Legge regionale Puglia 13/2001, art. 23, comma 2: la Cassazione solleva questione di legittimità costituzionale su efficacia riserve condizionata a costituzione cauzione.
Con ordinanza 5 gennaio 2021, n. 25, la Corte di Cassazione ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità sull’efficacia delle riserve condizionata alla costituzione di una cauzione di cui all’articolo 23, comma 2, della legge regionale Puglia n. 13/2001 – da leggersi in combinato disposto con quanto statuito dall’articolo 27, comma 3 della legge medesima.
L’art. 23, comma 2, della predetta legge regionale Puglia afferma che “Qualora, a seguito dell’iscrizione delle riserve da parte dell’impresa sui documenti contabili, l’importo economico variasse in aumento rispetto all’importo contrattuale, l’impresa è tenuta alla costituzione di un deposito cauzionale a favore dell’amministrazione pari allo 0,5% dell’importo del maggior costo presunto, a garanzia dei maggiori oneri per l’amministrazione per il collaudo dell’opera. Tale deposito deve essere effettuato in valuta presso la tesoreria dell’ente o polizza fidejussoria assicurativa o bancaria con riportata la causale entro quindici giorni dall’apposizione delle riserve. Decorso tale termine senza il deposito delle somme suddette, l’impresa decade dal diritto di far valere, in qualunque termine e modo, le riserve iscritte sui documenti contabili. Da tale deposito verrà detratta la somma corrisposta al collaudatore e il saldo verrà restituito all’impresa in uno con il saldo dei lavori”.
L’art. 27, comma 3, prevede, invece, che “Le procedure in atto per le opere pubbliche in corso di esecuzione sono adeguate a quelle previste nella presente legge in tutti i casi in cui queste ultime non alterino i rapporti contrattuali in atto tra ente appaltante e impresa”.
Nei fatti, l’appaltatore, nelle more dell’esecuzione, apponeva riserve sui registri contabili, con le quali denunciava inadempimenti contrattuali in capo all’amministrazione – inadempimenti che avevano condotto a ritardi nell’esecuzione delle opere oggetto del contratto di appalto.
Dette riserve, tuttavia, non venivano prese in considerazione dall’amministrazione in quanto, medio tempore, era entrata in vigore la legge regionale Puglia n. 13/2001, il cui articolo 23, comma 2 – da leggersi in combinato disposto con il successivo articolo 27, comma 3 – sottoponeva l’apposizione di riserve ad una condizione, non soddisfatta nella specie (ossia l’obbligo di prestare cauzione entro 15 giorni dalla loro apposizione, pena la decadenza dall’apposizione delle medesime).
Nel giudizio d’appello, l’esecutore lamentava che tale disposizione costituisse una alterazione in suo danno dei rapporti contrattuali originariamente pattuiti – interveniva, infatti, sul quadro normativo, modificando le prescrizioni contenute nel contratto originariamente stipulato. Sennonché la Corte d’Appello rigettava tale interpretazione, limitandosi ad evidenziare – per quanto qui di interesse – che con il termine “alterazione” dovesse intendersi “una modifica delle originarie pattuizioni contrattuali e non anche una mera integrazione delle originarie pattuizioni”.
Per tale motivo, conclude il Collegio, trova luogo “la conseguente applicabilità dell’art. 23, comma secondo, della legge regionale Puglia 11 maggio 2001, n. 13, che prevedeva l’imposizione della cauzione, con conseguente decadenza dell’appellante dal diritto di iscrivere le riserve (…)”.
Giudizio in Cassazione
Il giudizio di legittimità ruota essenzialmente intorno all’interpretazione fornita dalla Corte di Appello – e censurata dall’esecutore – del disposto di cui all’articolo 23, comma 2 legge regionale Puglia n. 13/2001 – da leggersi, come detto, in combinato disposto con il successivo articolo 27, comma 3.
Premessa l’inammissibilità di una clausola con la quale si introducono nel contratto modificazioni in peius per una sola delle parti – ossia la previsione della decadenza dal diritto di iscrivere riserve in assenza della prestazione di cauzione nei 15 giorni successivi detta iscrizione (ciò in ragione dell’importanza delle riserve, elemento essenziale del contratto tanto che viene imposta la forma scritta) – il ricorrente lamenta che, ove l’amministrazione avesse voluto impiegare una simile clausola, non avrebbe dovuto imporre la cauzione.
La decisione della stazione appaltante interviene su un tema (quello delle riserve) che è espressione di una struttura privatistica del rapporto – e non di poteri d’imperio dell’amministrazione – sicché non può applicarsi, secondo il ricorrente, quanto previsto dall’art. 27, comma 3 – disposizione che fa specifico riferimento alle “procedure in atto” (e non ai rapporti di natura privatistica, quale quello in esame, che sono disciplinati dalla norma contrattuale del capitolato d’appalto).
Il fatto di trovarsi dinanzi ad una procedura amministrativa (e non di fronte ad una mera integrazione), conclude il ricorrente, comporterebbe la contrarietà dell’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello non solo ai principi generali di legge – in quanto lo ius superveniens si estenderebbe, accogliendo tale interpretazione, a rapporti già costituiti ed efficaci sulla base di altre disposizioni – ma anche al principio di irretroattività della legge (art. 11 Preleggi) – per cui i contratti andranno interpretati ed eseguiti sulla base della legge vigente al momento della loro stipulazione.
