La motivazione rafforzata per gli affidamenti in house per la Corte costituzionale non è gold plating
Per procedere all’affidamento in house di un contratto che abbia ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti devono – ai sensi dell’art. 192, co. 2, del Codice dei contratti pubblici – dare conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato e dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e qualità del servizio e di ottimale impiego delle risorse pubbliche.
Tale previsione, che richiede un onere motivazionale specifico a sostegno della decisione di affidare un servizio in house, anziché bandire una gara di appalto pubblica aperta al mercato, è stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale per violazione del criterio direttivo dettato dalla legge delega (e dunque dell’art. 76 della Costituzione) sul c.d. divieto di gold plating. Infatti, la legge delega in attuazione della quale è stato adottato il Codice dei contratti pubblici prevede il divieto di introduzione o mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive dell’Unione europea in materia (art. 1, co. 1, l. n. 11/2016).
Secondo il TAR che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, l’onere di specifica motivazione delle ragioni del mancato ricorso al mercato non sarebbe previsto dalle direttive e, quindi, violerebbe tale divieto. La Corte costituzionale ha ritenuto tale questione infondata, in quanto l’art. 192, co. 2, del Codice dei contratti pubblici sarebbe espressione di una linea restrittiva del ricorso all’affidamento diretto costante nel nostro ordinamento da oltre dieci anni. Sul punto, la Corte richiama l’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008 sui servizi pubblici locali, che è stato in realtà abrogato dal referendum popolare svoltosi nel 2011 e, dunque, evoca un indice che difficilmente può essere assunto come espressivo di una tendenza dell’ordinamento.
La Corte richiama poi l’art. 34, co. 20, d.l. n. 179/2012, che richiede alle amministrazioni di redigere un’apposita relazione sulle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che dia conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’Unione europea per la forma di affidamento prescelta e che definisca i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e di servizio universale. In effetti, la relazione di cui all’art. 34 è richiesta con riferimento a tutte le tipologie di affidamento e non differenzia, quindi, la gestione in house, considerandola una modalità ordinaria al pari del ricorso al mercato, a differenza della motivazione richiesta dall’art. 192, solo per l’ipotesi di affidamento in house.
D’altro canto, si può ritenere anche che, nel ricondurre l’onere motivazionale in questione a quello di cui all’art. 34, la sentenza in questione ne ammorbidisca in parte quantomeno il valore simbolico, fermo restando che il richiamo alla disciplina dei servizi pubblici locali abrogata con referendum popolare, così come alla giurisprudenza costituzionale che si era formata sulla stessa, risulta poco comprensibile, anche considerando l’orientamento della Corte sull’illegittimità del ripristino da parte del legislatore della normativa abrogata dal referendum stesso (sent. n. 199/2012).