Smart mobility. La Corte di Giustizia sulla app per ricerca taxi tra servizio di trasporto e servizio di intermediazione. Il gestore della app necessita di una autorizzazione o è sufficiente quella del taxi?

Smart mobility. La Corte di Giustizia sulla app per ricerca taxi tra servizio di trasporto e servizio di intermediazione. gestore app necessita di una autorizzazione La Corte di Giustizia UE (Sez. IV, 3.12.2020, C-62/19) interviene su un tema caldo, attuale e quantomeno dibattuto in materia di smart mobility e trasporto pubblico non di linea (app di intermediazione e taxi).

Nel nostro paese il quadro normativo, che in materia di trasporto pubblico non di linea ha come fonte la ormai risalente legge quadro 21/1992, non è affatto chiaro e molti dei recenti provvedimenti di AGCM e ART hanno contribuito ad alimentare le tensioni tra le categorie interessate (da un lato gli NCC, dall’altro i taxi).

Con la pronuncia del 3 dicembre 2020, la giurisprudenza comunitaria ci aiuta a delineare i contorni dei nuovi servizi innovativi che si stanno sviluppando nel settore dei trasporti pubblici di persone.

Ai giudici della CGUE giunge infatti un interrogativo di non poco conto: se un servizio consistente nel mettere in contatto diretto, mediante una app, clienti e tassisti costituisca un servizio della società dell’informazione o rientri nel servizio di trasporto e se tale servizio è soggetto al regime delle autorizzazioni preventive.

La questione nasce da una ammenda inflitta in Romania ad un gestore di una app per smartphone, che mette in contatto diretto utenti di servizi taxi e tassisti, perché sprovvisto dell’autorizzazione richiesta dalla norma nazionale rumena anche in capo ai soggetti che si occupano di dispacciamento  corse mediante una app.

Secondo la normativa rumena, i servizi di dispacciamento possono essere forniti solo dalle centrali di prenotazione taxi autorizzate dalle autorità competenti a condizione che le richieste raccolte anche tramite app siano trasmesse ai tassisti mediante un radioricetrasmettitore.

Più in dettaglio, l’app rumena che ha dato origine al caso portato in Corte consente di effettuare una ricerca facendo apparire un elenco di tassisti disponibili a effettuare una corsa. Il cliente è allora libero di scegliere un conducente su tale elenco. La società non trasmette le prenotazioni ai tassisti, non fissa il prezzo della corsa, che è versato direttamente al conducente al termine di essa, non esercita un controllo sulla qualità dei veicoli e dei conducenti né sul comportamento dei tassisti.

Il 19 dicembre 2017 il consiglio comunale di Bucarest ha adottato la delibera n. 626/2017 che ha esteso l’obbligo di ottenere un’autorizzazione preventiva per la cosiddetta attività di «dispacciamento» ai gestori di applicazioni informatiche come la Star Taxi App. Per aver violato tale normativa, alla Star Taxi App è stata irrogata un’ammenda di circa EUR 929.

Ritenendo che la sua attività costituisse un servizio della società dell’informazione al quale si applica il principio di non autorizzazione preventiva previsto dalla direttiva sul commercio elettronico (Direttiva 2000/31/CE), la Star Taxi App ha investito il Tribunale di Bucarest di un ricorso diretto all’annullamento della delibera comunale.

In tale contesto, il Tribunale chiede alla Corte di Giustizia se un servizio consistente nel mettere in contatto diretto, mediante un’applicazione elettronica (app), clienti e tassisti costituisca un servizio della società dell’informazione. In caso affermativo, chiede alla Corte se una normativa quale la delibera n. 626/2017 sia conforme al diritto dell’Unione.

  1. La Corte osserva, innanzitutto, che il servizio proposto dalla Star Taxi App corrisponde alla definizione del «servizio della società dell’informazione» offerta dalla direttiva sul commercio elettronico, poiché tale servizio è fornito dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi. A tal riguardo, è irrilevante che un siffatto servizio sia fornito a titolo gratuito alla persona che intende effettuare o che effettua uno spostamento nell’area urbana, dal momento che esso conduce alla conclusione, tra il prestatore dello stesso e ciascun tassista autorizzato, di un contratto di fornitura di servizi corredato dal pagamento da parte di quest’ultimo di un canone mensile.

Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte (sentenza del 19 dicembre 2019, Airbnb Ireland, C-390/18, e sentenza del 20 dicembre 2017, Asociación Profesional Elite Taxi C-434/15), un servizio può non essere considerato rientrante nella nozione di «servizio della società dell’informazione» qualora risulti che il servizio d’intermediazione è parte integrante di un servizio globale il cui elemento principale è un servizio al quale va riconosciuta una diversa qualificazione giuridica (come ad esempio il servizio di trasporto).

In relazione alla sentenza del 20 dicembre 2017, la Corte osserva che nella predetta causa il servizio di intermediazione, che aveva come oggetto quello di mettere in contatto su app, dietro retribuzione, conducenti non professionisti che utilizzano il proprio veicolo con persone che intendono effettuare uno spostamento nell’area urbana, doveva essere qualificato come servizio nel settore dei trasporti.

Diversamente, la Star Taxi App svolge un servizio che si limita a mettere in contatto persone unicamente con tassisti autorizzati la cui attività è preesistente e per i quali tale servizio rappresenta solo una modalità di procacciamento della quale non sono obbligati ad avvalersi.

