Inibizione della SCIA: il termine ex art. 19 L. 241/90 è perentorio (e con il D.L. semplificazioni “di più”?)

L’art. 19, co. 3  L. 241/90 prevede che, ricevuta una SCIA, la P.A. possa provvedere alla sua “inibizione” entro il termine di 60 giorni (o 30 in caso di SCIA edilizia in base al co. 6-bis).

Sempre più la giurisprudenza si è orientata nel ritenere che tale termine sia perentorio e che, quindi, superato lo stesso residui solo la possibilità di intervenire in presenza dei requisiti per l’autotutela di cui all’art. 21-nonies L. 241/90.

Così, ad esempio, con la recente sentenza del TAR Lazio, Sez. II-bis, 18.8.2020. n. 9248, il giudice amministrativo ha ritenuto violativo dell’art. 19, co. 6-bis il provvedimento con cui Roma Capitale, ricevuta una SCIA per un intervento di rigenerazione urbana ex L.R. 7/2017, ha inibito la stessa oltre il termine di 30 giorni.

In particolare, il TAR ha rilevato l’illegittimità del provvedimento di inibizione della SCIA adottato “dopo aver fatto scadere invano il termine di 30 giorni stabilito dalla legge per rilevare la carenza dei requisiti e dei presupposti per l’integrazione della fattispecie di cui alla SCIA presentata per il cambio di destinazione, abbia solo tardivamente ingiunto ai ricorrenti di non effettuare i lavori (peraltro già terminati), pretendendo di comunicare loro anche la mancanza di efficacia del titolo comunque formatosi e l’archiviazione dell’intera pratica, senza aver in alcun modo dato inizio ad un procedimento di “autotutela”, e senza alcun avviso, necessario, invece, nel caso de quo“.

La regola, ormai pacifica in giurisprudenza, è peraltro stata anche “rinforzata” dal D.L. semplificazioni (in corso di conversione in questi giorni), laddove, è stato introdotto il nuovo co. 8-bis dell’art. 2 della L. 241/90, in base al quale:

(….)  i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attivita’ e di rimozione degli eventuali effetti, di cui all’articolo 19, comma 3 e 6-bis, adottati dopo la scadenza dei termini ivi previsti, sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall’articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni.”;

A prima lettura – ed al netto di quanto potrà accadere in sede di conversione in legge del D.L. semplificazioni – la norma suscita l’interrogativo circa la automaticità, o meno, della sanzione di inefficacia: in particolare, si pone, in astratto, l’interrogativo se, ricevuta un provvedimento “tardivo” della PA, di inibizione di una SCIA, il privato possa considerare lo stesso come non produttivo di effetti e, ad esempio, contestare l’atto inibitorio tardivo anche oltre i 60 giorni (termine per ricorrere al TAR) in sede di impugnazione dell’eventuale provvedimento ripristinatorio adottato sulla base dell’atto “inefficace” stesso.

Ovviamente, nell’incertezza della norma e dei suoi effetti, l’approccio migliore è sempre quello prudenziale, che suggerisce una “normale” impugnativa del provvedimento inibitorio adottato oltre i termini ex art. 19, co. 3 e 6-bis L. 241/90, ciò con la consapevolezza (ed il vantaggio, per il privato) di una ancor più rafforzata tutela (costituita dalla espressa sanzione di “inefficacia”) a fronte di atti inibitori tardivi.