I contratti di locazione nell’emergenza Covid-19

contratto locazione

Nell’attuale situazione di emergenza legata all’epidemia del Covid-19, una della questione più discusse attiene sicuramente alle sorti dei contratti di locazione e alla sospensione del pagamento dei canoni: i provvedimenti governativi, funzionali al contenimento dell’epidemia, impediscono infatti ai conduttori di poter utilizzare gli immobili locati.

E’ evidente la delicatezza della questione che vede contrapposti due distinti e altrettanto validi interessi: da un lato, quello del locatore che, indipendentemente dai provvedimenti governativi, ha comunque messo a disposizione del conduttore il proprio immobile e ritiene pertanto di aver diritto al pagamento dei canoni; dall’altro, quello del conduttore che, vista l’impossibilita di utilizzare l’immobile per fatto a lui non imputabile, ritiene di non essere tenuto al pagamento dei canoni: e questo anche in ragione delle  difficoltà economiche in cui viene a ritrovarsi a causa dell’impossibilità  di svolgere la propria attività.

In questi giorni si sono alternate molteplici considerazioni e osservazioni sull’argomento (ne abbiamo discusso anche qui). Proviamo in tal senso, a fare il punto.

E’ chiaro che il decreto Cura Italia  non ha contemplato alcuna sospensione  o moratoria dei canoni di locazione per le attività commerciali: prova ne è il  fatto che tale normativa speciale ha previsto, alla stregua di un ammortizzatore sociale, un credito di imposta pari al 60% dei canoni di locazione che verranno versati (art. 65 del D.L. 18/2020).

Quanto alla normativa in materia di locazione, l’art. 1575 c.c. impone al locatore  di mettere a disposizione del conduttore l’immobile: a stretta interpretazione della norma, la circostanza che detto immobile non sia poi utilizzabile per cause di forza maggiore o per ordine dell’autorità non potrebbe essere assimilata né ad un’ipotesi di inadempimento del locatore, né tanto meno ad un’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione: per l’effetto, in entrambe le situazioni, non verrebbe meno il diritto del locatore a percepire il canone di locazione.

Uno spunto di riflessione può arrivare proprio dall’art. 1575 c.c. e da un’interpretazione della stesso coerente con l’oggetto e la causa del contratto stesso. In tal senso, l’ obbligazione che grava sul locatore di mettere a disposizione del conduttore l’immobile, esaminata nel contesto più ampio del contratto di locazione e della funzione che esso persegue, potrebbe essere interpretata in modo tale da dare rilevanza alla concreta ed effettiva utilizzabilità dell’immobile per le finalità e per l’uso previsto nel contratto: in altre parole, l’obbligazione di mettere a disposizione del conduttore l’immobile non si limita ad una mera consegna dello stesso ma potrebbe spingersi fino alla sua concreta ed effettiva utilizzabilità. Pertanto, nel momento in cui l’immobile non è utilizzabile per causa di forza maggiore o per ordine dell’autorità verrebbe meno il senso del contratto stesso e delle prestazioni ivi contemplate,  potendosi così rientrare nell’ambito dell’ “impossibilità temporanea” dell’obbligazione di cui all’art. 1256 c.c., tale da giustificare e legittimare la sospensione del pagamento dei canoni.

A tale fine, è utile pensare al contratto di locazione alberghiera ove, per l’appunto, la funzione della locazione, e dunque l’obbligo del locatore di mettere a disposizione l’immobile, sono direttamente collegati allo svolgimento di tale specifica attività: pertanto, nel momento in cui detta attività è impossibile, si potrebbe parlare di un’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione, posto che la funzione e lo scopo stesso del contratto non è temporaneamente perseguibile.

Un ulteriore spunto  di riflessione si basa sulla disciplina generale dei contratti e in particolare su quelle disposizioni che  mirano a tutelare la parte contrattuale svantaggiata da eventi sopravvenuti, che hanno rotto gli originari equilibri contrattuali.

Si tratta delle norme riguardanti l’eccessiva onerosità sopravvenuta e la conseguente rinegoziazione del contratto.

E’ infatti evidente come l’impossibilità di fruire dell’immobile locato e prima ancora l’impossibilità di svolgere la propria attività al suo interno abbia compromesso gli equilibri sottesi al contratto di locazione, rendendo l’obbligazione relativa al pagamento del canone assai più gravosa rispetto a quanto immaginabile in sede di stipula. Un tale ragionamento può riguardare anche la fase successiva alle misure di contenimento ove i postumi dell’emergenza incideranno ancora in modo negativo sulle attività produttive.

Anche in questo caso, l’esempio delle attività alberghiere appare assolutamente calzante: è evidente come il rallentamento del turismo, conseguente alle limitazioni di circolazione o semplicemente ai timori di nuovi contagi, renderà i canoni di affitto degli alberghi – stipulati prima di tale evento – del tutto sproporzionati e incoerente con il valore economico di tali attività nella fase post-emergenza.

