Lavoro e Covid: è lecito mettere in ferie forzate il lavoratore che rifiuta il vaccino Covid

Con ordinanza del 19/03/2021 il Tribunale di Belluno si è espresso sulla controversa questione delle conseguenze per il dipendente che si rifiuta di vaccinarsi, affermando che l’azienda può legittimamente collocare in ferie tale lavoratore.

Il caso riguarda alcuni dipendenti operanti presso due Rsa, i quali si sono rifiutati di ricevere il vaccino anti-Covid; per tale motivo è stato loro inibito di accedere al luogo di lavoro e sono stati “forzatamente” collocati in ferie.

I dipendenti hanno impugnato i provvedimenti e si sono rivolti al Tribunale con un ricorso d’urgenza, chiedendo la riammissione in servizio. Il giudice ha respinto il loro ricorso, affermando la legittimità (e addirittura la doverosità) del provvedimento delle Rsa di Belluno e Sedico.

Il punto su cui poggia l’ordinanza è il dovere di sicurezza del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti, previsto dall’articolo 2087 c.c.. Si osserva nel provvedimento come sia notorio che il vaccino, prevenendo l’evoluzione negativa della malattia, costituisca misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui ai quali è somministrato, come dimostrano i dati desumibili proprio dall’esperienza fatta tra il personale sanitario e nelle Rsa, oltre che dalle esperienze internazionali di massiccia somministrazione del vaccino.

Considerato quindi che i lavoratori ricorrenti “sono impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro”, con il connesso rischio di essere contagiati, il Tribunale ritiene che la “loro permanenza in servizio comporterebbe per il datore la violazione dell’obbligo di sicurezza”.

Pertanto, secondo il Tribunale di Belluno, il datore di lavoro, nell’inibire l’accesso dei dipendenti che, pur potendolo fare, non si sono vaccinati, ha agito nell’adempimento di un proprio dovere

Resta il fatto che, secondo il giudice, “il datore di lavoro non può consentire l’accesso del dipendente “renitente” al vaccino in un luogo di lavoro dove questi sarebbe esposto al contagio”, in primo luogo a tutela del dipendente stesso, a prescindere dalla (pur prospettabile) necessità di protezione dei colleghi o dei terzi con i quali possa venire in contatto.

La collocazione forzata in ferie può essere una soluzione temporanea, ma prima o poi, se il pericolo di contagio persiste e il lavoratore non cambia idea sul vaccino, il nodo della retribuzione per il dipendente sospeso (e della sua eventuale licenziabilità a lungo andare) inevitabilmente verrà al pettine.

Il problema si porrà certamente se e quando i lavoratori medesimi avranno esaurito il periodo di ferie loro spettante e non si siano ancora sottoposti al vaccino. In questo caso, l’art. 279, comma 2, lett. b), del TU 81/2008 (testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro), stabilisce che, in caso di inidoneità del lavoratore espressa dal medico competente, il datore di lavoro potrebbe disporre l’allontanamento temporaneo del lavoratore.

Infatti il lavoratore, inidoneo alla mansione specifica, può essere adibito ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute e anche a mansioni inferiori, conservando però la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originaria.

Quindi, in presenza di lavoratori non vaccinati, il datore di lavoro dovrebbe, prima di pervenire ad una sospensione o addirittura ad un licenziamento per giusta causa, verificare la possibilità di adibire tale lavoratore a mansioni diverse anche inferiori.