Il condono edilizio nascosto fra le righe dell’art. 34 ter introdotto dal Salva Casa
Il decreto Salva Casa ha introdotto il nuovo art. 34 ter che, come già è facile intendere dalla rubrica, ha un contenuto assai peculiare: tale disposizione, infatti, disciplina “casi particolari” di interventi eseguiti in parziale difformità rispetto al titolo edilizio ed è stata introdotta al fine di (cercare di) regolarizzare e più in generale “sistemare” tutte quelle (più o meno grandi) difformità poste in essere nella realizzazione degli interventi edilizi, risalenti nel tempo. Anticipando sin d’ora le conclusioni del presente contributo, la sensazione è che fra le righe di questa norma sia stato introdotto un “piccolo” condono edilizio.
Ma andiamo con ordine.
Una delle due ipotesi disciplinate dell’art. 34 ter è quella relativa agli interventi in variante, eseguite in difformità dei titoli edilizi rilasciati prima della L. n. 10/1977.
La regolarizzazione di tale tipologia di intervento è possibile mediante la presentazione di una SCIA, a condizione che :
- si tratti di un intervento, eseguito in corso d’opera, in parziale difformità dal titolo edilizio;
- si tratti di un intervento che afferisce ad un titolo rilasciato prima dell’entrata in vigore della L. 10/1977.
Colpisce subito come la disposizione abbia molta cura nel disciplinare la tipologia di irregolarità (interventi eseguiti in corso d’opera in parziale difformità dal titolo edilizio) nonché i presupposti temporali per l’accesso a tale particolare tipologia di regolarizzazione (deve trattarsi di interventi in variante a titoli edilizi rilasciati prima dell’entrata in vigore della L.10/1977). Oltre a ciò, la norma ha particolare cura di disciplinare lo strumento per procedere alla regolarizzazione, spiegando in tal senso che si tratta di una SCIA “sui generis” che può essere inibita anche per ragioni pubblico interesse.
A fronte di condizioni e presupposti così precisi, la disposizione nulla dice circa la conformità urbanistica-edilizia della variante ammessa alla sanatoria. In tal senso, dal dato letterale della disposizione non si evince se ai fini dell’accesso a tale particolare procedura di regolarizzazione, sia necessario che la variante sia conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda o vigente al momento della realizzazione dell’intervento.
Orbene, l’assenza di riferimenti ad una qualche conformità urbanistica dell’intervento in variante fa sì che la sua regolarizzazione è ammessa in ogni caso, ferme naturalmente tutte le altre condizioni.
Le linee guida del MIT sono coerenti con tale interpretazione, nel momento in cui prevedono che “Ai fini del perfezionamento della SCIA in sanatoria non è richiesta la sussistenza della doppia conformità, rigida o semplificata, di cui agli articoli 36 e 36-bis del Testo unico”. Appare evidente l’ampiezza di una tale forma di regolarizzazione nonché la sua “straordinarietà”: qualsiasi intervento (ripetesi, fermo il rispetto degli altri requisiti) può essere regolarizzato anche se non era ammesso dalla normativa edilizia vigente al momento della sua realizzazione o non ammesso dalla normativa vigente al momento della presentazione dell’istanza.
I. Si può regolare ogni difformità parziale?
Orbene, proprio tale aspetto lascia pensare come, rispetto a tale ipotesi così peculiare e così ampia, si possa parlare di una specie di condono edilizio, proprio perché la sanatoria dell’intervento irregolare è ammesso indipendentemente dalla sua conformità alla normativa urbanistica: infatti, un intervento eseguito illo tempore in modo irregolare perché non ammesso dalla normativa urbanistica, può comunque essere regolarizzato se rispetta tutti gli altri presupposti previsti dall’art. 34 ter. Analogamente, un intervento che oggi non è ammissibile dalla normativa edilizia vigente, può essere regolarizzato.
Una (indiretta) conferma della natura “straordinaria” di tale regolarizzazione ci viene anche dagli strumenti a cui può ricorrere l’amministrazione per paralizzare tale particolare forma di sanatoria. Infatti, la SCIA con la quale si procede alle regolarizzazione di tale opera può essere eccezionalmente (ed in aggiunta alle ipotesi di cui all’art. 19 l.n.241/1990) inibita dall’amministrazione anche nel caso in cui accerti un interesse pubblico alla rimozione delle opere.
Una tale genericità e ampiezza nella disposizione porta a ritenere che il legislatore abbia immaginato uno strumento molto ampio per “bloccare” tale procedura di regolarizzazione nelle ipotesi più gravi e particolari.
Tuttavia, nel caso che ci occupa è difficile immaginare in cosa possa sostanziarsi un interesse pubblico tale da consentire l’inibizione della SCIA ex articolo 34 ter: tanto più alla luce della natura degli interventi oggetto della stessa SCIA. Essa si riferisce infatti a ipotesi di interventi in parziale difformità (e quindi interventi “minori” rispetto ad uno principale legittimo), che esistono da oltre 40 anni: appare difficile immaginare l’insorgenza di un interesse pubblico che, dopo quarant’anni, giustifichi la contestazione e la demolizione di tali interventi, che per quanto irregolari, sono comunque minori.
II. Conclusioni finali
A valle di tali considerazione, può – forse provocatoriamente, ma neanche troppo – affermarsi che l’ampiezza della sanatoria di cui all’art. 34 ter e, in particolare, l’assenza di riferimenti alla conformità urbanistica, sia tale da consentire di assimilare tale previsione ad un condono edilizio: condono assai limitato per quanto attiene alla portata degli interventi ammessi, ma che comunque ha in sé i caratteri di ampiezza e eccezionalità analoghi a quelli della l.n. 47/1985.