Soccorso istruttorio negli appalti PNRR: l’errata indicazione dei servizi di punta non è soccorribile

soccorsoCon una recente sentenza, il TAR Lazio ha ribadito l’inapplicabilità del soccorso istruttorio nel caso in cui l’operatore economico commetta un errore in merito all’indicazione dei servizi di punta. La sentenza è degna di nota anche perché valorizza il principio di autoresponsabilità con particolare riferimento agli appalti PNRR.

Al fine di comprendere la posizione assunta dal TAR, è necessario osservare i peculiari connotati della gara in contestazione.

Si trattava, infatti, di un accordo quadro per la realizzazione di interventi di rigenerazione urbana e di rivitalizzazione economica e, dunque, per la realizzazione di infrastrutture legate ai Piani Urbanistici Integrati, in attuazione del PNRR.

La gara era altresì suddivisa in sei lotti geografici in base alla dislocazione territoriale dei singoli interventi da realizzare. All’interno di ciascun lotto erano istituiti, a sua volta, cinque distinti sub-lotti prestazionali – raggruppati diversamente in base al tipo di prestazione richiesta, localizzazione, vincoli temporali e valore – all’interno dei quali sono individuati i c.d. “cluster”.

Il disciplinare di gara disponeva che per determinare i possibili aggiudicatari di ogni singolo lotto “si procederà allo scorrimento della graduatoria assegnando i cluster da quello che ha il valore più alto a quello che ha il valore più basso”, valore determinabile tenendo conto di vari fattori, tra cui i “servizi di punta”, che devono complessivamente raggiungere almeno lo 0,40% dell’importo complessivo del cluster.

La ricorrente risultava assegnataria di un cluster dal valore più basso rispetto a quello per cui sarebbe dovuta risultare aggiudicataria, in ragione dei requisiti posseduti. La mancata assegnazione del cluster di importo più elevato era stata causata da un errore commesso dalla società, che aveva dichiarato di possedere “servizi di punta” per un valore complessivo minore a quello reale, effettuando un calcolo numerico sbagliato, basato sul valore prestazione del servizio reso e non su quello di ciascuna classe a cui il servizio si riferisce.

L’errore commesso dalla società aveva dunque precluso alla stessa l’assegnazione del cluster di maggior valore, sebbene avesse tutti i requisiti per risultare utilmente aggiudicataria.

All’atto dell’aggiudicazione del cluster di minor valore, la ricorrente inoltrava alla stazione appaltante un’istanza di annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione e chiedeva una rimodulazione delle operazioni di assegnazione del cluster di maggior importo, in quanto le dichiarazioni dei requisiti dalla stessa effettuati era affetta da mero errore materiale.

La stazione appaltante respingeva tale istanza, osservando che l’errore dell’istante non era soggetta al soccorso istruttorio in quanto non oggettivamente riconoscibile in corso di gara. Inoltre, la modifica in autotutela della ripartizione dei cluster avrebbe determinato una gravissima violazione del principio della par condicio.

L’istante decide quindi di presentare ricorso, lamentando di essere stata penalizzata in sede di ripartizione dei cluster e che l’attivazione, da parte della stazione appaltante, del soccorso istruttorio avrebbe sanato il “mero errore materiale” commesso dalla stessa in sede di predisposizione della documentazione amministrativa.

Secondo la ricorrente, essere era stata indotta in errore dalla scarsa chiarezza degli atti di gara ed in specie da un disciplinare definito “impervio”, che non avrebbe specificato “in cosa consistesse il valore del servizio, vale a dire riferito alla prestazione fatturata del professionista o al valore dell’opera cui il servizio si riferisce”.

Il TAR Lazio ha ritenuto infondata la censura.

Secondo i giudici, il soccorso istruttorio viene autorizzato dalla stazione appaltante in caso di errori formali o aspetti meritevoli di approfondimento. Secondo giurisprudenza consolidata, infatti, “sono rettificabili eventuali errori di scritturazione e di calcolo, ma sempre a condizione che alla rettifica si possa pervenire con ragionevole certezza, e comunque senza attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta medesima o a dichiarazioni integrative o rettificative dell’offerta” (Cons. St., Sez. V, 9.12.2020, n. 7752).

In altre parole, spiegano i giudici, “affinché possa pretendersi dalla parte pubblica l’attivazione del soccorso istruttorio è necessario, anche alla luce dei principi sopra richiamati, che gli errori formali commessi dagli operatori economici siano oggettivamente “riconoscibili””.

Nel caso di specie, invece, dalla lettura del DGUE e della documentazione della gara non era rinvenibile nessun elemento o indizio tale da far presumere l’esistenza di un errore in merito all’indicazione “dei servizi di punta” da parte del ricorrente.

Secondo il Collegio, infatti, sarebbe bastata una lettura del bando meticolosa da parte dell’operatore per rendersi conto che l’importo minimo dei “servizi di punta” per l’assegnazione dei cluster era da riferirsi al fatturato dei “servizi di punta” di ogni concorrente, e non del fatturato maturato per quelle prestazioni.

I principi di par condicio tra i concorrenti, buon andamento e speditezza della gara escludono, dunque, a parere del Collegio, che sussista in capo alle stazioni appaltanti l’onere di avviare una “caccia all’errore” su tutte le dichiarazioni fornite dai concorrenti.

L’errore del ricorrente, quindi, è dettato da una superficiale lettura della lex specialis e ad un mancato approfondimento del quadro normativo di riferimento.

Degna di nota è l’ulteriore motivazione offerta dai giudici nel valorizzare l’autoresponsabilità e diligenza dei concorrenti, propria della gara di specie.

Secondo i giudici, infatti, ”la scelta dell’Amministrazione di non attivare il soccorso istruttorio si rivela coerente con i principi di autoresponsabilità e par condicio e con il principio di speditezza delle gare, il quale assume una particolare pregnanza nelle gare finalizzate all’attuazione di obiettivi finanziati da PNRR.

TAR Lazio, Roma, Sez. IV, 30.5.2023, n. 9149