Il legittimo rifiuto del committente di versare il saldo dell’appalto
In ambito di appalti privati riguardanti l’esecuzione dei lavori edilizi, il committente che ritiene che i lavori non siano stati eseguiti in modo corretto o che presentino vizi e difetti, può legittimamente rifiutarsi di pagare il saldo all’impresa esecutrice, indipendentemente dai rimedi di cui agli art. 1667, 1668 e 1669 c.c., ricorrendo allo strumento dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c..
Come noto, in materia di appalti privati, qualora l’opera eseguita presenti vizi o difetti, il committente può esperire nei confronti dell’appaltatore le azioni di cui agli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c.: tuttavia tali azioni sono subordinate al rispetto di specifici termini sia in relazione alla denuncia dei vizi, sia in relazione all’avvio delle azioni giudiziarie.
Nel caso in cui siano esauriti i termini di cui ai citati art. 1667, 1668 e 1669 c.c., non essendo state effettuate le denunce o avviate le relative azioni, il committente che si ritiene comunque danneggiato dall’attività dell’appaltatore e che comunque ritiene che l’appaltatore sia rimasto inadempiente, può esso stesso legittimamente rifiutarsi di pagare il saldo, ricorrendo all’eccezione di inadempimento ex art. 1460.
Si tratta di una strumento giuridico di “autotutela” che, nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, consente, a fronte di un inadempimento, di rifiutarsi di svolgere la propria controprestazione.
Naturalmente, un tale strumento deve essere esercitato nei rispetto dei principi di buona fede, affinchè non si trasformi in uno mezzo pretestuoso per eludere le proprie obbligazioni: in questo contesto, vi deve essere un’effettiva proporzionalità fra i due inadempimenti.
Trattandosi di un istituto giuridico di carattere generale, l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. è applicabile anche in tema di appalto: come insegna la giurisprudenza, “In tema di appalto, il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all’eliminazione dei vizi dell’opera, invocando l’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 cod. civ., in quanto istituto di applicazione generale in materia di contratti a prestazioni corrispettive (Cass. Civ. sez. VI, 26.11.2013 n. 26365).
L’eccezione d’inadempimento ex art. 1460 c.c., costituendo un principio generale in materia di contratti, prescinde dalle speciali prescrizioni e decadenze di cui agli art. 1667, 1668 e 1669 c.c. in materia di appalti e pertanto, operando su un piano strettamente contrattuale, svolge la sua efficacia “paralizzante” della pretesa creditoria avanzata dall’appaltatore, indipendentemente da quanto prescritto dai citati articoli 1667 e ss..
Come insegna la giurisprudenza “In tema di inadempimento del contratto di appalto le disposizioni speciali di cui agli art. 1667, 1668, 1669 ss. c.c. integrano – senza escluderne l’applicazione – i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni e di responsabilità comune dell’appaltatore che si applicano in assenza dei presupposti per la garanzia per vizi e difformità prevista nel caso in cui l’opera completata sia realizzata in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche. Ne consegue che il committente, convenuto per il pagamento, può – al fine di paralizzare la pretesa avversaria – opporre le difformità e i vizi dell’opera, in virtù del principio inadempimenti non est adimplendum, richiamato dal secondo periodo dell’ultimo comma dell’art. 1667 c.c., anche quando non abbia proposto in via riconvenzionale la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta” (Cassazione civile sez. II, 17/05/2004, n.9333)