Il decreto Semplificazioni: il regime speciale per gli interventi edilizi degli investitori istituzionali

decreto semplificazioniIl decreto Semplificazioni, in sede di conversione, ha introdotto, al comma 7 ter dell’art. 10 una previsione assolutamente interessante soprattutto per gli investitori istituzionali: secondo tale disposizione “è sempre consentita con SCIA”  la realizzazione opere edilizie con specifiche destinazioni urbanistiche, sia da parte delle pubbliche amministrazioni sia da parte di investitori istituzionali. Naturalmente, trattandosi di una norma di rilevante impatto, la sua applicazione è sottoposta a stringenti limiti applicativi sia in termini soggettivi, sia oggettivi.

Tale disposizione era stata già oggetto di esame, ma attesa la sua complessità merita un ulteriore approfondimento.

Innanzitutto, essa si applica esclusivamente ad interventi  su immobili da destinare “ad infrastrutture sociali, strutture scolastiche e universitarie, residenze per studenti, strutture e residenze sanitarie o assistenziali, ostelli, strutture sportive di quartiere ed edilizia residenziale sociale comunque denominata”.

È evidente la rilevanza  “pubblica” delle destinazioni ammesse a beneficiare degli interventi previsti da questa disposizione. Tuttavia, una tale previsione non preclude l’esecuzione di interventi su fabbricati a tutti gli effetti privati, per i quali la rilevanza “pubblica” può essere assunta anche mediante un convenzionamento con soggetti istituzionali. Basta in tal senso pensare  all’ipotesi di strutture universitarie “private” e a quello delle residenze per studenti.  Analogamente, tale previsione è applicabile anche in relazione ad interventi riguardanti l’edilizia residenziale sociale, da parte di soggetti direttamente collegati all’amministrazione, come le società partecipate.

Sebbene gli interventi ammessi da tale normativa speciale siano quelli a destinazione sostanzialmente “pubblica”, ciò non esclude  che – coerentemente con le previsioni regolamentari – all’interno di tali destinazioni residui comunque spazio per destinazioni accessorie, a servizio di quella principale, senza così far venir meno o compromettere quest’ultima. E’ il caso, ad esempio, dei servizi e delle destinazioni accessorie che accompagnano strutture sportive e residenze per studenti od ostelli.

La realizzazione degli interventi speciali previsti da questa disposizione è consentita sia da parte della pubblica amministrazione, anche mediante società dalla stessa partecipate, sia da parte di investitori istituzionali di cui  all’art. 1 co. 1 lettere K, L, O e R del D.Lgs 58/1998 e dunque mediante Organismi di investimento collettivo del risparmio, compresi i fondi comuni di investimento, mediante le Sicav e le Sicaf, nonchè mediante le SGR e le SIM. Dunque, accanto a soggetti di marcata natura pubblicistica, la norma contempla soggetti chiaramente privati come gli investitori istituzionali.

Una tale norma, benché ammetta l’esecuzione di tali interventi solo da parte di questi soggetti, non sembra comunque escludere la possibilità che, una volta realizzata l’opera, essa vanga alienata ad altri soggetti, diversi da quelli contemplati dalla disposizione: in altre parole, una volta realizzato l’intervento, l’investitore istituzionale appare libero di cederlo e trasferirlo, senza che ciò comprometta la legittimità e la validità del titolo edilizio “speciale”. Naturalmente il nuovo titolare del fabbricato dovrà rispettare gli impegni e i vincoli di destinazione sulla base dei quali è stato assentito l’intervento.

La specialità di tale previsione risiede nel fatto che essa consente di realizzare, nel limiti delle suindicate destinazioni, interventi di ristrutturazione urbanistica o edilizia o di demolizione e ricostruzione in deroga allo strumento urbanistico, prevedendo addirittura un incremento di volumetria o della superficie lorda esistente  fino ad un massimo del 20 per cento. Restano tuttavia escluse, dall’applicazione di tale norma, gli interventi nelle zone a destinazione rurale.

Tale disposizione consente di superare non solo i vincoli di destinazione previsti dallo strumento urbanistico, ma anche quelli di carattere procedimentale, escludendo, ad esempio,  la necessità di esecuzione di interventi mediante l’adozione di piani attuativi (con ciò consentendo, tra l’altro, di superare alcuni irrigidimenti introdotti dal Decreto Semplificazioni per tale genere di interventi, ex art. 3, co. 1, lett. d) e art. 2-bis, come appunto da ultimo novellati).

Le uniche limitazioni attengono alle previsioni del Codice dei Beni culturali e del paesaggio di cui al D.lgs 42/2004 nonché alle previsioni di cui al decreto 2 aprile 1968 n. 1444: quest’ultimo richiamo limita almeno in parte l’ampia libertà riconosciuta dal comma 7 ter, atteso che subordina gli interventi al rispetto dei limiti di densità edilizia, di altezza e di distanze previsti nel citato dm 1444/1968.

Attesa la sua “specialità”, tale regime è necessariamente limitato temporalmente, applicandosi alle opere che verranno iniziate (si noti che il riferimento è all’attività edilizia “materiale” e non alla mera presentazione della SCIA) entro il 31.12.2022. Inoltre, i diritti edificatori acquisiti in forza di tale disposizione non possono essere trasferiti su altre aree diverse da quelle oggetto dell’intervento assentito.

L’esecuzione degli interventi previsti di tale disposizione rimane subordinata al “controllo pubblico”: il che sottintende che la loro realizzazione verrà accompagnata da una convenzione o quantomeno da un atto di obbligo che, oltre a vincolare la destinazione dell’immobile, potrà spingersi a regolamentarne l’uso del bene stesso.

Tale disposizione, stante il suo carattere generale, impone alle Regioni di adeguare la propria legislazione a quanto ivi stabilito entro il termine di 60 giorni, decorsi i quali essa troverà diretta applicazione: pertanto, se nei sessanta giorni successivi all’entrata in vigore, le Regioni non avranno provveduto, sarà possibile procedere direttamente  sulla base di quanto previsto dal citato comma 7 ter.