Art. 6 L.R. Lazio 7/2017 sulla rigenerazione urbana: il TAR Lazio conferma la lettura restrittiva.
Con una recente sentenza il TAR Lazio torna sulla questione della verifica dei presupposti per poter accedere ai benefici e alle deroghe ex art. 6 L.R. 7/2017 sulla rigenerazione urbana, e lo fa confermando un proprio (criticabile, come ribadiremo) orientamento restrittivo.
Si tratta della recente sentenza della Sez. II stralcio 25.6.2024, n. 12818
I. La vicenda.
Era stato richiesto, ex art. 6 L.R. 7/2017, un permesso di costruire per un intervento di demolizione e ricostruzione di un immobile residenziale, ricadente in Carta per la Qualità (“Morfologie degli Impianti Urbani moderni, comprensori a carattere estensivo, di case unifamiliari isolate o aggregate”).
Roma Capitale disponeva l’annullamento in autotutela del permesso di costruire stesso sulla base di alcuni presupposti che, per semplicità di esposizione, possono essere così riassunti:
- l’intervento si pone in contrasto con l’art. 16 delle NTA PRG, il quale, per tale immobile, ricadente in Carta per la Qualità, non ammette l’intervento di demolizione e ricostruzione;
- conseguentemente, l’intervento non conseguirebbe alcun obiettivo di miglioramento edilizio-urbanistico, per come indicato dalla medesima Carta per la Qualità;
- l’intervento sarebbe non in linea con le finalità di cui all’art. 1 L.R. 7/2017 poiché “- l’edificio non risulta ubicato in un territorio soggetto a situazioni di disagio o degrado sociale ed economico; – non limita, ma aumenta di contro il consumo del suolo; – [l’intervento] non aumenta, ma diminuisce di contro le dotazioni territoriali di aree pubbliche; – non è promosso, pertanto, alcun intervento finalizzato ad una razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente; per queste ragioni, l’intervento non sarebbe ammissibile”.
II. La decisione del TAR: ribadita la necessità di verificare le condizioni di degrado dell’area ove insiste l’immobile.
La sentenza ha rigettato il ricorso.
In particolare, nel ragionamento del Giudice Amministrativo, decisiva rilevanza hanno avuto i principi già indicati dalla precedente sentenza della Sez. II-bis, 27.12.2022, n. 17543 (che in precedenza abbiamo già ampiamente commentato).
Nello specifico, tale decisione è stata richiamata per ribadire il principio – torniamo a ripetere: del tutto errato e disancorato dal contesto dell’art. 6 L.R. 7/2017 – per cui nel vagliare il perseguimento, o meno, delle finalità di rigenerazione del singolo intervento diretto sarebbe essenziale che l’immobile ricada in aree urbane o degradate.
Sulla base di questo assunto, il TAR ritiene corretta la valutazione negativa della Sovrintendenza capitolina in merito alla “assenza di uno dei presupposti per la rigenerazione urbana (ossia che l’immobile ricada in zona degradata, non che l’immobile in quanto tale sia degradato, circostanza che ne consentirebbe il recupero per le vie ordinarie, non con l’aumento della volumetria)“.
III. Rilievi critici
Benché la decisione sviluppi anche altri profili (che qui non esamineremo), il punto nodale – e di rilevanza “generale” ai fini dell’interpretazione dell’art. 6 L.R. 7/2017 – attiene alla necessità, sostenuta dal TAR nella pronuncia in esame così come nella precedente decisione del 2022, che gli interventi diretti presuppongano una valutazione delle condizioni di degrado del contesto urbano nel quale si inserisce l’intervento.
Come abbiamo già osservato commentando la sentenza n. 17543/2022, tale affermazione di principio è del tutto errata e slegata dal dato normativo.
Infatti, un conto sono gli “ambiti” di rigenerazione urbana che i Comuni possono perimetrare ai sensi dell’art. 3 della L.R. 7/2017 sulla rigenerazione urbana (con un atto di carattere generale e sostanzialmente pianificatorio), altro sono gli interventi diretti ex art. 6, i quali richiedono la verifica del perseguimento anche di una sola delle finalità ex art. 1 della medesima Legge.
E tra queste finalità, lo ricordiamo, il recupero e la riqualificazione del singolo immobile è di per sé (potenzialmente) sufficiente a consentire l’accesso alle deroghe e premialità ex art. 6 L.R. 7/2017: infatti, l’art. 1, co. 1, lett. b) pone la finalità di “riqualificazione delle aree urbane degradate” su un piano autonomo e alternativo rispetto a quello di recupero di “complessi edilizi e di edifici in stato di degrado o di abbandono o dismessi o inutilizzati o in via di dismissione o da rilocalizzare”.
Sul punto si è espressa ripetutamente – in armonia col dettato normativo – anche la Regione Lazio la quale ha ribadito che i presupposti e le finalità ex art. 1 (cui rinvia l’art. 6, laddove impone il perseguimento “di una o più delle finalità di cui all’articolo 1″) “si palesano, secondo la formulazione della norma, come tra di loro alternative, non dovendo quindi esse ricorrere tutte contemporaneamente; per giustificare un intervento può quindi essere sufficiente, sempre se il comune lo valuti opportuno, anche una sola di tali condizioni, pur in assenza delle altre (…)” (così ad esempio il recente parere regionale del 15 maggio scorso).
Peraltro, lo si evidenzia, la prospettiva qui sostenuta (in aperta critica all’interpretazione che il TAR Lazio continua a fornire) non esclude il permanere dello spazio di discrezionalità (che la L.R. 7/2017 sulla rigenerazione urbana colpevolmente non perimetra in alcun modo: da qui molti degli equivoci e delle incertezze legate all’applicazione della normativa laziale sulla rigenerazione urbana) da parte dell’Amministrazione comunale.
Discrezionalità, che tuttavia, riteniamo non possa arrivare al punto da consentire, pratica edilizia per pratica edilizia, una valutazione circa il ricorrere di una condizione, quella di degrado urbano/sociale, che non può che implicare un atto “urbanistico” a monte (previsto per altre fattispecie disciplinate dalla L.R. 7/2017, come il caso dell’art. 3, impropriamente richiamato dal TAR Lazio nella decisione 17543/2022).