Ancora su Corte Costituzionale 70/2020: dichiarazione di illegittimità costituzionale e potere di autotutela

La già commentata sentenza n. 70/2020 della Corte costituzionale – relativa ad una norma del Piano Casa Puglia – apre un ulteriore delicato interrogativo, concernente i rapporti tra dichiarazione di llegittimità costituzionale e potere di autotutela della P.A.

La questione, essenzialmente, guardando al caso concreto  della L.R. Puglia 14/2009 (ma considerazioni anche più generali sull’argomento), è la seguente: cosa ne è delle SCIA “consolidatesi” per effetto del decorso del tempo? E cosa delle opere realizzate/ultimate in base a tali titoli?

La questione è assai delicata e, come vedremo, non si presta ad una risposta valida per tutte le fattispecie.

Ad ogni modo, di seguito, cercheremo di offrire un quadro generale (necessariamente sommario, anche in ragione del fatto che il tema degli effetti “retroattivi” delle sentenze della Corte costituzionale è assai discusso da dottrina e giurisprudenza).

1. La dichiarazione di illegittimità costituzionale e i suoi effetti retroattivi.

Un primo aspetto da mettere in chiaro – al fine di evitare eccessi di semplificazione –  è che le decisioni della Corte costituzionale che dichiarano l’illegittimità di una norma non sono del tutto prive di effetti – sia pur limitati – retroattivi.

Ossia, detto in altri termini, le sentenze della Corte, nel “rimuovere” una norma dichiarata incostituzionale producono effetti non solo per il futuro (con l’inapplicabilità della norma dichiarata illegittima dal momento dell’adozione della sentenza in poi) ma anche sui rapporti sorti in base alla disposizione oggetto della pronuncia.

Tuttavia, la dichiarazione di illegittimità costituzionale non produce effetti per i cosiddetti rapporti esauriti, ossia per quelle posizioni giuridiche non più suscettibili, per dirla in maniera poco tecnica, di “riesame” di alcun tipo.

Così, ad esempio, in materia tributaria, la Cassazione (Sez. Trib. 20.1.2016, n. 969) ritiene che la dichiarazione di illegittimità di un tributo non escluda il diritto del contribuente di esigere la restituzione di quanto versato in base ad una norma successivamente “annullata” dalla Corte Costituzionale e ciò fintanto che non sia decorso il termine di prescrizione per avviare l’azione di recupero. In tal caso, quindi, è il termine di prescrizione che consente di qualificare il rappporto come “esaurito” o meno.

Peraltro, la Corte costituzionale, proprio in materia tributaria, con la sentenza 10/2015 ha ritenuto di poter – per ragioni connesse agli equilibri del bilancio dell Stato – di limitare in maniera espressa gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità, espressamente statuendo, in sede di di pronuncia di “annullamento” di alcuine norme tributaria,  che l’effetto della decisione si produceva  “a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di questa sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica”.

2. Potere di autotutela ed “esaurimento del rapporto

Veniamo, quindi, al tema di nostro interesse: la Corte ha dichiarato l’illegittimità di una norma della L.R. Puglia 14/2009, in base alla quale molti Comuni avevano assentito – tramite il meccanismo abilitativo della SCIA – numerosi interventi edilizi di demo-ricostruzione con amplianento e modifiche planovolumetriche.

Come sappiamo, a fronte di una SCIA, la P.A. ha il potere di intervenire, una volta decorso il termine di 30 gg., entro 18 mesi, in presenza di un profilo di illegittimità (contrasto con una norma di legge) e con un attento bilanciamento tra interesse pubblico, decorso del termine e affidamento ingeneratosi nel soggetto che ha presentato la SCIA stessa (secondo i parametri dell’art. 21-nonies L. n. 241/90, a cui rinvia, a sua volta, l’art. 19 della medesima legge).

Dunque, in tale prospettiva può affermarsi che – fintanto che non sia decorso il termine di 18 mesi dall’ottenimento del titolo (o, meglio, della presentazione della SCIA nel nostro caso) – il rapporto non possa dirsi “esaurito“.

Sicché, ben si comprende come non è affatto escluso a priori che la P.A. possa “tornare sui propri passi”.

Ciò vale anche in caso di provvedimenti o SCIA originariamente conformi ad una norma di legge che, successivamente (ed entro il termine di 18 mesi suddetto), sia stata dichiarata incostituzionale?

Secondo la giurisprudenza amministrativa, si.

Infatti, “quando la Pubblica amministrazione assiste alla sopravvenienza di una dichiarazione di incostituzionalità di una norma sulla base della quale abbia in precedenza adottato un atto amministrativo, vi potrebbe essere una valutazione da parte dell’amministrazione procedente dell’impatto della pronuncia costituzionale sull’atto amministrativo ai fini dell’esercizio dei poteri di autotutela” (Cons. Stato n. 1862/2015).

E, proprio sulla base di tale principio, di recente il TAR Molise ha avuto modo di ritenere legittimo un provvedimento di autotutela con il quale un Comune – a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionaledi una norma del Piano Casa molisano relativa alla deroga alle distanze ex D.M. 1444/1968 – aveva annullato in autotutela un titolo edilizio formatosi tacitamente.

Infatti, “la ricorrenza di una ipotesi di illegittimità sopravvenuta del provvedimento tacitamente formatosi, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma regionale che aveva previsto la deroga alla disciplina di principio sulle distanze contenute nell’art. 9 del DM 1444/1968, non preclude l’esercizio del potere di annullamento officioso da parte del Comune” (sent. n. 4/2018).

 

3. Autotutela possibile, quando?

Appurato che a fronte della dichiarazione di illegittimità costituzionale non è precluso  alla P.A. intervenire in autotutela (così come, si noti, non è nemmeno imposto di intervenire con l’annullamento), tentiamo di individuare – per sommi capi e senza pretesa in questa sede di individuare soluzioni o regole “rigide” – i confini di questo potere di annullamento d’ufficio.

Il punto di partenza sono i criteri offerti dall’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/90:

a) sussistenza di “ragioni di interesse pubblico”;

b) ragionevolezza del termine, “comunque non superiore a diciotto mesi” 

c) necessità di tenere conto “degli interessi dei destinatari e dei controinteressati“.

Come ben chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, i presupposti ex art. 21-nonies L. n. 241/90, che riguardano un potere ampiamente discrezionale (l’autotutela, in linea di principio e salvo ipotesi speciali, non è un atto “doveroso”) , devono essere valutati dalla P.A. con attenta valutazione di ciascuno specifico caso, dovendo, ad esempio, valutare l’effettivo interesse pubblico connesso alla violazione di legge prodottasi, il lasso temporale decorso (nel limite massimo di 18 mesi) e, infine, il bilanciamento di interessi di destinatari (il soggetto che si avvantaggia della SCIA, nel nostro caso) e dei controinteressati (chi, ad esempio, sia stato leso dall’intervento).

Occorre – in estrema sintesi – bilanciare l’interesse pubblico (alla legalità da ripristinare) con il legittimo affidamento del privato.

In altre parole, “si impone una valutazione via via più accorta fra l’interesse pubblico al ritiro dell’atto illegittimo ed il complesso degli altri interessi rilevanti ,quali, in primis, quello del destinatario del provvedimento invalido” (TAR Toscana n. 1467/2017).

E’ così chiaro – in linea di principio – che un conto sarà, ad esempio, intervenire su una SCIA “recente”, relativa ad un intervento in fase embrionale di cantiere, altro annullare una SCIA da tempo consolidatasi e con un intervento ultimato.