Somministrazione: lo svolgimento in un locale separato configura nuova apertura, non ampliamento, e necessita di una nuova SCIA.
Somministrazione: lo svolgimento in un locale separato configura nuova apertura, non ampliamento, e necessita di una nuova SCIA.
Il provvedimento con cui l’amministrazione vieta all’esercente la prosecuzione di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande in un immobile posto nelle immediate vicinanze rispetto al locale provvisto di SCIA se ha presentato una semplice richiesta di ampliamento della superficie è legittimo. I giudici del tribunale amministrativo napoletano hanno ribadito che la SCIA di somministrazione di alimenti e bevande non può essere ampliata quando si è in presenza di due unità immobiliari tra loro indipendenti: per poterla esercitare anche nel secondo immobile è necessario un rilascio del titolo autorizzatorio ex novo. L’approfondimento del caso ci aiuterà a capire nel dettaglio (Anche il TAR Veneto si era pronunciato su un caso simile, Si v. la sez. III, 25.6.2015, n. 725).
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La vicenda: la richiesta di ampliamento della superficie di somministrazione della SCIA
Il ricorrente è il proprietario di una macelleria che, recentemente, aveva presentato una SCIA di somministrazione per alimenti e bevande, ampliando così il proprio tipo di attività. Dato che il locale commerciale si trova in una via “stretta” e molto traffica, l’esercente decide prendere in locazione e utilizzare un locale – a poche decine di metri – per garantire ai clienti di poter sostare in tutta sicurezza.
Il ricorrente comunicava al Comune l’intervenuta locazione e l’uso dell’immobile in questione, chiedendo l’ampliamento della superficie di somministrazione della SCIA. Il Comune, dopo aver riscontrato la comunicazione, l’ha considerata “irricevibile” sia perché non conforme alla modulistica predisposta dall’amministrazione comunale per l’ampliamento della superficie di somministrazione, sia perché non considerava corretto considerare il secondo locale locato come un ampliamento della superficie di somministrazione del locale originario. Il Comune, quindi, dopo aver vagliato la comunicazione, ha disposto il divieto di attività ad horas, senza altra specificazione.
Il ricorrente decide di impugnare il provvedimento del Comune. Le censure lamentate sono numerose: mancanza di comunicazione di avvio del procedimento e violazione delle garanzie di contradditorio imposte dalla legge e assoluto difetto di motivazione ed istruttoria; violazione del principio di proporzionalità ed economicità in quanto il non aver utilizzato il tipico modello predisposto dall’amministrazione non può essere motivo di rigetto della domanda; violazione delle norme che disciplinano la SCIA in quanto il ricorrente – a suo dire – aveva presentato tutta la documentazione e violazione delle disposizioni comunitarie in materia di concorrenza e libera circolazione delle merci in quanto si stava limitando l’esercizio di somministrazione.
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La sentenza del TAR
Il TAR ha ritenuto il ricorso infondato. Partendo dalla presunta violazione del principio di proporzionalità ed economicità con riferimento al modello dell’istanza presentata: la modulistica utilizzata dal ricorrente non era conforme a quella unificata e standardizzata “ai sensi dell’art. 2, co. 1 del D.Lgvo n. 126 del 2016 e in vigore del 30.6.2017 in seguito alla Conferenza Unificata Governo, Regioni ed Enti Locali del 2017”.
A prescindere da questo, il TAR condivide l’orientamento pacifico secondo cui: “E’ legittimo il provvedimento con cui il Comune ha vietato la prosecuzione di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, perché l’esercente svolgeva l’attività, oltre che nel locale originariamente autorizzato, anche in un altro immobile posto nelle immediate vicinanze, diviso dal primo da una pubblica via. Tale divisione fa si che i due esercizi siano ubicati in unità immobiliari tra loro indipendenti, con la conseguenza che non si è in presenza di un ampliamento della superficie di somministrazione dell’originario locale e che, al contempo, anche per il secondo immobile occorre il preventivo rilascio del titolo autorizzatorio” Orbene, come specificato dal TAR, il provvedimento con cui è stato imposto il divieto dell’attività di somministrazione si riferiva al secondo immobile e non all’attività nel suo complesso, motivo per cui si esclude ogni violazione del principio di proporzionalità.
Altresì, ai sensi dell’art. 21 octies della l.n. 241/1990, nonostante vi sia stata una violazione della norma sul procedimento – dato che non vi era stato alcun preavviso di rigetto del provvedimento gravato ex art. 10 bis della legge summenzionata – questo non può comportare mai un annullamento del provvedimento quando: “sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato in concreto” o anche, comunque, quando l’amministrazione “dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, come nel caso concreto.
Alla luce di ciò, il Tribunale ha respinto il ricorso.