Un ulteriore esempio potrebbe riguardare l’affitto dei locali destinati a ristoranti: se prima dell’emergenza Covid 19 un locale poteva ospitare – ad esempio- 50 coperti, successivamente a tale crisi e alle misure che verranno prese per garantire un determinato distanziamento,  potrà arrivare, ad esempio – sempre ad ospitare –  massimo 30 coperti: il canone di affitto, originariamente parametrato su 50 coperti, diverrà assolutamente inadeguato e fuori mercato per un locale che potrà ospitare al massimo 30 coperti.

Appare dunque evidente come i presupposti, anche di natura economica, sulla base dei quali è stato concluso il contratto di locazione sono radicalmente cambiati: i fatti sopravvenuti del tutto imprevisti e imprevedibili, assolutamente al di fuori del cd. rischio d’impresa, finiscono per pregiudicare solo una parte: pertanto, il rapporto locatizio potrebbe essere risolto ovvero rinegoziato secondo i noti principi che disciplinano l’eccessiva onerosità sopravvenuta. Naturalmente, l’eccessiva onerosità deve essere rilevante, deve essere direttamente riconducibile ai fatti sopravvenuti e  deve essere adeguatamente provata, al fine di poter giustificare la rinegoziazione del contratto.

Una tale interpretazione tuttavia potrebbe essere osteggiata, considerando le norme che prevedono gli ammortizzatori per le imprese, in particolare quelli relativi ai canoni di locazione: in altre parole, non si può parlare di eccessiva onerosità sopravvenuta proprio perché vi sono norme come l’art. 65 del Decreto Cura Italia, che, riconoscendo un credito di imposta per il 60% dei canoni di affitto, limitano tale eccessiva onerosità sopravvenuta.

Altre considerazioni attengono ai principi generali in materia di buona fede nell’esecuzione  dei contratti di cui all’art. 1375 c.c. letti ed interpretati alla luce del vincolo solidaristico di cui all’art. 2 Cost: in tale contesto, “la buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del “neminem laedere”, trovando in tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte, nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico” Cass civile sez. III, 12/12/2019, n.32478.

In estrema sintesi e semplificazione, il dovere di buona fede sottende un equilibrio e  una cooperazione fra le parti nell’esecuzione affinchè l’adempimento delle rispettive obbligazione non si riveli eccessivamente oneroso e gravoso per una o per l’altra, rispetto a quanto effettivamente concordato e comunque immaginabile.

In questa prospettiva, dunque, occorre valutare e contemperare il pregiudizio del locatore conseguente al mancato percepimento dei canoni di locazione e il pregiudizio del conduttore che, già danneggiato dal non poter svolgere la propria attività, deve comunque versare il succitato canone.

E’ evidente come in questo contesto la posizione del conduttore sia quella più debole e maggiormente lesa, ragion per cui sarebbe legittimo, coerentemente con i principi di buona fede, chiedere al locatore lo sforzo di rinunciare temporaneamente al proprio canone, a fronte del ben più grave sacrificio che sta affrontando il conduttore. E tutto ciò coerentemente con i principi di buona fede nell’esercizio dei contratti, letti alla luce dei principi di solidarietà sociale di cui all’art. 2 delle Costituzione.

Quella testè esposta è sicuramente una interpretazione “arditamente” estensiva dei principi di buona fede, tale addirittura da superare le regole e i patti contrattuali che si sono dati le parti: tuttavia, proprio a tal proposito è opportuno ricordare che l’art. 1374 c.c. indica l’equità come elemento integrativo del contratto.

Provando a tirare le somme di tale ampio ragionamento, il conduttore non ha un diritto nei confronti del locatore di veder sospesi i canoni di locazione in ragione dell’emergenza Covid-19 e dei conseguenti provvedimenti governativi, ragion per cui non può arbitrariamente decidere di smettere di versare detti canoni: tuttavia, tenendo conto del radicale cambiamento dei presupposti alla base del contratto di locazione, egli può legittimamente invocare una rinegoziazione dei rapporti locatizi, finalizzata a ripristinare l’originario equilibrio contrattuale.  Il tutto in ossequio dei noti principi di buona fede che impongono ad entrambe le parti di cooperare nell’esecuzione dei contratti.

Del resto, un’interruzione del rapporto di locazione non gioverebbe ad alcuno, tantomeno al locatore: egli, non solo dovrebbe avviare un’azione per farsi corrispondere i canoni non versati (che il conduttore non è stato in grado di versare), ma dovrebbe trovare un nuovo conduttore per l’immobile stabilendo nuove condizioni economiche che sarebbero nettamente diverse da quelle precedenti, in quanto legate ai nuovi assetti economici post Covid-19: condizioni economiche che, di fatto, potrebbero essere molto simili a quelle invocate dal precedente conduttore in sede di rinegoziazione.