Ad avviso della Corte, date alcune caratteristiche del servizio reso dalla Star Taxi App non potrebbe ritenersi che si tratti di servizio di trasporto (ad es. il prestatore (app) non seleziona i tassisti, non stabilisce il prezzo della corsa, non esercita un controllo sulla qualità dei conducenti).

Dunque, il servizio fornito dalla Star Taxi App si aggiunge e (non ne costituisce parte integrate) a un servizio di trasporto mediante taxi già esistente e organizzato. Ne consegue che non si può ritenere che tale servizio sia parte integrante di un servizio globale il cui elemento principale sia una prestazione di trasporto ma costituisce un servizio della società dell’informazione

  1. In secondo luogo, la Corte ritiene di dover verificare se una normativa che subordina la fornitura di un servizio di intermediazione, come quello di cui si discute – app che mette in contatto, dietro retribuzione, persone che intendono effettuare uno spostamento nell’area urbana con tassisti autorizzati – rientrante nella qualificazione di «servizio della società dell’informazione», all’ottenimento di una autorizzazione preventiva a cui sono già sottoposti gli altri prestatori di servizi di prenotazione di taxi (es. radio taxi) e che è subordinata, tra l’altro, alla trasmissione della richiesta delle corse ai tassisti mediante un radioricetrasmettitore, rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 4 della direttiva 2000/31 e, in caso affermativo, se quest’ultima disposizione si ponga in contrasto con gli articoli 9 e 10 della direttiva 2006/123.

Se è vero che la delibera rumena n. 626/2017 riguarda principalmente i servizi di intermediazione aventi come oggetto, mediante una app, quello di mettere in contatto, dietro retribuzione, persone con tassisti autorizzati, essa si limita, estendendo a tale tipo di servizio l’ambito di applicazione della nozione di «dispacciamento», a estendere a tale servizio della società dell’informazione un obbligo preesistente di autorizzazione preventiva applicabile alle attività delle centrali di prenotazione di taxi, attività che non rientrano nella qualificazione di «servizio della società dell’informazione».

Si chiede alla Corte se una siffatta delibera costituisca una regola tecnica. Infatti, la direttiva 2015/1535 prevede che gli Stati membri comunichino immediatamente alla Commissione ogni progetto di «regola tecnica». Una normativa nazionale che concerne un «servizio della società dell’informazione» è qualificata come «regola tecnica» se riguarda specificamente i servizi della società dell’informazione e se è obbligatoria, in particolare, per la prestazione del servizio di cui trattasi o per il suo utilizzo in uno Stato membro o in una parte importante di quest’ultimo.

Orbene, poiché la normativa rumena non menziona affatto i servizi della società dell’informazione e riguarda indistintamente tutti i tipi di servizio di dispatching, siano essi forniti telefonicamente o con una app, la Corte considera che essa non costituisce una «regola tecnica». Ne discende che a una siffatta normativa non si applica l’obbligo di previa comunicazione alla Commissione dei progetti di «regole tecniche».

La Corte rammenta, poi, che la direttiva sul commercio elettronico vieta agli Stati membri di subordinare l’accesso ai «servizi della società dell’informazione» a un regime di autorizzazione preventiva.

La direttiva 2006/123 autorizza, a determinate condizioni, gli Stati membri, a subordinare l’accesso a un’attività di servizio a un siffatto regime. Tali condizioni sono: il carattere non discriminatorio del regime, la sua giustificazione mediante un motivo imperativo di interesse generale e l’assenza di misure meno restrittive che consentano di conseguire lo stesso obiettivo.

A tal riguardo, osserva la Corte che un regime di autorizzazione subordinato a requisiti tecnologicamente inadeguati al servizio interessato non è basato su criteri giustificati da un motivo imperativo di interesse generale.

Questo è il caso dell’obbligo imposto dalla normativa rumena ai prestatori del servizio tramite app di trasmettere corse a tali conducenti mediante un radioricetrasmettitore.

Infatti, un tale obbligo, che pone a carico tanto del prestatore del servizio di intermediazione quanto dei tassisti l’obbligo di disporre di un siffatto dispositivo di trasmissione e che impone altresì al prestatore del servizio di intermediazione di disporre di personale specifico incaricato della trasmissione della richiesta delle corse ai conducenti, è non solo inutile, ma anche privo di qualsiasi correlazione con le caratteristiche di un servizio che è interamente collegato alle capacità tecniche degli smartphone che consentono, senza intermediazione umana diretta, di localizzare sia i tassisti sia i loro clienti potenziali e di porli automaticamente in contatto.

La Corte conclude che:

– in primo luogo, un servizio consistente nel mettere in contatto diretto, mediante un’applicazione elettronica, clienti e tassisti costituisce un «servizio della società dell’informazione» qualora tale servizio non sia inscindibilmente connesso al servizio di trasporto mediante taxi di modo che non ne costituisce parte integrante;

– in secondo luogo, la normativa di un’autorità locale che subordina la fornitura di un «servizio della società dell’informazione» all’ottenimento di un’autorizzazione preventiva a cui sono già sottoposti gli altri prestatori di servizi di prenotazione di taxi non costituisce una «regola tecnica» ai sensi della direttiva 2015/1535;

– la direttiva 2006/123 contrasta con l’applicazione di un regime di autorizzazione, a meno che quest’ultimo sia conforme ai criteri stabiliti in tale testo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

(CGUE, Sez. IV, 3.12.2020, C-62/19)