Sospensione appalto pubblico per esplosione ordigno bellico: forza maggiore o colpa della Committente?
Nell’ambito di un appalto pubblico per lavori di adeguamento di tratti autostradali, l’impresa esecutrice, lamentando un andamento anomalo dell’appalto, iscrive riserve nei documenti contabili di cui chiede il riconoscimento in giudizio. In particolare, l’impresa afferma che, a seguito dell’esplosione di un ordigno bellico, non ha potuto gestire in modo razionale e ottimale l’esecuzione dei lavori subendo danni da sospensione a suo avviso illegittima, giacché, a dire dell’impresa, le lungaggini e la sospensione causate dall’esplosione dell’ordigno bellico non rappresenterebbero una causa di forza maggiore ma sarebbero imputabili alla Committente.
Nel corso del giudizio viene espletata una CTU in seno alla quale il tecnico incaricato dal giudicante ha avuto modo di affermare che “lo scrivente comunque è del parere che la circostanza dell’esplosione di un ordigno bellico non possa ritenersi imputabile alla committente; in sede di consegna dei lavori l’ATI appaltatrice ha accertato lo stato dei luoghi, senza eccezione alcuna in merito alla valutazione dei rischi specifici relativi a quanto accaduto. Dagli atti non appaiono inoltre omissioni da parte della Stazione Appaltante riguardo tardive attivazioni di autorizzazione alla bonifica nonché ritardi nella riattivazione del cantiere”.
In base alle conclusioni della CTU, condivise in toto dal Giudice, risulta accertato, come è dato leggere in sentenza, che nessun comportamento colpevole, omissivo o commissivo, è stato posto in essere dalla Committente con riguardo al fenomeno bellico in questione; l’esplosione dell’ordigno bellico deve, dunque, considerarsi fatto imprevisto e imprevedibile e in nessun modo può essere attribuito, nella sua valenza potenzialmente dannosa, a responsabilità della committenza; l’esplosione e le relative attività di bonifica rientrano nel novero delle cause di forza maggiore e/o comunque delle circostanze speciali che legittimano la sospensione dei lavori senza necessità di alcun compenso, indennizzo o risarcimento in favore dell’appaltatore, secondo quanto disposto dall’art. 24 del d.M. 145/2000 (applicabile all’appalto in questione ratione temporis).
Per concludere, il Giudice dedica poche righe alla presa d’atto dell’appaltatrice, in sede di consegna dei lavori, circa lo stato dei luoghi; afferma che la funzione delle dichiarazioni rese dall’impresa, tra cui quella di sopralluogo, è quella di “precludere all’appaltatore contestazioni basate sull’asserita mancata conoscenza dei luoghi e di ridurre al minimo le possibilità di modifiche contrattuali in sede di esecuzione, per cui l’onere posto a carico dell’impresa di visitare i luoghi dell’appalto prima di formulare la propria offerta è posto essenzialmente a garanzia dell’amministrazione” (Cons. St., Sez. V, 7 luglio 2005, n. 3729, TAR Campania, Salerno, Sez. I, 8 ottobre 2004, n. 1874).
Sulla funzione della visita dei luoghi e sulle responsabilità che ne derivano, vale la pena rilevare che si registrano diversi orientamenti sul punto.
Da un lato, c’è chi ritiene che la predetta visita costituisce una attestazione della presa di conoscenza: “A questo proposito viene in taglio anzitutto la giurisprudenza della Corte di Cassazione, sull’art. 1 del d.P.R. n. 1063 del 1962, che costituisce l’antecedente cronologico dell’art. 71 del D.P.R. 554/99, sul quale la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che la clausola contrattuale con la quale l’impresa dichiara di avere esaminato la situazione dei luoghi e di averne valutato i riflessi sull’esecuzione dell’opera, lungi dal costituire una mera clausola di stile, si traduce in un’attestazione della presa di conoscenza delle condizioni locali e di tutte le circostanze che possono influire sull’esecuzione dell’opera; essa, pertanto, pone a carico dell’appaltatore un preciso dovere cognitivo, cui corrisponde una altrettanto precisa responsabilità, determinando un allargamento del rischio, senza però comportare un’alterazione della struttura e della funzione del contratto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio (Cass. nn. 3932 del 2008; in senso sostanzialmente conforme v. Cass. n. 13734 del 2003 e 11469 del 1996). La dichiarazione di presa visione dei luoghi dà certezza dell’avvenuto accesso “in loco” e della conoscenza di quanto, pur nel corso di un semplice sopralluogo, può essere constatato, con riferimento alla valutabilità di tutte le circostanze nelle quali le opere devono essere eseguite” (Cons. St., Sez. V, 27 marzo 2012, n. 2819).
Da altro lato, chi ritiene che “la dichiarazione di presa visione dei luoghi non significa che l’Impresa debba sostituirsi alla Stazione appaltante nella predisposizione del progetto e deve ritenersi riferita allo stato generale dei luoghi, non essendo l’impresa tenuta a procurarsi una conoscenza dei luoghi ed una cognizione dell’appalto diverse e maggiori di quelle poste a base del Capitolato e dei disegni allegati” (Lodo Roma 23 marzo 2001 in AGOP, 2002, L 13).
(Trib. Roma, Sez. XVII civ., 16/1/2020, n. 1007)