La retrocessione dei beni espropriati
Gli articoli 46, 47 e 48 del d.P.R. 327/2001 disciplinano la retrocessione del bene espropriato: nel caso in cui non sia stata più realizzata l’opera pubblica per la quale era stato precedentemente disposto l’esproprio di una determinata area, il soggetto espropriato può richiederne la restituzione.
Entrando nello specifico, l’art. 46 disciplina il caso della “retrocessione totale”, che si verifica nel caso in cui l’opera pubblica per la quale era stato disposto l’esproprio dell’area, non è stata poi minimamente eseguita. L’art. 47, invece, disciplina il caso della “retrocessione parziale” che, differentemente dalla precedente, si verifica nel caso che l’opera pubblica sia stata eseguita solo parzialmente. Dunque, la retrocessione totale presuppone che il bene espropriato non è stato oggetto o non è più utilizzabile per l’opera alla cui realizzazione lo stesso era stato destinato dalla dichiarazione di pubblica utilità. Nel caso di retrocessione parziale, invece, l’intervento che ha giustificato l’esproprio è stato effettivamente realizzato ma l’inutilizzazione del terreno potrebbe essere solo temporanea o comunque superabile
La giurisprudenza ha dunque chiarito che “per la retrocessione totale, viene in rilievo la definitiva inutilità del bene o comunque semplicemente la mancata attuazione dell’intera opera o finalità pubblica, per fattori sopravvenuti, difficoltà attuative o finanche errori di programmazione o di realizzazione, per cui non vi è ragione, ove la parte ne manifesti la volontà, di non restituirle un bene, destinato comunque ad essere inutilizzato, quanto meno per le finalità originarie. Invece per la retrocessione parziale, quale che sia la motivazione del mancato utilizzo, ivi compresa una stigmatizzabile incuria dell’amministrazione procedente, l’intervento complessivo è stato realizzato, per cui per escludere l’asservimento allo stesso della singola porzione, pur all’attualità e/o all’apparenza inutile, ne è necessaria una concreta valutazione da parte della stessa” (Cons. Stato sez. II, 30.3.2020, n.2159).
Lo stesso concetto di “completezza” della realizzazione dell’intervento pubblico, da cui discende la qualificazione come “parziale” o “totale” della retrocessione, si riferisce alla integralità e complessità dello stesso, non alla singola particella del singolo proprietario rimasto completamente estraneo, benché soggetto passivo dell’esproprio originario.
La differenza fra le due fattispecie incide in modo assolutamente rilevante sull’aspettativa del soggetto destinatario dell’esproprio: mentre nell’ipotesi di retrocessione totale, sussiste un vero e proprio diritto soggettivo dell’originario proprietario ad ottenere la restituzione del bene oggetto della procedura ablatoria, nell’ipotesi di retrocessione parziale, invece, la restituzione del bene rimane subordinata alla formale determinazione del soggetto espropriante di inutilizzabilità del bene espropriato per le finalità di cui alla dichiarazione di pubblica utilità.
Si tratta di una valutazione discrezionale che spetta all’amministrazione e che riguarda la effettiva utilità e utilizzabilità del bene espropriato. In tal senso, la dichiarazione di inservibilità, presupposto della retrocessione parziale, presuppone una specifica valutazione sulla effettiva coerenza della nuova destinazione per la quale l’amministrazione intende (ri)utilizzare il bene, rispetto a quella originariamente prevista, per la quale vi era stata una specifica dichiarazione di pubblica utilità. In altre parole, posto che l’esproprio era stato inizialmente disposto per l’esecuzione di una determinata opera, rispondente ad un particolare interesse pubblico, e posto altresì che – per ragioni sopravvenute – tale opera pubblica non è stata più realizzata, l’amministrazione è legittimata a mantenere la proprietà del bene solo se questo è funzionale ed utile ad una nuova opera, che sia comunque “coerente” con quella originariamente prevista: questo perché, come insegna la giurisprudenza, “il mantenimento in mano pubblica dell’area residua può essere giustificato solo in presenza di un suo utilizzo coerente con la destinazione impressa dalla dichiarazione di pubblica utilità” (TAR Lazio, sez. II^, sentenza n. 7413/2015 del 25.5.2015; cfr. anche la sentenza n. 5502 del 31.5.2013).
Deve in tal senso precisarsi che, sebbene la (ri)utilizzazione dell’immobile precedentemente espropriato non richieda una nuova dichiarazione di pubblica utilità, essa deve comunque essere in grado di giustificare il sacrificio imposto al privato nell’ottica di una valutazione contrapposta dell’interesse pubblico e di quello privato: come insegna la giurisprudenza, “Il necessario rapporto di coerenza e di finalizzazione tra la destinazione del bene e la sua espropriazione deve permeare anche la valutazione che l’Amministrazione procedente è chiamata ad effettuare a fronte della richiesta che il soggetto espropriato rivolge al fine di ottenere la retrocessione parziale del bene non utilizzato, potendo il mantenimento in mano pubblica dell’area residua essere giustificato solo in presenza di un suo utilizzo coerente con la destinazione impressa dalla dichiarazione di pubblica utilità” (cfr. TAR Lazio – Roma, sez. II, 14.12.2015, n. 139).
Deve dunque concludersi che, mentre in relazione alla fattispecie della retrocessione totale, sussiste un diritto alla restituzione del bene, nel caso di retrocessione parziale, la restituzione rimane subordinata ad una valutazione dell’amministrazione: valutazione che, anche se assolutamente discrezionale, deve rispettare il principio cardine per cui l’utilizzazione del bene sia quantomeno coerente con la dichiarazione di pubblica utilità che ha giustificato l’esproprio stesso.