Subappalto nel nuovo codice: tra limiti e subappalto a cascata
Il nuovo codice dei contratti pubblici, il d.lgs. 36/2023 dedica al subappalto l’intero art. 119 che riproduce, quasi fedelmente, quanto previsto dall’art. 105 del d.lgs. 50/2016, sebbene non manchino alcune novità di rilievo. Una tra tutte, il subappalto a cascata.
La disciplina del subappalto recepita nell’attuale testo normativo è il frutto di una serie di modifiche intervenute dal 2016 ad oggi, che hanno cercato di modellare l’istituto e renderlo maggiormente coerente con i principi e le norme di derivazione europea.
Per lungo tempo, ad esempio, l’art. 105 d.lgs. 50/2016 ha imposto dei limiti percentuali al subappalto. Censurato aspramente dalla Corte di Giustizia e dalla Commissione europea, tale limite è stato finalmente espunto dal testo normativo per dare spazio alla discrezionalità delle stazioni appaltanti.
L’art. 105 d.lgs. 50/2016, così come l’attuale art. 119 d.lgs. 36/2023, infatti, pur non prevedendo limiti generali al subappalto, consente alle stazioni appaltanti di individuare le prestazioni che dovranno essere eseguite a cura dell’aggiudicatario (rectius: non possono formare oggetto di subappalto), in ragione, ad esempio, delle specifiche caratteristiche dell’appalto e delle eventuali categorie SIOS presenti (art. 105, comma 2 d.lgs. 50/2016 e art. 119, comma 2, d.lgs. 36/2023).
Tali aspetti sono stati recentemente chiariti anche dalla sentenza n. 187/2023 del TAR Friuli Venezia Giulia.
Nel caso sottoposto all’attenzione del TAR, la stazione appaltante aveva previsto la sola categoria OS3 come interamente subappaltabile, mentre la categoria OS28 risultava subappaltabile nella misura massima del 30%.
L’impresa aggiudicataria aveva proposto ricorso avverso il diniego di autorizzazione al subappalto, sostenendo la contrarietà della decisione assunta dalla stazione appaltate ai principi espressi dalla Corte di Giustizia (con la sentenza CGUE, Sez. V, 26.09.2019, C-63/18, Vitali s.p.a.), per cui non possono porsi limiti generali al subappalto, indipendentemente dalla tipologia di prestazione.
Il ricorso è stato ritenuto infondato. Nella sentenza il TAR ha chiarito come con la pronuncia c.d. Vitali, la Corte non ha inteso censurare in assoluto la previsione di limiti quantitativi al subappalto, ma solo la fissazione di limiti generali ed astratti a livello normativo. Il limite del 30% contenuto nell’art. 105, comma 2 del Codice 50/2016, infatti, è stato ritenuto contrario ai principi e alle norme UE in quanto limite assoluto e astratto, applicabile indistintamente a tutti gli appalti.
La ratio della pronuncia, dunque, non è quella di predicare un divieto assoluto all’apposizione di limiti quantitativi al subappalto, quanto piuttosto quella di preservato la discrezionalità delle amministrazioni aggiudicatrici, consentendo loro di valutare, con la necessaria elasticità, le caratteristiche della situazione concreta. Nella vicenda in questione, il giudice ha ritenuto che il limite del 30% contestato relativo al subappalto dei lavori nella categoria OS28 era stato correttamente individuato dall’amministrazione per “precise ragioni tecniche” e risultava pertanto frutto di una valutazione “in concreto” dell’ente aggiudicatore.
Come anticipato, la grande novità del d.lgs. 36/2023 in tema di subappalto è rappresentata dal subappalto “a cascata”, altrimenti detto “il subappalto del subappalto”.
Espressamente vietato dall’art. 105, comma 19 d.lgs. 50/2016, il nuovo art. 119, comma 17 d.lgs. 36/2023 demanda alla stazione appaltante il compito di individuare la categoria di lavori o le prestazioni che, sebbene subappaltabili, non possono formare oggetto di ulteriore subappalto. In altre parole, il subappalto a cascata sembra divenire la regola, per cui l’amministrazione che intende vietarlo è tenuta a specificarne le ragioni nella lex specialis di gara.
Non tutte le ipotesi di “subaffidamento”, tuttavia, configurano subappalto a cascata. Secondo la recente sentenza del TAR Liguria n. 495/5023, ad esempio, non si configura il “subappalto a cascata” quando le prestazioni propriamente oggetto di subappalto sono svolte in forza del contratto di lavoro subordinato dal professionista dipendente della società subappaltatrice.
Nel caso di specie la ricorrente lamentava l’operato dell’aggiudicataria che, in sede di presentazione delle offerte, aveva dichiarato di ricorrere al subappalto per la predisposizione della documentazione archeologica in favore di una società, che a sua volta aveva nominativamente indicato un professionista – legato da un rapporto di lavoro dipendente – per l’espletamento delle prestazioni affidate. L’individuazione dell’archeologo avrebbe rappresentato, secondo la ricorrente, un subappalto “a cascata”.
Secondo il TAR, invece, la circostanza che l’archeologo sia dipendente della società subappaltatrice e che pertanto sia obbligato a rendere le proprie prestazioni in favore della stessa in forza del contratto di lavoro subordinato, esclude in radice che sia configurabile un subappalto “a cascata” di cui all’art. 105, comma 19 del d.lgs. 50/2016.
Le questioni che ruotano attorno all’istituto del subappalto a cascata sono molteplici e sembrano già nutrire degli animati contrasti, complice anche l’assenza – allo stato attuale – di indirizzi giurisprudenziali sul punto.
Di questo istituto e del subappalto in generale, torneremo certamente a parlarne nelle nostre news.
Oltre ad essere un tema a me caro, il subappalto rappresenta una risorsa assolutamente vincente per gli operatori che lavoro nel settore degli appalti pubblici e che bisogna conoscere e dominare, se non si vuole cadere in spiacevoli inconvenienti dal prezzo molto alto da pagare.
TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 27.5.2023, n. 187
TAR Liguria, Sez. I, 10.5.2023 n. 495