 1942) all’art. 31 della L. 1150/1942, giacché tale norma si è limitata a disciplinare in via generale tale obbligo senza, tuttavia, che ciò abbia determinato l’abrogazione tacita di una disposizione speciale più rigorosa per le costruzioni al di fuori dei centri abitati negli esistenti atti di governo del territorio.

Ad ogni modo, date tali coordinate, il tema centrale resta (anche nell’applicazione della nuova norma) quello della prova.

Al riguardo, è possibile evidenziare che per la giurisprudenza, chi intende avvalersi della esenzione dall’obbligo del titolo (perché ante ’67 o anteriorità ad altra deadline) occorre fornire prova sufficiente della realizzazione del fabbricato/intervento: è onere del privato fornire la prova della datazione dell’opera, ove intenda affermarne la natura di ante ’67; tuttavia, una volta che tale onere sia stato assolto in maniera diligente, incombe sull’amministrazione che voglia disconoscere tale “datazione” uno sforzo contro-probatorio concreto

Svolte queste premesse generali, riprendiamo l’esame della nuova disposizione la quale individua lo stato legittimo come

quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza     

L’espressione adoperata “desumibile” lascia intendere – sembrerebbe –  che in tali casi la individuazione dello stato legittimo, pur nel rigore necessario, potrebbe non richiedere lo stesso livello di “oggettività” e certezza che si ha in presenza di un incontrovertibile titolo edilizio.

[In tal senso, al livello lessicale, si osserva che il significato letterale di desumere è (Treccani) “1. Trarre, ricavare: d. esempî dai migliori scrittori; notizie desunte dai giornali. 2. Arguire, congetturare: da che cosa desumi che sia colpevole?; dai suoi discorsi si desume che non è del nostro parere; dal suo sguardo desumo di non essergli simpatico”]

Proseguendo nella disamina dei “mezzi per desumere lo stato legittimo”, si può osservare che la documentazione indicata dalla norma non è tassativa, benché vi sia una “gerarchia”.

Infatti,  il primo dato da considerare (e “cercare”) sono le  “informazioni catastali di primo impianto”.

Solo in alternativa (o “a completamento”, in una prospettiva più elastica) è possibile ricorrere agli “altri documenti probanti che vengono indicati dalla disposizione in maniera esemplificativa, non tassativa e senza preferenze a priori. Ci si riferisce, così, a “riprese fotografiche”, “estratti cartografici”, “documenti d’archivio” , o “altro atto, pubblico o privato”. È appena il caso di osservare che, data la clausola particolarmente aperta, fra tali documenti non possiamo escludere la rilevanza di informazioni catastali “non di primo impianto” nonché la stessa documentazione attenente all’agibilità (nonostante che, come noto, la giurisprudenza sia stata sino ad oggi assai negativa nel dare valore a tale documento).

Essenziale, ad ogni modo, è che della documentazione invocata sia “dimostrata la provenienza”.

L’ultimo periodo della norma, infine, introduce la possibilità di ricorrere ai mezzi di prova “alternativi” laddove vi sia prova dell’esistenza del titolo ma non vi sia copia dello stesso (o, possiamo immaginare, difetti di taluni elementi atti a indicare esattamente lo stato legittimo, ad esempio elaborati, prospetti, sezioni, etc.).

 

 3. Alcuni rilievi generali.

La norma ovviamente (una volta convertita in legge) dovrà essere precisamente recepita dalla modulistica, al fine di consentire al tecnico di precisare a quale delle tre ipotesi richiamarsi in sede di asseverazione dello stato legittimo.

La disposizione, inoltre, potrebbe porre un problema di coordinamento, in materia di repressione degli abusi edilizi, con i principi rigidi di Cons. Stato Ad. Plen. 9/2017 (dove, come è noto, sono stati affermati i principi di a) irrilevanza della risalenza nel tempo abuso; b) insussistenza del legittimo affidamento in presenza di irregolarità edilizio-urbanistiche  c) sussistenza di interesse pubblico in re ipsa alla repressione dell’abuso edilizio).

Va segnalato come alcune decisioni successive ad Ad. Plen. abbiano iniziato ad aprire un varco, di cui il co. 1-bis rappresenta un possibile “punto di appoggio”.

Ci si riferisce, ad esempio, a Cons. Stato 3372/2018, TAR Sardegna 366/2018;TAR Reggio Calabria 513/2019; TAR Lazio 5690/2019, laddove si afferma la possibile tutelabilità del legittimo affidamento in presenza di precedenti pratiche edilizie che, pur “ricomprensive” della situazione “irregolare”, siano tuttavia state “validate” dalla P.A. [ne parliamo nel dettaglio in questo video].

Significativo in tale contesto segnalare una scelta “in negativo” del Governo.

Nella “prima Bozza” del D.L. semplificazioni era presente una norma che da tempo circola nella legislazione regionale, a partire da L.R. Emilia Romagna 23/2004 (come introdotto dalle L.R. 37 e 73 del 2017; presente anche in L.R Marche 25/2017) che c pone al suo centro proprio il legittimo affidamento nonché la mancata contestazione, nel tempo, di una data consistenza come non legittima.

Si era infatti ipotizzata una disposizione così formulata:

nell’osservanza del principio di certezza delle posizioni giuridiche e di tutela dell’affidamento dei privati, non si considerano violazioni edilizie le parziali difformità realizzate durante i lavori per l’esecuzione di un titolo abilitativo, cui sia seguita, previo sopralluogo o ispezione da parte di funzionari incaricati, l’agibilità nelle forme previste dalla legge nonché le parziali difformità rispetto al titolo abilitativo legittimamente rilasciato, che l’amministrazione comunale abbia espressamente accertato senza contestarle come abusive ed assumendo il provvedimento conclusivo del procedimento favorevole all’interessato. È fatta salva la possibilità di assumere i provvedimenti di cui all’articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990, nei limiti e alle condizioni ivi previste

Come detto, nel D.L. semplificazioni approvato e pubblicato tale forma di “tolleranza”, ispirata al legittimo affidamento non è stata accolta dal Governo. Non possiamo, però, escludere che l’interpretazione dell’art. 9-bis, co. 1-bis possa, sia pur parzialmente e in maniera più “eccezionale”, condurre ad approdi analoghi.