I profili di incostituzionalità rilevati dalla Suprema Corte
Chiarito il quadro fattuale e normativo, è ora possibile esaminare la pronuncia resa dalla Suprema Corte.
Ad avviso della Cassazione, è pacifico che “la questione prospettata importi, innanzi tutto, la necessità di verificare la legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2, della legge regionale Puglia 11 maggio 2001, n. 13, recante “Norme regionali in materia di opere e lavori pubblici”, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione, che stabilisce che lo Stato ha legislazione esclusiva nell’ambito dell’ordinamento civile”.
Invero, la Corte ritiene rilevante la questione di legittimità costituzionale della norma appena richiamata, atteso che il giudice di legittimità dovrà necessariamente servirsene al fine di risolvere la questione oggetto del giudizio e che la decadenza dall’iscrizione delle riserve è stata disposta in applicazione del succitato art. 23, comma 2.
Tale ultimo assunto è motivato dal fatto che l’art. 23 citato è applicabile, come vedremo a breve, al caso in esame, in ragione di quanto specificamente statuito sul punto dall’art. 27, comma 3 della legge regionale Puglia 13/2001 – disposizione, quest’ultima, secondo cui “Le procedure in atto per le opere pubbliche in corso di esecuzione sono adeguate a quelle previste nella presente legge in tutti i casi in cui queste ultime non alterino i rapporti contrattuali in atto tra ente appaltante e impresa”.
In dettaglio, ad avviso della Corte, la questione di costituzionalità non è manifestamente infondata in quanto:
a) i lavori pubblici rientrano “nell’ambito della potestà legislativa esclusiva statale o concorrente, ovvero ancora residuale delle regioni” (come affermato da Corte Costituzionale, 1.10.2003, n. 203);
b) non si configura né una materia riconducibile ai lavori pubblici nazionali né una che possa afferire ai lavori pubblici di interesse regionale: laddove, però, la competenza legislativa sia concorrente o residuale, l’attività legislativa delle Regioni sul punto deve comunque rispettare i principi fondamentali all’uopo ricavabili dal codice civile;
c) poiché, quindi, detta materia (quella degli appalti pubblici) è esercizio di amministrazione attiva e di cura degli interessi pubblici, è pertanto evidente che essa finirà per intrecciarsi, giocoforza, con materie attribuite in via esclusiva alla competenza statale – quali ad esempio l’ordinamento civile con riferimento all’esecuzione dei contratti.
Per tutti questi motivi, concludono i giudici di Piazza Cavour, “ai fini dell’inquadramento delle norme censurate in questa sede nell’ambito materiale del diritto civile indicato dall’art. 117, comma 2, lettera l), Costituzione, deve aversi riguardo al loro contenuto”.
La Corte – nel giungere finalmente al cuore della questione – statuisce che:
1) l’art. 23, comma 2, legge regionale Puglia 13/2001 “è una disposizione che contiene, quindi, profili concernenti l’ordinamento civile che è materia che ricomprende al suo interno la disciplina sulla stipulazione e l’esecuzione dei contratti” – contratti, questi ultimi, che, sebbene caratterizzati da elementi di palese derivazione pubblicistica, conservano in ogni caso la loro originale natura privatistica (e sono quindi, come già detto, disciplinati dalle norme contenute nel codice civile);
2) è pacifico che l’attività contrattuale della pubblica amministrazione ha struttura bifasica: “nella seconda fase, che ha inizio con la stipulazione del contratto, l’amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisce non nell’esercizio di poteri amministrativi, bensì nell’esercizio della propria autonomia negoziale” (cfr. Corte Costituzionale, 23.10.2007, n. 401);
3) dalla sussistenza di un potere di autonomia negoziale – e non, come ci si aspetterebbe da un’amministrazione pubblica, un potere autoritativo – consegue che “la norma censurata, poiché disciplina aspetti afferenti a rapporti che presentano prevalentemente natura privatistica, pur essendo parte di essi una pubblica amministrazione, ed attengono alla fase di esecuzione del contratto, deve essere ascritto all’ambito materiale dell’ordinamento civile”.
Vale infine richiamare quanto affermato in merito dalla Corte Costituzionale, la quale in una recente pronuncia (sentenza del 9.7.2019, n. 166) statuiva che “Le disposizioni dello stesso codice che regolano gli aspetti privatistici della conclusione ed esecuzione del contratto sono invece riconducibili all’ordinamento civile; esse, poi, recano principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e norme fondamentali di riforma economico-sociale“, sicché “è palese che una Regione, nell’esercizio della propria competenza residuale, non può derogare a tassative e ineludibili disposizioni riconducibili a competenze esclusive statali”.
Tanto sopra chiarito e argomentato, la Corte di Cassazione conclude che “la sussistenza di aspetti di specialità, rispetto a quanto previsto dal codice civile, nella disciplina della fase di stipulazione ed esecuzione dei contratti di appalto, non è di ostacolo al riconoscimento della legittimazione statale di cui all’art. 117, comma 3, lettera l), Cost.” – il cui, ovvio, corollario è che “Si tratta, in conclusione, di un ambito di competenza esclusiva dello Stato, poiché viene in rilievo l’esigenza (…) di assicurare (…) l’uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale, della disciplina della fase dell’esecuzione del contratto di appalto”.