L’apolidia è uno status di fatto. Le sentenze che aprono alla cittadinanza

Il tema dell’apolidia rappresenta un aspetto di particolare interesse nell’ambito della tutela dei diritti dello straniero, campo nel quale noi di Legal Team siamo da anni impegnati con specifico riferimento ai procedimenti per la concessione della cittadinanza.

Recenti sentenze della Corte Suprema di Cassazione (cfr. tra le ultime Cass. Sez. I Civ., sent. 16489 del 19.6.2019)  hanno fornito alcuni chiarimenti in relazione alla normativa che disciplina lo status di apolide, con ampi risvolti sia con riferimento alla protezione avverso provvedimenti di espulsione, sia con specifico riguardo al procedimento di concessione della cittadinanza per il residente apolide.

In primo luogo, la sentenza in commento fornisce una definizione di apolidia fondata sull’art. 1 della Convenzione di New York del 28.9.1954 il quale sancisce che è definito apolide “una persona che nessuno Stato considera come suo cittadino per applicazione della sua legislazione”. Questa risulta integrata nel nostro ordinamento mediante l’affermazione del principio che definisce la c.d. apolidia derivativa quale quella condizione in cui versa “colui che si trova in un Paese di cui non è cittadino provenendo da altro Paese del quale ha perso formalmente o sostanzialmente la cittadinanza” (cfr. Cass. SS. UU. Sent, 28873 del 2008).

Quanto ai diritti riconosciuti all’apolide, le fonti applicabili nel nostro ordinamento sono rinvenibili nella già menzionata Convenzione di New York del 28.9.1954 e nel d.lgs. n. 286/1998 (c.d. Testo Unico Immigrazione) ai sensi del cui combinato disposto vige il principio di eguaglianza dei diritti previsti per gli stranieri e per gli apolidi. Ulteriore effetto della suddetta normativa consiste nel fatto che all’apolide sono riconosciuti diritti di rango costituzionale nonché, per quanto di interesse, pari diritti rispetto ai cittadini in materia di assistenza sociale e di soccorsi pubblici (art. 23 Convenzione), la legittimazione ad agire giudizialmente per la tutela dei propri diritti.

L’ordinamento italiano prescrive il riconoscimento dello status di apolidia mediante provvedimento emesso dal Ministero dell’Interno su apposita istanza (cfr. l’art. 17, d.p.r. 12 ottobre 1993, n. 572 (Regolamento di esecuzione della l. 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza), ovvero per via giudiziaria mediante procedimento di cognizione ordinaria (cfr. Cass. SS.UU., sent. 9 dicembre 2008, n. 28873).

La questione ha particolare rilievo in quanto condizionare la fruizione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione di New York del 1959 al riconoscimento dello status di apolide comporterebbe una violazione della convenzione stessa nonché della Costituzione.

Sul punto, di inequivocabile chiarezza è il passaggio della sentenza in commento con cui la stessa ha sancito la natura dichiarativa del provvedimento di riconoscimento dello status di apolidia. Osserva infatti la Suprema Corte, che “Non può non sottolinearsi a tal fine la natura dichiarativa e non costitutiva del riconoscimento giudiziale dello status di apolide (cfr. Cass. civ. sez. I, n. 4823 del 4 maggio 2004). In questa prospettiva, anche quando lo status di apolide non sia stato ancora oggetto di accertamento giudiziale, ma i suoi presupposti sono inequivocamente emersi dalle verifiche amministrative e documentali svolte dalle Autorità competenti, non può non riconoscersi rilievo alla condizione di un soggetto che si trovi in un Paese di cui non è cittadino provenendo da altro Paese del quale ha perso la cittadinanza”.

La pronuncia, oltre a risultare dirimente ai fini del godimento dei diritti sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione di New York a prescindere dall’ottenimento del provvedimento di riconoscimento dello status di apolidia, consente peraltro di ritenersi riconosciuto tale status di fatto ai fini della protezione contro i provvedimenti di espulsione, come dimostra la sentenza richiamata.

Importanti sono inoltre le implicazioni sulla efficacia ex tunc della natura dichiarativa del provvedimento di riconoscimento dello status di apolide. Ad esempio, qualora venga accertato che una persona era apolide già da un decennio o addirittura dalla nascita, lo status dovrà applicarsi retroattivamente dalla data in cui le condizioni si sono verificate.

Ciò ha importanti conseguenze pratiche in relazione all’ottenimento della cittadinanza italiana. Se ad esempio, venisse accertata la decorrenza della condizione di apolidia da più di cinque anni, una eventuale prova della residenza in Italia per lo stesso periodo consentirebbe all’interessato di richiedere la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9 co. 1, lett. e), legge 5 febbraio 1992, n. 91.   Allo stesso modo, qualora venisse accertata la sussistenza dello status di apolide con decorrenza già dalla nascita e l’apolide risulti nato in Italia, lo stesso potrebbe reclamare la cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 1, co. 1, lett. b), legge 5 febbraio 1992, n. 91.

(Cass. Sez. I Civ., sent. 16489 del 19.6.2019)