Modifica di prospetto: è sempre ristrutturazione edilizia o no?
Un tema spesso discusso è quello del titolo necessario per le modifiche dei prospetti (aperture di porte e finestre, ma anche modifiche di tali elementi).
Il nodo è: si tratta – sempre e comunque – di ristrutturazione edilizia (con necessità di PdC/SCIA alternativa) o si può sostenere – almeno in taluni casi – che si è al cospetto di un intervento minore, riconducibile alla manutenzione straordinaria?
Come noto, sono soggetti a permesso di costruire (o SCIA alternativa ex art. 23, co. 01, DPR 380/2001)
gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni
Alla luce di tale norma la prima impressione che si può (o potrebbe) – anche comprensibilmente – avere è che non ogni mutamento dei prospetti sia tale da determinare una ristrutturazione edilizia, cosicché non ogni apertura/modifica di porte finestre sia da assoggettare a PdC/SCIA alternativa, magari potendo ricondurre tali interventi alla categoria della manutenzione straordinaria. Occorrerebbe, in tale prospettiva, verificare il “risultato complessivo” dell’intervento, ossia appurare se per effetto della modifica del prospetto si pervenga ad un organismo in tutto o in parte diverso dal preesistente.
Ma nella giurisprudenza amministrativa (ma alle medesime conclusioni perviene anche il Giudice Penale) prevale una diversa (più rigorosa) ricostruzione: aperture e modifiche di porte e finestre costituiscono in ogni caso ristrutturazione edilizia e, come tali, sono realizzabili con PdC (o SCIA alternativa).
Ce lo ricorda di recente il TAR Lazio, sez. II-quater, con la sentenza 19.6.2019, n. 7818:
l’apertura di porte e di finestre sul prospetto di un edificio va qualificato – sempre – come intervento di ristrutturazione edilizia comportante modifica dei prospetti, assoggettato (tuttora) al regime del permesso di costruire ex art. 10 primo comma lett. c) del d.P.R. 6 Giugno 2001 n° 380 (cfr: Corte di Cassazione penale, III Sezione, 20 Maggio 2014 n° 30575), non modificato dal decreto legge “Sblocca Italia” 12 Settembre 2014 n° 133 (convertito in legge 11 novembre 2014 n° 164), che (per quanto qui interessa) si limita a ricomprendere nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, di cui all’art. 3 primo comma lett. b) del d.P.R. 6 Giugno 2001 n° 380, quelli (insussistenti nel caso di specie) consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico, purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione di uso.
5.2. E, invero, come chiarito dalla consolidata giurisprudenza anche del Giudice di Appello (Cons. St., n. 3173 del 2016; id. 380 del 2012), l’apertura di porte finestrate e di finestre sul prospetto di un edificio va qualificato – sempre – come intervento di ristrutturazione edilizia comportante modifica dei prospetti, assoggettato (tuttora) al regime del permesso di costruire ex art. 10 primo comma lett. c) del d.P.R. 6 giugno 2001 n° 380 (cfr: Corte di Cassazione penale, III Sezione, n. 30575 del 2014).
L’indicazione della giurisprudenza pare, dunque, tranchant, chiara e tendenzialmente univoca.
Diciamo “tendenzialmente”, in quanto, come segnala attentamente (come sempre) Carlo Pagliai nel suo blog esiste un diverso orientamento più tollerante che sembra valorizzare un’analisi meno aprioristica che guarda, invece, l’intervento nel suo complesso:
la richiamata norma si riferisce a interventi che portino ad un organismo del tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifica della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti. Dal tenore letterale della disposizione (si veda la congiunzione “e”) si evince che non basta una mera modifica dei prospetti, ma occorre, quale elemento indefettibile, che il risultato dell’intervento sia la realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.Orbene, tale diversità ( anche in termini parziali) non risulta sussistere, considerandosi che nella specie un lucernario vi era già e che quello assunto come di nuova realizzazione è stato semplicemente spostato, senza aggiunta di nuove aperture.Di poi, è pacifico che tale intervento non ha assolutamente modificato la consistenza dell’organismo sul quale si è intervenuto, atteso che questo è rimasto una mansarda ( destinata ad uso abitativo, come da condono edilizio rilasciato), con l’esistenza di un’unica apertura sul tetto.
In questi termini si esprime Cons. Stato, Sez. VI, 14.10.2016, n. 4267 (di recente richiamato, peraltro, dalla medesima Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza 4.6.2018, n. 3370).
L’indicazione continua ad essere quella di seguire la via prudenziale e, nella giurisprudenza, amministrativa e penale, prevalente (intervento che incide su prospetto = ristrutturazione edilizia = PdC/SCIA alternativa), fermo restando che per interventi realmente “minori” (es lievi spostamenti/modifiche del “foro esistente”) può – con estrema prudenza – valutarsi la qualificazione come “non ristrutturazione”. Ma, ripetiamo, considerati anche i potenziali effetti penali, è sempre meglio, nel dubbio, abbondare col titolo.