L’art. 6 L.R. Lazio 7/2017 sulla rigenerazione urbana prevede una “deroga condizionata”?
L’art. 6 della L.R. Lazio 7/2017 sulla rigenerazione urbana prevede una “deroga condizionata”?
La tesi – come vedremo – era già emersa e una recente modifica normativa (L.R. 1/2020) suggerisce una ulteriore riflessione.
Procediamo con ordine.
Questo il testo originario dell’art. 6, co. 1:
Per le finalità di cui all’articolo 1, previa acquisizione di idoneo titolo abilitativo di cui al d.p.r. 380/2001, sono sempre consentiti interventi di ristrutturazione edilizia o interventi di demolizione e ricostruzione con incremento fino a un massimo del 20 per cento della volumetria o della superficie lorda esistente ad eccezione degli edifici produttivi per i quali l’incremento massimo consentito non può superare il 10 per cento della superficie coperta
Fino ad oggi, stante tale dato normativo – e salvo un passaggio, su cui torneremo, di un parere regionale che avevamo già segnalato – la disposizione a nostro avviso era da interpretarsi nel senso che l’inciso iniziale “per le finalità di cui all’art. 1” non rappresentaaaw una “condizione” per poter beneficiare delle deroghe e premialità di cui all’art. 6 della L.R. 7/2017, ma solo un rinvio “formale” alle finalità della legge (come spesso accade nei testi legislativi).
Detto in modo più diretto: nessun onere di dimostrazione e nessun potere discrezionale dovrebbe sussistere in capo alla P.A. in sede di esame di una pratica edilizia di rigenerazione urbana ex art. 6.
D’altra parte, nella “Circolare regionale” , nessuna indicazione diversa era stata offerta.
Inoltre, nella D.G.R. recante indicazioni ai Comuni per l’attuazione della L.R. 7/2017, la Regione aveva sottolineato che:
gli interventi da tale norma previsti [art. 6], pertanto, potranno essere attuati direttamente e senza che occorra alcuna forma di regolamentazione dell’istituto da parte del comune. La relativa disciplina è infatti interamente e compiutamente contenuta nell’art. 6 ed è ad essa sola che occorre fare riferimento per l’attuazione degli interventi.
Tuttavia, come accennato, la Regione in un recente parere aveva invece asserito che:
tali interventi di cui all’art. 6, comma 1, sono strettamente funzionali a realizzare le finalità della stessa l.r. 7/2017, e dunque devono rispettare e concretizzare i fini previsti dall’art. 1, comma 1, lettere da a) a a g), che devono essere oggetto di apposita verifica in sede di rilascio del titolo abilitativo o di controllo dei titoli presentati. La legge infatti non concede premialità a prescindere, ma mira ad incentivare la riqualificazione del patrimonio edilizio attraverso interventi di demolizione dell’esistente al fine della ricostruzione di edifici che siano di qualità progettuale superiore, a norma di legge ed armomincamente inseriti nel contesto architettonico e paesaggistico in cui si trovano”
Con la L.R. 1/2020 l’art. 6, co. 1, è stato modificando, prevedendo che:
Per il perseguimento di una o più delle finalità di cui all’articolo 1, previa acquisizione di idoneo titolo abilitativo di cui al d.p.r. 380/2001, sono sempre consentiti interventi di ristrutturazione edilizia o interventi di demolizione e ricostruzione con incremento fino a un massimo del 20 per cento della volumetria o della superficie lorda esistente ad eccezione degli edifici produttivi per i quali l’incremento massimo consentito non può superare il 10 per cento della superficie coperta.
Quale è la logica di tale modifica? Può veramente ritenersi confermato che la norma prevede una “deroga condizionata”?
L’introduzione dell’espressione “perseguimento” delle finalità, con la precisazione che è sufficiente che ne sia perseguita almeno una, apre le porte alla tesi (che continuiamo tuttavia a non condividere, non foss’altro per il portato sistematicamente non convincente, di cui diremo a breve) avanzata dalla Regione nel parere prima citato, ossia che le deroghe al PRG sono sì “sempre” possibili, ma alla condizione che l’intervento – in concreto – persegua almeno una delle finalità ex art. 1.
E ciò con l’altrettanta ovvia conseguenza che tale finalità sia (o tali finalità siano) dichiarata e “dimostrata”, lato soggetto istante, e giudicata idonea dal Comune.
Come detto, la tesi non ci convince.
E ciò non tanto per l’astratta possibilità per il legislatore di prevedere ipotesi di titoli edilizi – anche in deroga – subordinate a determinate condizioni suscettibili di valutazione, quanto, piuttosto, perché l’esame delle finalità perseguite dalla L.R. 7/2017 è tale per cui la verifica di rispondenza in concreto di ogni singola pratica edilizia a dette finalità sconfinerebbe in un livello di discrezionalità ontologicamente incompatibile con il procedimento abilitativo edilizio (che, in linea di principio, ha natura vincolata e non discrezionale).
Nè la modifica – ulteriore e parallela – dell’art. 1, co. 1, – dove si enuncia, oggi, che, la legge “detta disposizioni finalizzate al perseguimento, attraverso la realizzazione degli interventi previsti dalla presente legge, di una o più delle finalità sotto elencate” – pare sufficiente a giustificare tale interpretazione.
Tuttavia, è innegabile, che l’intervento normativo potrà essere letto in tal senso.
Ciò con conseguenze, come accennato, assai problematiche in punto di “discrezionalizzazione” dell’ammissibilità degli interventi ex art. 6.
Come potrà un tecnico asseverare (addirittura in una SCIA, destinata a consolidarsi tramite l’inerzia della P.A.), peraltro con le conseguenti responsabilità, che una data trasformazione (ristrutturazione edilizia ovvero demo-ricostruzione con ampliamento) è idonea a raggiungere una delle finalità espresse perlopiù in termini generali dall’art. 1, comma 1? E, ancora, in base a quali criteri lo Sportello Unico per l’Edilizia valuterà se il progetto di trasformazione è in linea con la finalità predetta?
In altre parole, l’effetto paradossale di tale modifica (o, a monte, dell’interpretazione della norma, anche a prescindere di tale modifica) potrebbe essere quello di condurre la realizzabilità degli interventi diretti nella “giurisdizione” della discrezionalità degli uffici tecnici. I quali, peraltro, non hanno a disposizione alcuno strumento – ossia: linee guida e/o riferimenti normativi vincolanti – per compiere tale “giudizio”.
La norma, così interpretata, susciterebbe seri dubbi di legittimità ( e ragionevolezza).
Se l’intento era quello di sottoporre ad una condizione “funzionale” gli interventi in deroga ex art. 6, probabilmente la migliore soluzione sarebbe stata quella di prevedere parametri normativi rigidi per le verifiche di competenza degli uffici o, in alternativa, rimettere ad un atto amministrativo generale del Comune l’individuazione di (ripetiamo: precisi e puntuali) criteri di verifica.
E ciò non solo per orientare chi deve “giudicare” (lo SUE) ma anche per mettere in condizione i privati ed i tecnici che li assistono di presentare progetti nella consapevolezza (certezza) di cosa occorra per vederseli approvare.
Il rischio che vi è all’orizzonte, purtroppo, è quello di un ulteriore freno all’applicazione dell’art. 6 della L.R. 7/2017. E ciò proprio in un momento in cui invece, per la contingente crisi legata al Covid-19, sarebbe necessario facilitare le operazioni di rigenerazione edilizia ed urbana, anzichè creare le condizioni per un potenziale aumento della conflittualità – e del contenzioso – tra privati e P.A.