Contratti pubblici: la Cassazione chiarisce il tema della decorrenza degli interessi sulle riserve
Come si qualificano le riserve iscritte a margine della contabilità in un appalto pubblico? Da che momento cominciano a decorrere gli interessi connessi alle riserve medesime?
Questi i quesiti oggetto di una recente pronuncia della Corte di Cassazione.
Nel caso di specie, l’appaltatore domandava che gli venisse riconosciuta la complessiva somma di € 4.087.837,92 a titolo di riserve iscritte in contabilità, relative all’appalto per la ristrutturazione di uno stabile di proprietà di un comune (somma a cui andavano aggiunti la rivalutazione monetaria e gli interessi, ai sensi dell’art. 1283 c.c.).
All’esito del giudizio di primo grado, tuttavia, il Tribunale – facendo proprie le conclusioni raggiunte dal CTU (conclusioni che non venivano contestate dalle parti in causa) – riconosceva all’appaltatore la minor somma di € 662.324,00.
Sono due i punti maggiormente controversi nella fattispecie in esame: l’applicabilità (o meno), al caso di specie, del dettato di cui all’art. 30, D.M. 145/2000 nonché di quanto statuito dal d.lgs. 231/2002.
In sede d’appello promosso dall’appaltatore, la Corte d’Appello confermava parzialmente la pronuncia resa in primo grado, affermando in primo luogo che nel caso di specie non erano dovuti gli interessi moratori (di cui all’art. 30, D.M. 145/2000) in ragione del fatto che il Capitolato speciale d’appalto non faceva alcun riferimento al Capitolato generale dello Stato (il quale prevede espressamente la debenza dei succitati interessi).
Tanto premesso, prosegue il Collegio, non è applicabile il dettato di cui al d.lgs. 231/2002, sia perché trattasi di testo normativo entrato in vigore in un momento successivo alla data di stipula del contratto, sia perché le somme di cui veniva richiesto il pagamento rientravano nel novero dei crediti risarcitori relativi all’esecuzione di opere non ricomprese negli accordi originariamente presi dal committente e dall’appaltatore.
Sotto un ulteriore profilo (ossia per quel che riguarda la qualificazione del credito come obbligazione risarcitoria di valore ed in merito al cumulo tra rivalutazione monetaria ed interessi ai sensi dell’art. 1283 c.c.), vale rilevare come il pagamento delle somme derivanti dall’iscrizione di riserve non è imputabile ad un inadempimento: detto pagamento, infatti, si fonda sulla circostanza che finalità della riserva è l’iscrizione nella contabilità di cantiere di circostanze da cui sono derivate spese ulteriori per l’esecuzione dell’appalto (maggiori rispetto a quelle originariamente previste).
Ne deriva, pertanto, che le somme oggetto di riserva riguardano costi per la realizzazione dell’opera che non derivano da un inadempimento contrattuale e non sono forieri, dunque, di risarcimento del danno.
Fermo quanto sopra, in tema di interessi la Corte ha rilevato che “gli interessi dovuti per ogni anno successivo siano computati sulla somma dovuta per capitale maggiorato degli interessi maturati nell’anno precedente, atteso che, ai sensi dell’art. 1283 c.c., gli interessi scaduti possono produrre interessi dal giorno della domanda giudiziale”.
La controversia viene, quindi, portata all’attenzione della Suprema Corte.
Il Collegio investito della questione ha ritenuto infondato il ricorso proposto. In estrema sintesi, il Supremo Collegio evidenzia che:
- l’oggetto delle riserve iscritte dall’appaltatore riguardava lavori extra contratto, ossia opere necessarie al compimento dei lavori a regola d’arte. Per tale ragione, le riserve apposte non erano riconducibili a inadempimenti imputabili alla stazione appaltante, tali dunque da determinare la sussistenza di un debito risarcitorio di valore; al più, dall’iscrizione di tali riserve deriverebbe l’obbligo, per l’amministrazione appaltante, di corrispondere un compenso aggiuntivo in favore dell’esecutore dei lavori;
- per quel che riguarda gli interessi (o meglio, il pagamento degli stessi), la Corte ha precisato come il soggetto che ne richiede il pagamento abbia l’onere di formulare una idonea costituzione in mora (circostanza che, nel caso di specie, non è avvenuta, allorché – come evidenziato dalla Corte d’Appello – la diffida inviata dall’appaltatore era del tutto generica, tale da non consentire di comprendere a cosa essa si riferisse), sicché era corretto far decorrere gli interessi dal momento della presentazione della domanda giudiziale.
In conclusione, la Suprema Corte ricorda come, per quel che riguarda gli appalti di opere pubbliche, “la riserva della quale l’appaltatore è onerato al fine di evitare la decadenza da domande di ulteriori compensi, indennizzi e risarcimenti, richiesti in dipendenza dello svolgimento del collaudo, non assurge ad atto di costituzione in mora, con la conseguenza che gli interessi sulle somme effettivamente dovute da parte della P.A. vanno liquidati con decorrenza dalla data della domanda introduttiva del giudizio, quale unico momento all’uopo rilevante, in quanto è allo stesso appaltatore consentito di attivarsi per la relativa proposizione (Cass., n. 727/20; n. 19604/16)”.